Consiglio di Stato: Fase transitoria dell’abrogazione del rito super accelerato in materia di appalti

L’art. 1, comma 23, d.l. n. 32 del 2019 ha inteso consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore

di Redazione tecnica - 10/08/2020

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 29 luglio 2020, n. 4824, ha ricordato che le previsioni contenute nell’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. sono state abrogate dall’art. 1, comma 22 del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (cosiddetto “Sbloccacantieri”) convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55; il successivo comma 23 ha, poi, chiarito che il nuovo regime si applica “ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ovverosia dopo il 19 giugno 2019. 

Disposizione transitoria e sanatoria processuale

Nel dirimere fattispecie analoghe, parte della giurisprudenza di primo grado (in un quadro di orientamenti non unitario) ha condivisibilmente osservato che la disposizione transitoria poc’anzi menzionata non può essere intesa come introduttiva di una "sanatoria processuale" idonea a rimettere in termini i concorrenti nell'impugnazione di provvedimenti di ammissione non solo adottati prima di tale data, ma anche già consolidatisi per inutile decorso del termine di impugnazione ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a. (Tar Brescia, sez. I, n. 45 del 2020). 

Secondo altra interpretazione (Tar Milano, sez. I, ord., n. 831 del 2019) il principio “tempus regit actum” vale a rendere applicabile la disciplina processuale vigente al momento della instaurazione del giudizio, il che escluderebbe ogni rilevanza alle decadenze già maturate, trattandosi di preclusioni derivanti da norme processuali abrogate. 

Delle due soluzioni, appare preferibile la prima. La residua vigenza del regime processuale abrogato implica che l’attivazione del giudizio è soggetta ad un onere di tempestiva impugnazione a pena di decadenza nel termine ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a., sicché l’inutile decorso di detto termine determina il perfezionarsi di una fattispecie preclusiva, conclusa e non più rivedibile. La struttura bifasica della norma distingue, infatti, in maniera volutamente netta, il giudizio impugnatorio sulle ammissioni/esclusioni e quello sull’aggiudicazione ed esclude che il secondo possa estendersi alla cognizione dei profili propri del primo se non nel rispetto dell’indefettibile presupposto processuale sotteso alla rituale proposizione del ricorso ai sensi del sopra citato art. 120, comma 2-bis.

Poiché, dunque, del precedente regime processuale è parte sostanziale la decadenza conseguente al mancato esercizio dell’onere processuale nelle forme innanzi descritte, una volta decorso il termine prefissato non è possibile interpretare la fattispecie come ancora “aperta” e, quindi, attraibile al nuovo regime normativo; né pare sostenibile alcuna deroga per l’ipotesi del ricorso proposto direttamente contro l’aggiudicazione, intervenuta dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina e censurata per asseriti vizi riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione dell’aggiudicatario. Vero è che in questa ipotesi (coincidente con quella qui in esame) il giudizio risulta intrapreso dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 32 del 2019: tuttavia, l’abrogazione del regime processuale di cui all’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. ha espunto dal sistema la possibilità di impugnazione diretta dell’ammissione alla gara, sicché, residuando l’aggiudicazione quale unico atto contestabile, la salvezza entro un certo limite temporale del previgente regime processuale non può che intendersi come preclusione della contestazione dell’atto di aggiudicazione per profili afferenti ad atti di ammissione consolidatisi sotto la disposizione abrogata. 

Sempre ragionando in termini controfattuali, sembra poco plausibile ipotizzare che il legislatore, a mezzo della norma intertemporale, abbia inteso disciplinare la sola posizione di chi abbia già visto respinto, definitivamente e in epoca anteriore al decreto sblocca cantieri, il proprio ricorso proposto contro l’ammissione del concorrente poi divenuto aggiudicatario. In tale evenienza, la compiutezza della fattispecie e la sua attrazione alla disciplina abrogata conseguono all’avvenuto esperimento del mezzo processuale (principio del ne bis in idem o di consumazione dei mezzi di impugnazione – Cons. Stato, sez. III, n. 6281 del 2018; id., sez. V, n. 1570 del 2014; Cass. civ., sez. lav., n. 7813 del 2014) sicché, ove intesa in questo senso riduttivo, la disposizione del decreto “sblocca cantieri” apparirebbe sostanzialmente superflua. 

Viceversa, la possibilità di impugnazione diretta dell’aggiudicazione anche per vizi relativi all’ammissione non tempestivamente dedotti ai sensi della norma abrogata, oltre ad incorrere negli inconvenienti sopra segnalati, creerebbe una immotivata disparità di trattamento rispetto a chi l’azione ex art. art. 120, commi 2-bis e 6-bis c.p.a. l’abbia già esperita senza successo e si veda poi preclusa la possibilità di far valere gli stessi vizi sull’aggiudicazione.

Più verosimilmente, dunque, l’art. 1, comma 23, d.l. n. 32 del 2019 – lungi dal voler ‘resuscitare’ un termine già definitivamente spirato – ha inteso consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore ma solo ove tale termine sia ancora pendente, sicché solo in tale ipotesi sarebbe possibile far valere i vizi degli atti di ammissione (non ancora “inoppugnati”) in occasione della contestazione dell’atto finale di aggiudicazione definitiva. 

Nel senso della soluzione qui accolta depongono, su un piano più sistematico, oltre al principio di inoppugnabilità degli atti amministrativi, anche quello di inapplicabilità retroattiva dello jus superveniens (entrambi rinvenienti saldi addentellati costituzionali negli artt. 24, 97 e 113 Cost.) nonché l’art. 2 delle disposizioni transitorie del c.p.a. il quale, nel sancire che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti, sembra dettare un criterio di orientamento coerente con l’impostazione sin qui tracciata.​​​​​​​

In allegato la Sentenza del Consiglio di Stato 29 luglio 2020, n. 4824.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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