Emergenza Covid-19 e cantieri pubblici: soluzioni mirate per la ripartenza
La ripresa dell’attività dei cantieri rappresenta una importante sfida per il Paese al fine di mettere in moto rapidamente processi di sviluppo e di crescita
In presenza dell’evento pandemico Covid-19 la ripresa dell’attività dei cantieri pubblici, unitamente alla tutela dei lavoratori e delle imprese, rappresenta una importante sfida per il Paese al fine di mettere in moto rapidamente processi di sviluppo e di crescita. Nella convinzione che, per raggiungere l’obiettivo sia necessario individuare correttamente i problemi, vengono dapprima illustrate le criticità e poi formulate alcune proposte mirate alla ripresa dell’esecuzione dei lavori pubblici. Le misure individuate non necessitano di particolari modifiche delle norme vigenti e ciò può favorire una ripartenza dei cantieri in tempi rapidi.
Emergenza coronavirus e cantieri pubblici: ragionare prima sui problemi e poi individuare gli strumenti
In tempi di coronavirus molte sono le proposte formulate per far ripartire i lavori pubblici ed è normale e giusto che sia così. Nel breve periodo infatti la ripresa dei cantieri costituisce una leva indispensabile affinché le imprese non smettano di generare fatturato e di erogare salari ai lavoratori; nel medio-lungo periodo invece opere ben fatte contribuiranno a dotare il Paese di quelle infrastrutture di cui ha bisogno con un positivo effetto sulla crescita e sul rapporto debito/PIL (non è un caso che nell’aggiornamento del DEF, presentato di recente dal Governo in Parlamento, si affermi che tale rapporto verrà ricondotto verso la media dell’area europea entro il prossimo decennio attraverso una strategia che, oltre al conseguimento di un surplus primario, si baserà sul rilancio degli investimenti pubblici e privati).
Senza entrare nel merito di ciò che si è letto sino ad oggi e dando per scontato che vi è un generale accordo sugli obiettivi da perseguire (tutela dell’impresa, tutela della salute dei lavoratori e tutela dell’occupazione), tutte o quasi le proposte formulate agiscono sugli strumenti: modello commissariale, velocizzazione delle procedure di gara, sospensione o nelle varianti più spinte abrogazione in tutto o in parte del Codice dei contratti pubblici.
E’ invece auspicabile ragionare in termini di problemi, anziché di strumenti, perché diverse sono le questioni che si pongono:
- per le opere in corso di esecuzione che hanno subito una rallentamento per via dell’emergenza epidemiologica;
- per le opere i cui cantieri sono fermi ben prima del coronavirus;
- per le opere che verranno, nel senso che la fase della progettazione e le procedure di gara non si sono ancora concluse ovvero non sono state ancora avviate.
Ed ecco allora una proposta che muove dai problemi per giungere agli strumenti e alle eventuali modifiche normative necessarie. Queste ultime peraltro, se si vuole avere una qualche speranza di successo nello sbloccare i cantieri pubblici, devono essere contenute al minimo indispensabile, mantenendo ferma il più possibile la cornice generale del Codice dei contratti pubblici sia perché non è detto che a quest’ultimo si debbano imputare tutti i guai (anzi è probabile che i problemi nascano a prescindere dal Codice) sia perché abrogare o sospendere alcune norme ed introdurne altre non potrà che rendere più complesso il quadro. Si dovrà infatti capire cosa è abrogato e cosa no, l’esatto significato delle nuove norme, nonché la portata dei vari combinati disposti risultanti dalla compresenza di norme nuove e di quelle non abrogate. Inoltre un’operazione di tal fatta richiederebbe un’attenta e meditata valutazione sulla compatibilità europea della sospensione o abrogazione del Codice, non potendo certo bastare, per superare il test, un generico richiamo all’attuale situazione emergenziale.
Quali soluzioni per le opere pubbliche in corso di esecuzione
Se si parte dalle opere in corso di esecuzione, rallentate o sospese per causa del coronavirus, vi sono due profili sui quali bisogna agire con urgenza. La situazione emergenziale ha infatti determinato e determinerà un notevole aumento dei costi per l’impresa legati all’adozione delle misure di tutela anti contagio. Non ci si intende riferire tanto ai maggiori oneri per l’acquisto dei DPI, quanto piuttosto ad un problema, forse sottovalutato, ma rilevantissimo: se davvero si vuole tutelare la salute dei lavoratori, è evidente come il distanziamento sociale debba essere garantito anche al di fuori dell’orario di lavoro, fornendo, a quelli non residenti nel luogo dove si realizza l’intervento, non i tradizionali dormitori montati in cantiere, ma stanze singole in strutture alberghiere o residenziali. Il che determina oneri assai ingenti in capo all’impresa.
Infine, non va sottaciuta la circostanza che vi sono anche altri costi, quali, ad esempio, quelli derivanti dalla minore produttività del cantiere per effetto della rimodulazione dei processi produttivi. Si badi bene: questi ultimi costi non possono essere recuperati con il semplice differimento del termine per l’ultimazione dei lavori, perché a questo differimento si assocerebbe automaticamente quantomeno (e certamente non solo) un incremento percentuale del costo del lavoro.
