DI PIETRO DA’ UNA MANO A CUFFARO
La società “Ponte sullo stretto” non verrà soppressa. Il 25 ottobre, a Palazzo Chigi, alle quattro e mezzo di pomeriggio, durante il dibattito al Senato sui...
La società “Ponte sullo stretto” non verrà soppressa.
Il 25 ottobre, a Palazzo Chigi, alle quattro e mezzo di pomeriggio, durante il dibattito al Senato sui 47 articoli del decreto fiscale collegato alla manovra finanziaria, il ministro alle Infrastrutture Antonio Di Pietro ha votato contro un emendamento del proprio governo che proponeva la soppressione della società "Ponte dello stretto di Messina spa".
La decisone era stata presa e già annunciata dai media per via che il ponte sullo stretto di Messina non rientrava più all'ordine del giorno del governo, in quanto quella della società era ritenuta dalla maggioranza una scatola ormai vuota. Una società che costerebbe alle casse dello stato circa 34 milioni l'anno.
Di Pietro, tra l’altro, aveva annunciato più volte che con i soldi del Ponte voleva potenziare alcune infrastrutture al Sud, in Sicilia e in Calabria.
Il fatto è che chiudere questa società - sostiene Di Pietro - sarebbe costato allo Stato molto in termini penali e di ricorsi. Tanto vale, quindi, tenerla aperta e farla confluire in altre società. Nel senso di “chi vivrà vedrà”.
“Se la cancellassimo - sostiene Di Pietro - ci beccheremo i ricorsi delle società e tutto ciò ci verrebbe a costare in termini di penali qualche centinaia di milioni di euro” ( circa 600 milioni di euro).
Questo conto, Di Pietro - si legge - lo avrebbe fatto i giorni scorsi anche quando al Senato il relatore del decreto, il verde Natale Ripamonti, dopo la cancellazione della società avrebbe trasferito il personale in una nuova neo-agenzia col compito di promuovere le infrastrutture in Calabria e Sicilia annunciate dallo stesso Di Pietro.
Il ministro alle Infrastrutture era stato da subito contrario. Aveva definito "talebani animati da puro furore antagonista" i proponenti dello scioglimento e detto che chiudere la società avrebbe messo in conto una penale di 500 milioni di euro più altri 130 milioni da pagare alla Impregilo
Di Pietro aveva invece proposto di fare confluire la "Stretto di Messina spa" nell'Anas.
Quali che siano le spiegazioni date da Di Pietro, durante il faccia-a-faccia a Palazzo Chigi, il premier non è stato certo soddisfatto. Finito l'incontro il Premier è sceso in sala stampa per dire pubblicamente e in diretta tv basta "a divisioni su questioni di parte" che mettono in forse le decisioni finanziaria del governo studiate a tavolino e concordata con tutte le parti sociali”.
Intanto la senatrice Franca Rame minaccia le dimissioni da l'Italia dei Valori. "Non sono d'accordo - ha detto la moglie del premio nobel Dario Fo - sulla scelta fatta questa mattina riguardo il ponte sullo Stretto. E non capisco la posizione di Di Pietro. Avrebbe dovuto almeno informarci e discuterne''.
Il 25 ottobre, a Palazzo Chigi, alle quattro e mezzo di pomeriggio, durante il dibattito al Senato sui 47 articoli del decreto fiscale collegato alla manovra finanziaria, il ministro alle Infrastrutture Antonio Di Pietro ha votato contro un emendamento del proprio governo che proponeva la soppressione della società "Ponte dello stretto di Messina spa".
La decisone era stata presa e già annunciata dai media per via che il ponte sullo stretto di Messina non rientrava più all'ordine del giorno del governo, in quanto quella della società era ritenuta dalla maggioranza una scatola ormai vuota. Una società che costerebbe alle casse dello stato circa 34 milioni l'anno.
Di Pietro, tra l’altro, aveva annunciato più volte che con i soldi del Ponte voleva potenziare alcune infrastrutture al Sud, in Sicilia e in Calabria.
Il fatto è che chiudere questa società - sostiene Di Pietro - sarebbe costato allo Stato molto in termini penali e di ricorsi. Tanto vale, quindi, tenerla aperta e farla confluire in altre società. Nel senso di “chi vivrà vedrà”.
“Se la cancellassimo - sostiene Di Pietro - ci beccheremo i ricorsi delle società e tutto ciò ci verrebbe a costare in termini di penali qualche centinaia di milioni di euro” ( circa 600 milioni di euro).
Questo conto, Di Pietro - si legge - lo avrebbe fatto i giorni scorsi anche quando al Senato il relatore del decreto, il verde Natale Ripamonti, dopo la cancellazione della società avrebbe trasferito il personale in una nuova neo-agenzia col compito di promuovere le infrastrutture in Calabria e Sicilia annunciate dallo stesso Di Pietro.
Il ministro alle Infrastrutture era stato da subito contrario. Aveva definito "talebani animati da puro furore antagonista" i proponenti dello scioglimento e detto che chiudere la società avrebbe messo in conto una penale di 500 milioni di euro più altri 130 milioni da pagare alla Impregilo
Di Pietro aveva invece proposto di fare confluire la "Stretto di Messina spa" nell'Anas.
Quali che siano le spiegazioni date da Di Pietro, durante il faccia-a-faccia a Palazzo Chigi, il premier non è stato certo soddisfatto. Finito l'incontro il Premier è sceso in sala stampa per dire pubblicamente e in diretta tv basta "a divisioni su questioni di parte" che mettono in forse le decisioni finanziaria del governo studiate a tavolino e concordata con tutte le parti sociali”.
Intanto la senatrice Franca Rame minaccia le dimissioni da l'Italia dei Valori. "Non sono d'accordo - ha detto la moglie del premio nobel Dario Fo - sulla scelta fatta questa mattina riguardo il ponte sullo Stretto. E non capisco la posizione di Di Pietro. Avrebbe dovuto almeno informarci e discuterne''.
A cura di Salvo Sbacchis
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