Comunicazione di scarto delle opzioni: atto impugnabile o no?

L'incapienza fiscale qualifica la cessione del credito come possibilità di utilizzare l'agevolazione, motivo per cui la revoca o il diniego possono essere impugnati

di Redazione tecnica - 19/02/2025

Ne abbiamo parlato pochi giorni fa quando, analizzando la sentenza della CGT di 1° grado di Avellino del 23 dicembre 204, n. 1537, avevamo messo in evidenza la decisione del giudice tributario di respingere il ricorso contro una comunicazione di scarto dell’Agenzia delle Entrate sull’utilizzo delle opzioni alternative per le spese sostenute per interventi Superbonus.

In particolare la Corte aveva specificato che:

  • il diritto alla detrazione ex art. 119 D.L. n. 34/2020, esercitabile anche nelle forme dello sconto in fattura o della cessione del credito ai sensi del successivo art. 121, nasce ab origine condizionato all’esito favorevole dell’eventuale controllo preventivo affidato dall’art. 122 bis all’Agenzia, ed è in questi limiti e a queste condizioni che può essere oggetto di cessione;
  • la comunicazione dello scarto non è atto impugnabile, non solo perché non espressamente compreso nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, ma anche perché non riconducibile all’esercizio della potestà impositiva e non espressivo di una pretesa tributaria: non riguarda il recupero a tassazione di detrazioni spettanti al contribuente e non è manifestazione di potestà impositiva;
  • se il legislatore avesse voluto riconoscere l’impugnabilità della comunicazione di scarto, avrebbe dovuto affermarlo espressamente. Ne deriva che non è preclusa la comunicazione di cessione in favore di altri soggetti, o comunque l’utilizzo dell’agevolazione sotto forma di detrazione diretta.

Comunicazione opzioni alternative: lo scarto è atto impugnabile?

Una tesi ben diversa da quella che invece adesso viene espressa dalla CGT 1° grado di Reggio Emilia con la sentenza n. 44/2025, con la quale ha accolto il ricorso di una contribuente presentato sempre a seguito dello scario della comunicazione dell’utilizzo della cessione del credito per un intervento Superbonus.

In questo caso, la ricorrente ha specificato di non disporre di sufficiente capienza fiscale per utilizzare la detrazione prevista dall'art. 119 d.l. n.34/2020, optando, per la cessione a una banca. Successivamente il Fisco ha scartato la comunicazione, motivandola solo con il richiamo alla normativa di riferimento ovvero l’art. 122-bis secondo cui:

“I profili di rischio sono individuati utilizzando criteri relativi alla diversa tipologia dei crediti ceduti e riferiti: a) alla coerenza e alla regolarità dei dati indicati nelle comunicazioni e nelle opzioni di cui al presente comma con i dati presenti nell'Anagrafe tributaria o comunque in possesso dell'Amministrazione finanziaria; b) ai dati afferenti ai crediti oggetto di cessione e ai soggetti che intervengono nelle operazioni a cui detti crediti sono correlati, sulla base delle informazioni presenti nell'Anagrafe tributaria o comunque in possesso dell'Amministrazione finanziaria; c) ad analoghe cessioni effettuate in precedenza dai soggetti indicati nelle comunicazioni e nelle opzioni di cui al presente comma".

Da qui il ricorso, sostenendo l’impugnabilità dell’atto, che rappresenta "diniego o revoca di agevolazione"; infatti la possibilità di cedere la detrazione d'imposta, prevista dalla normativa, è, senz'altro, da qualificare come un'agevolazione posto che, con la cessione, il contribuente raggiunge lo scopo di poter utilizzare, "a pronti", la detrazione anche nel caso di "incapienza" del suo reddito e di "finanziare", sempre "a pronti", l'intervento edilizio in alternativa ad altre forme di finanziamento, tipo mutuo, non sempre, facilmente, esperibili.

Dal canto suo il Fisco ha ribadito che l'atto impugnato, non avendo natura di atto impositivo, non necessiterebbe di motivazione; ha comunque integrato specificando che le irregolarità che hanno portato allo scarto si sostanziavano nel fatto, che la ricorrente era legale rappresentante e socia della società che ha realizzato gli interventi edilizi e che il subappaltatore, intervenuto nella realizzazione degli stessi, era un'impresa individuale, priva di dipendenti.

Atti impugnabili: vi rientra il diniego di agevolazione

Per prima cosa, il ricorso è stato giudicato ammissibile in quanto per principio di diritto, oramai pacificamente, affermato dalla Corte di Cassazione: "In tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell'art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con i quali l'Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, dovendo intendersi la tassatività riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati ma alle categorie a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili, nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici o con "nomen iuris" diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti giuridici, ed anche gli atti prodromici degli atti impositivi, sicché è da ritenersi impugnabile, quale diniego di agevolazione, l'atto di diniego parziale di estinzione di tributi iscritti a ruolo, essendo immediatamente lesivo dei diritti del contribuente.".

L'atto impugnato va qualificato come diniego di agevolazione, posto che la cessione del credito d'imposta ex art 121 cit., è, senz'altro, da qualificare come un'agevolazione poiché con la cessione il contribuente raggiunge il duplice lo scopo di poter utilizzare, “a pronti”, la detrazione, anche nel caso di “incapienza” del suo reddito, e di “finanziare”, sempre “a pronti”, l'intervento edilizio in alternativa ad altre forme di finanziamento, tipo mutuo bancario, non sempre, facilmente, esperibili.

Potendosi, dunque, qualificare l'atto impugnato come diniego di agevolazione lo stesso è atto impugnabile; esso peraltro è completamente carente di motivazione, ripetendo pedissequamente il dettato normativo e senza riferimenti alla fattispecie concreta, con un’integrazione postuma e inammissibile fatta in fase di giudizio.

E anche su questo la CGT ha richiamato quanto già statuito precedentemente dalla giurisprudenza tributaria, secondo cui “In tema di imposta di registro su atti giudiziari, l'avviso di liquidazione deve contenere "ab origine" la chiara esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con un grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al contribuente l'esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa, di talché eventuali lacune non possono essere colmate dall'amministrazione finanziaria con una motivazione postuma, resa nel corso del giudizio di impugnazione”.

Rimane comunque il dubbio sull’interpretazione della comunicazione di scarto tenendo conto che comunque non rappresenta un atto impositivo e che ad oggi sicuramente non è considerata in maniera univoca dalle Corti Tributarie.

 

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