Codice Appalti: Il decreto semplificazioni non semplifica nulla com'era facile aspettarsi
Era facilmente prevedibile che la semplificazione degli appalti risultasse tutt'altro che semplice. Così, il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, inizialm...
Era facilmente prevedibile che la semplificazione degli appalti
risultasse tutt'altro che semplice. Così, il
decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, inizialmente
caricato del compito di sfrondare il d.lgs 50/2016
di alcune delle troppe criticità che lo rendono uno
strumento impraticabile e poco utile per attivare lavori,
servizi e forniture, praticamente sul punto non dispone nulla,
se non una banale riformetta all'articolo 80.
La legislazione sugli appalti rimane incatenata alle pulsioni di
questi anni: centralizzazione delle procedure entro
soggetti aggregatori troppo deboli; obbligo di
utilizzo di comunicazioni elettroniche in assenza di una
piattaforma unica nazionale telematica, alla quale tenta
di supplire qualche aggregatore; ridondanza, eccesso,
moltiplicazione, torrenzialità degli adempimenti meri, statistici e
del tutto inutili ai fini dell'iter, dovuti alla
disciplina anticorruzione, che fin qui si è rivelata un
carico operativo immenso, a fronte di una capacità
pressochè nulla di prevenire la corruzione, visto che gli
unici interventi seri restano appannaggio esclusivo della
magistratura.
Il tutto, arricchito da sistemi di individuazione del
contraente sotto soglia complicati e contraddittori;
invasione di regole giuridiche di nuovo conio, le
Linee Guida, ridondanti e spesso praeter legem, che sfaccettano
ulteriormente il quadro, anche perchè non tutte sono vincolanti e
su di esse la giurisprudenza ha scatenato la solita bagarre di
letture ed interpretazioni contraddittorie.
Semplificare sarebbe semplicissimo.
Basterebbe cancellare il codice dei contratti e recepire
integralmente, con pochissimi adattamenti, la direttiva
2014/24/UE. In questo modo, moltissimi degli elementi di
complicazione e ridondanza cadrebbero: l'assurdo articolo
29 che decuplica le pubblicazioni, il principio di
rotazione assolutamente non previsto dalle regole europee,
la disciplina sulla qualificazione delle stazioni
appaltanti, l'albo dei commissari di gara
(una procedura nella procedura solo per formare le commissioni),
le aggregazioni obbligatorie (i soggetti
aggregatori sono un valore solo se aiutano le amministrazioni,
realizzando per loro progetti e procedure o contribuendo a
calmierare i prezzi, non se sono una "gabbia" programmatoria e
procedurale), la soft law, le
contraddizioni sui subappalti.
Per prevenire la corruzione, in modo davvero efficace,
servirebbe un approccio del tutto diverso: la
riattivazione di sistemi di controllo preventivo su provvedimenti a
contrattare, bandi e contratti. Sapere che una variante non ha
presupposti dopo la sua approvazione è perfettamente chiaro quanto
risulti inutile e fonte di contenzioso.
Poi, semplificare significa non solo sfrondare il codice di
tutte quelle superfetazioni imposte dalla normativa italiana che lo
hanno reso un ircocervo. Significa anche comprendere che
tutta l'attenzione sulla procedura di gara è un miraggio. I
tempi degli appalti sono lunghi non tanto per la procedura da
seguire, bensì per le difficoltà enormi delle regole di
progettazione (ivi compresi gli incarichi) e,
soprattutto, di esecuzione. Per avere appalti di qualità
in tempi definiti occorre concentrare l'attenzione su quello che
avviene prima e dopo della gara. L'ossessione, invece,
sulle modalità di espletamento delle selezioni disperde
l'attenzione sui veri problemi e rende le gare un percorso ad
ostacoli inestricabile.
Occorrono regole ferree sui progetti, una validazione lasciata agli
organismi di controllo esterni; e regole ancor più chiare
sull'esecuzione, con l'autorizzazione preventiva sempre e solo di
soggetti esterni per varianti e modifiche.
Se davvero, poi, si vuol semplificare il sottosoglia, sarà
opportuno che per una buona volta il legislatore riconosca che la
motivazione al ricorso a sistemi di individuazione del contraente
semplici ed immediati sia da racchiudere esclusivamente e
solo in una certa soglia di base di gara. Senza alcun'altra
dimostrazione, senza alcun ulteriore onere
procedurale.
Ancora, ai fini della semplificazione operativa, occorre una scelta
definitiva sul costo del lavoro. Finchè in Italia non vi sia un
salario minimo per legge, qualsiasi programmazione del costo del
lavoro sarà impossibile. Le tabelle ministeriali sul costo medio
per territorio sono solo orientative e per altro nessuna stazione
appaltante può conoscere se e in che misura una certa azienda possa
godere di riduzioni del costo del lavoro per assunzione di
apprendisti, lavoratori con dote Naspi, lavoratori con altri
possibili incentivi, anche previsti da accordi territoriali ed
aziendali.
In assenza di tabelle rigide e vincolanti per tutti, non si può che
indicare alle aziende di esplicitare il costo del lavoro e
costruire un sistema di acquisizione dei dati sui contratti
applicati, sui costi orari connessi e sulla quantità di ore
prevista, da far gestire agli ispettorati del lavoro per verificare
la loro applicazione.
In assenza di questa consapevolezza e di interventi che
prendano di mira questi problemi, nessuna semplificazione sarà nè
reale, nè utile.
Tratto da luigioliveri.blogspot.com
Documenti Allegati
Decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135IL NOTIZIOMETRO