Se non si vuole dunque che le imprese risolvano i contratti per onerosità sopravvenuta (con conseguente contenzioso e blocco definitivo del cantiere), occorre stabilire (basta una norma) come ripartire la maggiorazione dei costi. Si può discutere della misura in cui la stazione appaltante dovrà accollarsi tale maggiorazione, ma è certo che non si può pensare che i maggiori oneri possano gravare interamente sull’impresa, a meno che non si voglia affossare la ripartenza dei cantieri pubblici, prima ancora che se ne senta il vagito. In proposito nell’Allegato 7 del DPCM del 26 aprile 2020 si legge che il coordinatore per la sicurezza nei luoghi di lavoro provvede ad integrare il Piano di sicurezza e coordinamento e la relativa stima dei costi. Nulla però si dice neanche in termini programmatici sul riparto di questi costi. Dunque un intervento chiarificatore in tal senso è quanto mai necessario.
Peraltro decidere sul punto neanche basta. E’ necessario accompagnare tale previsione con l’istituzione di un Fondo cantieri dal quale le amministrazioni pubbliche potranno attingere per erogare le somme spettanti alle imprese in tempi rapidissimi (si può pensare non oltre quindici giorni dall’accertamento dei maggiori costi).
Sino ad oggi l’unico strumento messo in campo, di cui possono fruire anche le imprese edili, è rappresentato dal riconoscimento di una somma alle imprese per l’acquisto dei DPI. In proposito il Bando “Impresa sicura”pubblicato di recente da Invitalia prevede un rimborso pari ad Euro 500,00 per ogni lavoratore, sino ad un massimale di Euro 150.000,00 per impresa, a copertura dei seguenti costi: mascherine; guanti in lattice, in vinile e in nitrile; dispositivi per protezione oculare; indumenti di protezione, quali tute e/o camici; calzari e/o sovrascarpe; cuffie e/o copricapi; dispositivi per la rilevazione della temperatura corporea; detergenti e soluzioni disinfettanti/antisettici.
Il punto è che le voci di costo indicate nel Bando sono solo una parte e neanche la più significativa degli oneri che l’impresa deve sostenere per la corretta adozione ed implementazione di un piano anti contagio, tenendo conto proprio delle indicazioni degli Allegati 6 e 7 del DPCM del 26 aprile 2020. Dalla comparazione di dette indicazioni con le voci previste nell’Allegato XV al D.Lgs. n. 81/2008 mancano all’appello quantomeno gli oneri dell’apprestamento dei box in ingresso cantiere per la rilevazione della temperatura, dei box ad uso infermeria/presidio sanitario, dei box relativi ai servizi igienici dedicati ai visitatori esterni; nonché gli oneri derivanti dall’apprestamento della segnaletica di sicurezza, dei depliants informativi, nonché quelli relativi al sovrapprezzo per l’utilizzo del mezzo aggiuntivo per il raggiungimento del luogo di lavoro e quelli relativi alla riorganizzazione dei servizi dei fornitori esterni. Per altri costi, infine, solo una quota parte può essere coperta dal Bando Invitalia (ci si riferisce alla pulizia giornaliera dei servizi igienici, al servizio di sanificazione).
Anche alla luce di quanto detto trova dunque conferma che per il settore degli appalti pubblici si debba necessariamente fare chiarezza sugli tutti gli aspetti prima indicati.
Quali soluzioni per la ripartenza dei cantieri già fermi prima del coronavirus.
Venendo al problema dei cantieri, i cui contratti sono stati stipulati ben prima del coronavirus, ma che sono fermi perché i lavori non sono mai iniziati o si sono bloccati, non è male ricordare, come secondo stime attendibili, il valore di queste opere non realizzate sia pari a circa 62 miliardi di Euro (dato Ance-Relazione del Presidente all’Assemblea del 30 ottobre 2019). Dunque, mai come in questo momento di crisi, bisogna rimettere in moto anche e soprattutto i cantieri in questione.
Il punto è che il blocco si è avuto, il più delle volte, a causa di errori progettuali che determinano la necessità di una variante. Si sa che le varianti, quand’anche siano ammissibili e vi sia la copertura finanziaria, portano via molto tempo. Bisogna, dunque, semplificare. Ma come? Ecco una proposta che richiede non più di tre enunciati normativi chiari e ben fatti. Occorre prevedere in primo luogo un termine certo entro il quale la stazione appaltante dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità della variante (massimo trenta giorni dal momento in cui il problema viene formalizzato dall’impresa). Per prevenire l’insorgere di contenziosi tra la stazione appaltante e l’impresa esecutrice, si deve poi prevedere una sorta di partenariato tra i due attori, nel senso che la redazione del progetto di variante deve essere rimessa all’impresa in tempi rapidi (massimo trenta giorni) con oneri da ripartire in misura pari in capo alla stessa e alla stazione appaltante, cui segue il vaglio e l’approvazione del progetto stesso, sempre entro massimo trenta giorni dalla sua redazione. Infine, bisogna prevedere che l’inerzia dell’impresa nel presentare il progetto di variante comporterà l’impossibilità di chiedere il risarcimento del danno per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, come pure nulla sarà dovuto alla stessa per problemi che dovessero insorgere in via di esecuzione (in questo modo l’impresa sarà incentivata a redigere il progetto di variante in tempi rapidi ed in modo corretto). Peraltro anche per questi cantieri, ove si riuscisse a far ripartire i lavori, rimangono ferme le problematiche illustrate nel paragrafo precedente con le relative proposte di soluzione.
