Abusi edilizi e verande: accertamento di conformità e trascorrere del tempo fermano l'ordine di demolizione?
Interessante sentenza del Consiglio di Stato che entra nel merito della validità dell'ordine di demolizione in caso di accertamento di conformità
Si torna a parlare di abusi edilizi, ordine di demolizione e richiesta di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia). Questa volta a trattare l'argomento è la Sezione Sesta del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5456 del 15 settembre 2020 resa per la richiesta di riforma di una precedente decisione di primo grado in riferimento all'ordine di demolizione di abusi edilizi.
Abusi edilizi e accertamento di conformità: il caso di specie
Nel caso di specie è stato presentato appello per la riforma di una sentenza del TAR che aveva confermato l'operato del Comune e respinto la richiesta di annullamento dell'ordinanza di demolizione basata sui seguenti presupposti:
- ordine di demolizione arrivato dopo oltre un ventennio dalla realizzazione degli abusi edilizi;
- presentazione (successiva all'ordine di demolizione) di un'istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del Testo Unico Edilizia;
- la modesta entità degli abusi.
La sentenza del Consiglio di Stato, confermando i principi dei giudici di primo grado, offre alcuni interessanti spunti sulla repressione degli abusi edilizi.
Abusi edilizi: l'ordine di demolizione non va in prescrizione
In riferimento al "trascorso del tempo", i giudici del Consiglio di Stato hanno confermato un principio consolidato per cui l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è un atto vincolato che non solo non va in prescrizione ma non richiede neanche di specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, né la comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né tampoco una motivazione specifica sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’applicazione della sanzione demolitoria
La pubblica amministrazione, dunque, non ha alcun dovere ad esternare le ragioni di pubblico interesse che essa intendesse perseguire, essendo la sanzione edilizia subordinata soltanto all'esistenza d’un illecito edilizio e alla descrizione di esso con un sufficiente grado di specificità fisica dell’opera abusiva. In definitiva, l’ordine di demolizione di opere edili mai fondate su un titolo legittimante non necessita, seppur tardivamente ingiunto ed a causa della natura vincolata di esso, della motivazione sulle ragioni di pubblico interesse (diverse dal ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso.
Il DPR n. 380/2001 non prevede alcuna "sanatoria extra ordinem" basata sul trascorso del tempo e in mancanza di un’espressa previsione normativa in deroga o di prescrizione della potestà sanzionatoria vale il principio dell'inesauribilità di questa, a causa della natura d’illecito permanente riconoscibile nell’abuso edilizio. In tal caso, l’attività dei privati è sempre sanzionabile, qualunque siano il tempo già trascorso e l'entità dell'infrazione.
Abusi edilizi: l'accertamento di conformità blocca l'ordine di demolizione?
Questo argomento è stato recentemente trattato dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con la sentenza n. 9122 del 10 agosto 2020 e prima dalla Sezione Sesta del Consiglio di Stato con sentenza 16 aprile 2019, n. 2484.
La nuova sentenza del Consiglio di Stato si allinea a quanto già stabilito dalla giurisprudenza in riferimento alla presentazione di un'istanza di accertamento di conformità successiva all'ordine di demolizione. Come specificato dalla giurisprudenza, in questo caso l'istanza di sanatoria non incide sull’efficacia o sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione precedentemente emanata.
I giudici del Consiglio di Stato però aggiungono un nuovo tassello al complicato quadro di riferimento. Viene, infatti, precisato che alcune disposizioni del passato (riconducibili all’art. 31 della l. 47/1985 ed aventi portata eccezionale) avevano previsto la sospensione dei giudizi pendenti e la mancata eseguibilità di atti di natura sanzionatoria, riguardanti opere oggetto delle istanze di condono c.d. straordinario. Ma si è trattato d’una normativa di stretta interpretazione ed esclusivamente collegata al regime dei diversi condoni edilizi succedutisi nel tempo. Per contro, quando vi è l'impugnazione d’una sanzione edilizia ed è proposta una domanda ai sensi dell'art. 36 del DPR n. 380/2001, in base alla legislazione vigente nessuna disposizione prevede che questo Giudice debba sospendere il giudizio, né che la P.A. o il Giudice stesso rilevino la sopravvenuta carenza di effetti della sanzione emanata in precedenza.
Abusi edilizi: c'è differenza tra condono edilizio e accertamento di conformità?
In tal senso il Consiglio di Stato ha ricordato la differenza tra condono edilizio e accertamento di conformità che, benché accomunati sotto l’unica ma erronea e spuria etichetta di “sanatoria”, il primo sana un illecito esistente e lo recupera a legalità in un contesto pianificatorio a ciò preordinato, il secondo riguarda, in base alla regola della c.d. “doppia conformità”, la mera regolarizzazione dell’opera.
Abusi edilizi e accertamento di conformità: silenzio assenso, silenzio-inadempimento o silenzio rifiuto?
Inoltre, il Consiglio di Stato aggiunge che il silenzio serbato dal Comune sull'istanza di accertamento di conformità ha valore non già di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso detto termine, non sussiste un obbligo di provvedere sull’istanza, dovendosi ritenere già perfezionata la statuizione negativa da impugnare nel termine ordinario di decadenza.
Da ciò discende che:
- l'intervenuta presentazione dell’istanza d’accertamento non paralizza i poteri sanzionatori comunali, né determina alcun’inefficacia sopravvenuta o alcuna invalidità di sorta dell'ordine di demolizione;
- in pendenza del termine di decisione sulla domanda d’accertamento, l'esecuzione della sanzione è solo temporaneamente sospesa;
- ove sia mancata la tempestiva impugnazione del diniego tacito maturato per decorso del termine di legge, l'ingiunzione di demolizione è eseguibile e non occorre emanare ulteriori atti sanzionatori;
- una volta conclusosi negativamente l'iter avviato con siffatta istanza, sussistono i presupposti per l'adozione dei provvedimenti repressivi degli abusi.
La realizzazione abusiva di una veranda può considerarsi di modesta entità?
In riferimento alla modesta entità dell'abuso, i giudici di secondo grado precisano che la veranda realizzata sulla balconata d’un appartamento determina una variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale è realizzata e, quindi, è soggetta al previo rilascio di permesso di costruire. Si tratta, infatti, di strutture fissate in maniera stabile al pavimento che comportano la chiusura di tutto o parte del balcone, con conseguente aumento della volumetria e modifica del prospetto. Né rileva la natura dei materiali utilizzati, ché la chiusura, pur dove realizzata con pannelli in alluminio o altro materiale leggero, costituisce comunque un aumento volumetrico e, quindi, non può esser intesa qual “pertinenza” in senso urbanistico, poiché la veranda integra, infatti, un nuovo locale autonomamente utilizzabile, il quale viene ad aggregarsi a un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie. Anzi, tal vicenda, ben lungi dall’esser un elemento di scarso rilievo (p.es., per i materiali adoperati o la modestia di superficie occupata), ha un proprio impatto paesaggistico e, come tale, oltre ad esser un intervento ampliativo di ristrutturazione è pure un manufatto edilizio equivalente ai fini della doverosa autorizzazione paesaggistica.
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A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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