09/12/2020
Contratti pubblici: La parola agli operatori
5104 stazioni appaltanti e 217 operatori economici - rispondendo ad un’indagine della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, di Confindustria, di Ance e della Luiss - hanno fornito una vera e propria radiografia delle criticità del sistema dei contratti pubblici nel nostro Paese.
I Responsabili unici del
procedimento (Rup) delle stazioni appaltanti hanno espresso un
giudizio critico sul Codice dei contratti pubblici del 2016, perché
risulta di difficile applicazione, ha rallentato la realizzazione
degli investimenti pubblici ed ha aggravato gli adempimenti
burocratici. Un giudizio negativo che si attenua nelle generazioni
più giovani. Giudizi più favorevoli sul decreto “sblocca cantieri
ma è molto diffusa l’idea che non abbia “risolto le principali
criticità normative preesistenti” (lo pensa l’81% dei più giovani e
le percentuali scendono al salire dell’età, fino a un comunque
robusto 62% nella fascia dei più anziani).
Rispetto alla normativa
anticorruzione solo il 38% di chi ha meno di 35 anni la ritiene
utile e rispondente ad esigenze di trasparenza, ma questo giudizio
favorevole diventa assolutamente minoritario tra chi è
direttore/dirigente apicale (13%).
L’età anagrafica pesa di più
nella valutazione della normativa sui gravi illeciti professionali.
Il 42% dei più giovani (un po’ meno del doppio rispetto alle altre
fasce d’età) ritiene che garantisca “l’integrità e l’affidabilità
degli operatori economici”. Il 51% dei più anziani (e il 55% dei
direttori/dirigenti apicali) lamenta un aggravio degli adempimenti,
a fronte del 36% dei più giovani.
L’espansione delle competenze
regolative dell’ANAC ha contribuito a garantire trasparenza e
legalità? Sì per 65% dei più giovani, no per il 51% dei più
anziani e per il 42% i direttori/dirigenti apicali. Per la
maggior parte degli interpellati comunque l’azione dell’autorità ha
aggravato gli adempimenti burocratici.
Rispetto al grado di criticità
delle varie fasi del ciclo dei contratti pubblici il 49% dei
più giovani e il 61% dei più anziani, si concentra su gara e
aggiudicazione.
Il giudizio sull’e-procurement
risente ovviamente della variabile anagrafica appare ancor più
saliente. L’alternativa “ha determinato maggiori garanzie in
termini di trasparenza e legalità” infatti ottiene il 63% dei
consensi tra i più giovani, tra il 44 e il 45% nelle fasce dai 36
ai 55 anni, il 38% tra gli ultracinquantacinquenni.
Fra i 217 operatori economici si
nota un consenso sempre maggiore via via che cresce il fatturato
(da un minimo del 47% a un massimo del 67%). Al contempo, il 62%
delle aziende con fatturato maggiore di 20 milioni di euro non
concorda con l’affermazione secondo cui l’e-procurement non è
capace di ridurre la corruzione, al contrario del 60% delle aziende
in cui il fatturato non arriva al mezzo milione che invece ritiene
che sia così.
Il fenomeno della “paura della
firma” è frutto (secondo più del 50% degli intervistati) del timore
di incorrere in responsabilità penali, civili o amministrative ed
ha come conseguenza la rinuncia all’utilizzo di procedure
d’acquisto, un’attenzione alla correttezza formale a danno del
risultato finale del contrato, il mancato utilizzo dei fondi
europei perché oggetto di articolati controlli ulteriori.
Tra le “azioni” che potrebbero
far funzionare meglio le “stazioni appaltanti” gli oltre 5000 Rup
sentiti puntano sulla drastica compressione del loro numero perché
consentirebbe di focalizzare il monitoraggio anticorruzione su una
rosa ristretta di soggetti che consentirebbe una maggiore
qualificazione (soprattutto in entrata) e sulla adeguata
remunerazione di chi si occupa di appalti.
E secondo le 217 imprese è
fondamentale proprio la “qualificazione e professionalizzazione
delle stazioni appaltanti”: il 76% di consensi per la fascia delle
aziende più floride e il 73% per quelle con minor giro d’affari.
Mentre il “c.d. appalto integrato su progetto definitivo” invece
piace alle prime (71%), ma assai meno alle seconde (53%), e ancor
meno a quelle che fatturano tra i 500mila euro e il milione
(43%). Quanto alle azioni necessarie per ridurre il
contenzioso, il 67% delle aziende sopra i 20 milioni dice “ricorso
alle centrali di committenza”, mentre tale percentuale crolla al
20% per quelle sotto il mezzo milione. Un consenso generalizzato si
ha invece per i “termini perentori per l’accordo bonario …”.
L’effettiva e congrua riduzione del contenzioso e dei suoi tempi
verificatasi (a dispetto della vulgata) dopo l’adozione del Codice
è in effetti meritevole di approfondimento.
La “centralizzazione e
aggregazione della committenza” gode del 69% dei consensi tra i Rup
con meno di 35 anni, e scende al 50% fra chi ha più di 55
anni.
Per quanto riguarda invece gli
operatori economici interpellati il 71% delle imprese sopra i 20
milioni è a favore della “centralizzazione e aggregazione delle
committenze”, contro il 47% di quelle sotto i 500mila euro.
Infine la digitalizzazione incontra il 92% dei consensi tra i
Rup più giovani e scende al 78% tra i più anziani.
Sintesi della ricerca
Scheda sulla ricerca