Opere di interesse storico-artistico solo agli Architetti
Nessuna discriminazione, le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico sono di competenza dell'architetto, ma la parte tecnica può...
Nessuna discriminazione, le opere di edilizia civile che presentano
rilevante carattere artistico sono di competenza dell'architetto,
ma la parte tecnica può essere affidata anche all'ingegnere.
Questo, in sintesi, il contenuto della Sentenza del Tribunale Amministrativo e Regionale Veneto 3 giugno 2014, n. 743 che ha accolto il ricorso presentato per l'annullamento di una procedura di affidamento della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva e direzione lavori ristrutturazione di fabbricato comunale avente caratteristiche di interesse storico-artistico.
Il TAR Veneto ha confermato che le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1090, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto, ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere.
Ma interessante è la disamina in merito alla compatibilità della disciplina italiana con quella comunitaria.
In particolare, il TAR ha ricordato che la questione è stata definitivamente affrontata e risolta dal Consiglio di Stato (sentenza n. 21/2014), il quale ha tracciato precisi canoni interpretativi in ordine alla applicabilità (e, quindi, alla compatibilità con il diritto comunitario) dell'art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925. Entrando nel dettaglio, con l'ausilio della Corte di Giustizia Europea, è stato precisato che gli artt. 10 e 11 della direttiva 85/384/CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno stato membro diverso dallo Stato membro ospitante -titolo abilitante all'esercizio di attività nel settore dell'architettura ed espressamente menzionato al citato art. 11 - possono svolgere, in questo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell'ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere qualifiche nel settore dei beni culturali.
La sentenza del Consiglio di Stato ha, inoltre, concluso precisando che non è esatto affermare che l'ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di Paesi dell'UE diversi dall'Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l'indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di architetto (tra cui le attività relative ad immobili di interesse storico-artistico), ma, al contrario, giusta la normativa comunitaria, l'esercizio di tali attività - in regime di mutuo riconoscimento - sarà consentito ai soli professionisti che (al di là del nomen iuris del titolo posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all'esercizio delle attività tipiche della professione di architetto.
Non è, dunque, possibile affermare che la previsione di parziale riserva in favore degli architetti di cui all'art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925 sia idonea a determinare, in danno degli ingegneri italiani, un effetto di discriminazione alla rovescia.
Questo, in sintesi, il contenuto della Sentenza del Tribunale Amministrativo e Regionale Veneto 3 giugno 2014, n. 743 che ha accolto il ricorso presentato per l'annullamento di una procedura di affidamento della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva e direzione lavori ristrutturazione di fabbricato comunale avente caratteristiche di interesse storico-artistico.
Il TAR Veneto ha confermato che le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1090, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto, ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere.
Ma interessante è la disamina in merito alla compatibilità della disciplina italiana con quella comunitaria.
In particolare, il TAR ha ricordato che la questione è stata definitivamente affrontata e risolta dal Consiglio di Stato (sentenza n. 21/2014), il quale ha tracciato precisi canoni interpretativi in ordine alla applicabilità (e, quindi, alla compatibilità con il diritto comunitario) dell'art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925. Entrando nel dettaglio, con l'ausilio della Corte di Giustizia Europea, è stato precisato che gli artt. 10 e 11 della direttiva 85/384/CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno stato membro diverso dallo Stato membro ospitante -titolo abilitante all'esercizio di attività nel settore dell'architettura ed espressamente menzionato al citato art. 11 - possono svolgere, in questo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell'ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere qualifiche nel settore dei beni culturali.
La sentenza del Consiglio di Stato ha, inoltre, concluso precisando che non è esatto affermare che l'ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di Paesi dell'UE diversi dall'Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l'indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di architetto (tra cui le attività relative ad immobili di interesse storico-artistico), ma, al contrario, giusta la normativa comunitaria, l'esercizio di tali attività - in regime di mutuo riconoscimento - sarà consentito ai soli professionisti che (al di là del nomen iuris del titolo posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all'esercizio delle attività tipiche della professione di architetto.
Non è, dunque, possibile affermare che la previsione di parziale riserva in favore degli architetti di cui all'art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925 sia idonea a determinare, in danno degli ingegneri italiani, un effetto di discriminazione alla rovescia.
A cura di Gabriele
Bivona
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