21/04/2025

Papa Francesco: l’uomo che ha scelto gli ultimi e disturbato i potenti

Se n’è andato all’improvviso, senza clamore, come ha vissuto. In silenzio, ma lasciando un’eco profonda. Papa Francesco ci lascia in un tempo che sembra aver dimenticato il valore della vicinanza, della parola "semplice", dello sguardo umano.

Eppure è proprio con questi strumenti che ha attraversato un pontificato che ha segnato una rottura. Non solo dentro la Chiesa, ma nel mondo intero. Non ha parlato solo ai credenti: ha parlato a tutti. Ma non tutti lo hanno ascoltato.

È stato il Papa degli ultimi. Dei migranti, degli emarginati, dei carcerati, dei malati, dei poveri veri (quelli che disturbano). E per questo, è stato anche un Papa scomodo.

La realtà si comprende meglio dalle periferie”, ripeteva. Non era uno slogan ma una scelta precisa, quasi ostinata. Le periferie non erano solo i quartieri dimenticati delle nostre città, ma i luoghi della solitudine, del dolore, della marginalità. Le vite ai bordi, quelle che il potere non guarda. Papa Francesco ha voluto restare lì, con coerenza disarmante, mentre il mondo correva altrove. Non ha mai cercato di riportare le periferie al centro per strategia, ma per giustizia. Perché – lo ha detto chiaramente – è da lì che si capisce davvero cosa siamo diventati. Le periferie sono lo specchio più crudo del nostro tempo, e anche quello più onesto. E spesso, sono state ignorate non solo dalla politica, troppo affezionata ai proclami, ma anche da chi predicava giustizia senza mai viverla.

Basterebbe ricordare quando, nel 2016, fece lavare i piedi a 12 migranti (musulmani, cristiani, induisti) durante la Messa del Giovedì Santo. Un gesto che scardinava secoli di simbolismo clericale, e che fu accolto con freddezza da molti settori interni alla Chiesa. Alcuni cardinali parlarono di "eccesso di esposizione mediatica". Ma era solo il Vangelo, messo in pratica.

Oppure quando, a Lampedusa, nel suo primo viaggio apostolico da pontefice, usò parole durissime contro l’indifferenza globale verso i migranti: “La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri. Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna.” Era il 2013, ma sembrava un’accusa rivolta al nostro presente.

Fu criticato per aver detto che la Chiesa doveva essere “ospedale da campo”, più che tribunale. Per aver affermato che Dio “non è un contabile”, ma un padre. Per aver accolto, ascoltato, abbracciato chi era stato troppo a lungo escluso anche solo da uno sguardo.

Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Così descriveva la Chiesa che sognava: viva, imperfetta, ma vera. Una Chiesa che accoglie, che rischia, che si espone.

Francesco non ha mai cercato di piacere. Ha disturbato. Ha smontato certezze. Ha ricordato che la dignità non è una concessione, ma un diritto. Ha parlato di accoglienza quando il mondo alzava muri. Ha difeso la terra mentre i potenti parlavano di profitti. Ha rimesso al centro gli ultimi in un tempo in cui il potere sa solo parlare dei primi. E lo ha fatto senza ideologia, senza appartenenze, con l’unica coerenza possibile: quella del Vangelo vissuto.

“La misericordia non è una teoria da discutere, ma una realtà da vivere”. E per questo è stato criticato. Perché la misericordia vera mette in crisi chi si è abituato a giudicare. Chi si sente a posto.

Non si può essere cristiani e al tempo stesso far finta di non vedere chi soffre”. Questa, forse, è la frase che più lo rappresenta. Un atto di accusa pacato ma spietato verso tutte le forme di ipocrisia, anche dentro la Chiesa.

Francesco è stato un Papa profondamente umano. Con le sue stanchezze, i suoi silenzi, le sue esitazioni. Ma anche con una forza gentile che è arrivata dritta al cuore. “La tenerezza è il linguaggio dei più forti”. E lui lo ha parlato ogni giorno. Senza bisogno di potere, senza bisogno di urla.

Ora che non c’è più, è facile celebrarlo. Ma è nei silenzi e nelle omissioni di chi lo ha ignorato in vita che si misura il peso della sua testimonianza. Perché Francesco non ha chiesto di essere ricordato. Ha chiesto di essere seguito. E questa, forse, è la sfida più scomoda che ci lascia.

A noi il compito di non archiviarlo in un’icona. Ma di farci carico, ognuno nel proprio ambito – nella vita, nel lavoro, nel proprio modo di essere cittadini – di quella verità semplice e profonda che ha incarnato: nessuno si salva da solo. E chi è più fragile deve venire prima.

Non era una frase fatta ma un programma di vita che ognuno è libero di seguire.

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