Quali soluzioni per velocizzare e migliorare la qualità delle fasi antecedenti alla stipula del contratto: il nodo della progettazione.
Vi è poi il terzo problema, cui si accennava all’inizio: e cioè i tempi necessari per arrivare all’individuazione dell’aggiudicatario con il quale la P.A. stipulerà il contratto d’appalto.
Al riguardo vi è una grande attenzione sulle procedure di gara, individuate come le massime responsabili del dilatarsi dei tempi dell’appalto. Si tratta di una attenzione, seppure comprensibile, forse eccessiva.
Il punto dolente, dove si realizza la dilatazione dei tempi, sta soprattutto nella fase della progettazione (si veda il Rapporto 2018 sui tempi di attuazione delle opere pubbliche predisposto dall’Agenzia per la Coesione Territoriale).
In proposito è ragionevole ipotizzare che tale dilatazione non possa che derivare da una incerta gestione dei vari passaggi in cui si articola la fase della progettazione (quelli strettamente tecnici, ma anche quelli di natura anche giuridica volti a indicare, soprattutto in sede di redazione del progetto definitivo, tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle autorizzazioni e approvazioni). Del pari è ragionevole ritenere che tale incertezza gestionale sia in ultima istanza imputabile ad una mancanza di qualificazione e di competenze adeguate in senso alla stazione appaltante. Ma su questo aspetto poco si può fare nel breve periodo, se non tentare di valorizzare strumenti che già sono previsti dalla normativa vigente. E così, ad esempio, sarebbe opportuno che la designazione del soggetto verificatore degli elaborati progettuali sia anticipata alla fase del progetto di fattibilità e che vi debba essere un confronto costante tra il progettista ed il soggetto incaricato della verificazione. Per fare ciò potrebbe non essere nemmeno necessaria una modifica normativa, perché, se è vero che l’art. 26 del Codice dei contratti pubblici prevede che la verificazione e la validazione del progetto abbiano luogo al termine dell’attività di progettazione e prima dell’inizio delle procedure di affidamento, non sembra vietato alla stazione appaltante disporre la nomina del verificatore in un momento anteriore ed affidare allo stesso il compito di interloquire con il progettista.
Nel medio-lungo periodo occorre invece puntare sulla riqualificazione e sull’incremento delle capacità progettuali interne alle pubbliche amministrazioni e, almeno per gli interventi di routine o manutentori, sulla messa in attività della centrale di progettazione già prevista dalla normativa, ma non ancora entrata a regime.
Non dimenticare le garanzie che le opere siano ben realizzate: due proposte minime.
Infine, un’ultima questione, che non è di minore importanza delle altre. La ripartenza deve essere accompagnata dalla garanzia che le opere siano ben fatte ed eseguite da soggetti affidabili in possesso cioè di adeguati requisiti professionali e tecnici necessari. Di questo si parla poco, ma non bisogna abbassare la guardia per tante ragioni. Ecco sul punto due proposte, che pure non richiedono grossi interventi normativi.
La prima è sottoporre le imprese, che stanno operando nei cantieri e che certamente hanno sofferto dell’emergenza sanitaria, ad una verifica straordinaria sul mantenimento dei requisiti tecnico-professionali. Il sistema SOA può benissimo essere utilizzato a tal fine con la previsione che gli oneri della verifica devono essere sostenuti dalle stazioni appaltanti attingendo al Fondo cantieri.
La seconda proposta è quella di estendere l’obbligo della garanzia postuma decennale ed il correlato controllo tecnico, di cui all’art. 103, comma 7, del Codice dei contratti pubblici, anche ai lavori di importo pari o superiore ad 1 milione di Euro. Gli eventuali oneri aggiuntivi potranno essere posti a carico del Fondo cantieri per le opere che partono durante il periodo di emergenza.
A cura di Alberto Zito
Professore ordinario di diritto amministrativo nell’Università di
Teramo, docente presso la SNA-Scuola Nazionale dell’Amministrazione
e avvocato
Pier Luigi Gianforte
Ingegnere esperto in materia di appalti pubblici e docente presso
la SNA-Scuola Nazionale dell’Amministrazione
Articolo tratto da Giustamm.it - Rivista di Diritto Pubblico
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