Contratto tipo CNAPPC tra architetto e collaboratore: Potrebbe celare una falsa partita Iva
La pubblicazione da parte del Consiglio nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori dei “contratti tipo” suggeriti, tra l’altro nell...
La pubblicazione da parte del Consiglio nazionale degli
Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori dei
“contratti tipo” suggeriti, tra l’altro nella riforma delle
professioni è, indubbiamente una lodevole iniziativa idonea a
precisare che un corretto rapporto di lavoro tra Cliente e
Professionista, così come tra Professionista e Professionista,
passa dall'aver sottoscritto e condiviso regole chiare nel
rapporto di lavoro.
Esaminiamo, oggi, il primo dei contratti tipo e cioè quello tra l’architetto ed il collaboratore con partita IVA che è quello, poi, dei frequenti casi in cui si cela la finta partita iva.
Pur precisando che il lavoro predisposto dal CNAPPC è, indubbiamente, lodevole al fine di uniformare e dare delle linee di indirizzo alle varie proposte che vengono fatte nel corso dei colloqui di lavoro non possiamo non evidenziare alcuni punti deboli di tale schema di contratto che è opportuno modificare al fine di evitare uno di quei casi di falsa partita Iva che molto spesso si sono verificati e che continuano, ancora, a verificarsi.
Entrando nel dettaglio, è opportuno attenzionare il primo punto delle premesse, dove viene individuata la prestazione richiesta e dove viene, al termine precisato che “II Prestatore D'Opera dovrà svolgere a favore del Committente le seguenti attività …. o più in generale di servizi di collaborazione, non meglio precisati, alle usuali attività di studio del committente”; la precisazione viene, poi, riproposta, anche, nel punto 4 del contratto stesso.
Tale definizione (in verità non definizione), ovviamente, nasconde una serie di attività che non possono essere ricomprese nelle attività rese in qualità di prestatore d’opera “senza vincolo di subordinazione nel quadro di un rapporto unitario e continuativo, con assoluta autonomia o indipendenza, senza risultare soggetto a direttive di natura tecnica e/o organizzativa nonché a vincoli di dipendenza gerarchica” .
Riteniamo, dunque, che tale precisazione (o più in generale di servizi di collaborazione, non meglio precisati, alle usuali attività di studio del committente) debba essere cassata in quanto sarebbe contraria, nel caso di collaborazione senza vincolo di subordinazione, agli articoli 2222 e 2223 del Codice civile che disciplinano il contratto d’opera “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un opera o un servizio” e che precisano che “In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.”.
Nello schema di contratto viene più volte precisato che “II prestatore d'opera presterà la propria opera in piena autonomia gestionale, organizzativa e operativa, salvo il necessario coordinamento generale e programmatico con il Committente. Pertanto tale attività lavorativa sarà svolta a titolo di prestazione d'opera con lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione nel quadro di un rapporto unitario e continuativo, con assoluta autonomia o indipendenza, senza risultare soggetto a direttive di natura tecnica e/o organizzativa nonché a vincoli di dipendenza gerarchica” e ciò, ovviamente significa che non devono essere prefissati orari di lavoro, non deve essere prevista nessuna firma di ingresso o di uscita, non deve esserci nessun obbligo di lavoro presso la sede dell’architetto se non per esigenze strettamente necessarie all’assolvimento dell’incarico.
Per quanto concerne l’assicurazione di responsabilità civile, nello schema di contartto è precisato che “Il Prestatore d’Opera, per l’attività svolta in base al presente contratto, non è tenuto a stipulare polizza di R.C. professionale per eventuali i danni provocati nell'esercizio della propria attività professionale”; il prestatore d’opera non è obbligato, quindi, a stipulare la polizza di R.C. e vale la pena sottolineare, anche, che in un altro punto dello schema di contratto viene precisato che “II Committente assume la responsabilità civile per i fatti compiuti dal Prestatore d'Opera nell'esercizio delle funzioni strettamente connesse all'incarico ricevuto”.
Tali situazioni potrebbero però, di fatto, inficiare l’autonomia del prestatore d’opera.
Esaminiamo, oggi, il primo dei contratti tipo e cioè quello tra l’architetto ed il collaboratore con partita IVA che è quello, poi, dei frequenti casi in cui si cela la finta partita iva.
Pur precisando che il lavoro predisposto dal CNAPPC è, indubbiamente, lodevole al fine di uniformare e dare delle linee di indirizzo alle varie proposte che vengono fatte nel corso dei colloqui di lavoro non possiamo non evidenziare alcuni punti deboli di tale schema di contratto che è opportuno modificare al fine di evitare uno di quei casi di falsa partita Iva che molto spesso si sono verificati e che continuano, ancora, a verificarsi.
Entrando nel dettaglio, è opportuno attenzionare il primo punto delle premesse, dove viene individuata la prestazione richiesta e dove viene, al termine precisato che “II Prestatore D'Opera dovrà svolgere a favore del Committente le seguenti attività …. o più in generale di servizi di collaborazione, non meglio precisati, alle usuali attività di studio del committente”; la precisazione viene, poi, riproposta, anche, nel punto 4 del contratto stesso.
Tale definizione (in verità non definizione), ovviamente, nasconde una serie di attività che non possono essere ricomprese nelle attività rese in qualità di prestatore d’opera “senza vincolo di subordinazione nel quadro di un rapporto unitario e continuativo, con assoluta autonomia o indipendenza, senza risultare soggetto a direttive di natura tecnica e/o organizzativa nonché a vincoli di dipendenza gerarchica” .
Riteniamo, dunque, che tale precisazione (o più in generale di servizi di collaborazione, non meglio precisati, alle usuali attività di studio del committente) debba essere cassata in quanto sarebbe contraria, nel caso di collaborazione senza vincolo di subordinazione, agli articoli 2222 e 2223 del Codice civile che disciplinano il contratto d’opera “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un opera o un servizio” e che precisano che “In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.”.
Nello schema di contratto viene più volte precisato che “II prestatore d'opera presterà la propria opera in piena autonomia gestionale, organizzativa e operativa, salvo il necessario coordinamento generale e programmatico con il Committente. Pertanto tale attività lavorativa sarà svolta a titolo di prestazione d'opera con lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione nel quadro di un rapporto unitario e continuativo, con assoluta autonomia o indipendenza, senza risultare soggetto a direttive di natura tecnica e/o organizzativa nonché a vincoli di dipendenza gerarchica” e ciò, ovviamente significa che non devono essere prefissati orari di lavoro, non deve essere prevista nessuna firma di ingresso o di uscita, non deve esserci nessun obbligo di lavoro presso la sede dell’architetto se non per esigenze strettamente necessarie all’assolvimento dell’incarico.
Per quanto concerne l’assicurazione di responsabilità civile, nello schema di contartto è precisato che “Il Prestatore d’Opera, per l’attività svolta in base al presente contratto, non è tenuto a stipulare polizza di R.C. professionale per eventuali i danni provocati nell'esercizio della propria attività professionale”; il prestatore d’opera non è obbligato, quindi, a stipulare la polizza di R.C. e vale la pena sottolineare, anche, che in un altro punto dello schema di contratto viene precisato che “II Committente assume la responsabilità civile per i fatti compiuti dal Prestatore d'Opera nell'esercizio delle funzioni strettamente connesse all'incarico ricevuto”.
Tali situazioni potrebbero però, di fatto, inficiare l’autonomia del prestatore d’opera.
A cura di Gabriele
Bivona
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