Affidamento di una quota pari all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro
Tutto nasce dal ricorso al Tar Lazio avverso le Linee Guida n.11 ANAC, previste dall’articolo 177 comma 3 del Codice.9
Il Consiglio di Stato, con la sentenza non definitiva 19 agosto 2020, n. 5097, msottopone alla Corte Costituzionale l’articolo 177 del Codice dei Contrattimrelativo alle concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con finanza di progetto o con procedure di gara ad evidenza pubblica.
Tutto nasce dal ricorso al Tar Lazio avverso le Linee Guida n.11 ANAC ( e successivo Atto di segnalazione ANAC n. 4 del 17 ottobre 2018), previste appunto dall’articolo 177 comma 3 del Codice.
Il Tar Lazio Sezione prima, n. 9309/2019 dichiarava inammissibile il ricorso ed i motivi aggiunti per carenza di immediata e concreta lesività degli atti impugnati.
Sul ricorso in appello, il Consiglio di Stato, dopo aver accertato la lesività immediata delle Linee Guida n.11, stabilisce che le medesime sono quindi impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa. Per cui la sentenza impugnata deve essere riformata e il ricorso di primo grado va dichiarato ammissibile.
Sentenza n. 5097/2020
Con la sentenza n. 5097/2020, il Consiglio di Stato ha precisato che è rilevante la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Cost., dell’art. 1, comma 1, lett. iii), l. 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.
Obbligo di dismissione totalitaria
L’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni
di legge censurate, ancorché finalizzato a sanare l’originaria
violazione dei principi comunitari di libera concorrenza
consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della
concessione, si traduce per un verso in un impedimento assoluto e
definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque
intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo
legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge
all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il ruolo del
privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli
enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto
dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse
pubblico.
Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad
imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così
avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela
della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della
Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della
concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice
degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza
gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del
previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile
2006, n. 163).
Questioni di legittimità costituzionale
Le considerazioni ora svolte inducono a ritenere non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega e 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici anche con riguardo all’art. 3, comma 2, Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
Obbligo di dismissione totalitaria
L’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara sembra infatti eccedere i pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità ora richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte. Al medesimo riguardo va aggiunto che rispetto all’integrale esecuzione della concessione è apprezzabile un affidamento del privato affidatario che non può essere ritenuto irragionevole o colpevole, tenuto conto della validità del titolo costitutivo all’epoca della sua formazione e dunque dell’inesistenza di cause – anche occulte – di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno (cause che diversamente avrebbero potuto legittimare l’annullamento, la risoluzione o la riduzione della durata della concessione).
Scelta legislativa orientata e rimuovere rendite di posizione
La scelta legislativa, pur legittimamente orientata a rimuovere rendite di posizione, non appare pertanto equilibrata rispetto alle contrapposte e altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento, con l’inerente realizzazione degli equilibri economico – finanziari su cui erano stati pianificati i relativi investimenti; e di mantenimento delle conoscenze strategiche, tecniche e tecnologiche acquisite e la professionalità acquisite, rilevanti anche sotto il profilo dell’interesse pubblico.
Obbligo indistinto di dismissione
Ancora sotto il profilo della ragionevolezza può essere
evidenziato il fatto che l’obbligo di dismissione di cui si discute
riguarda indistintamente i concessionari titolari di affidamento
senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione della
struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto
e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la
concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che il
contratto di concessione fosse ancora in vigore al momento
dell’entrata in vigore dell’art. 177, d.lgs. n. 50 del 2016, ovvero
se la concessione fosse scaduta e che versasse in una situazione di
proroga, di fatto o meno.
Per le medesime considerazioni le questioni di legittimità
costituzionale appaiono non manifestamente infondate in relazione
all’art. 97, comma 2, della Costituzione, dal momento che le
concessioni cui si riferisce l’obbligo di dismissione totalitaria
concernono servizi pubblici essenziali, evidentemente rispondenti a
bisogni fondamentali della collettività ed affidati a concessionari
privati per l’incapacità strutturale delle amministrazioni
pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace. Ciò posto la
norma delegante e delegata non risultano contenere alcuna
considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione
sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e
sulle possibili ricadute sull’utenza.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
Documenti Allegati
Sentenza 19/08/2020, n. 5097IL NOTIZIOMETRO