Il Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile
Gli Architetti fanno sul serio. Nonostante le critiche arrivate da più parti di una vera o presunta inconcludenza di ordini e consigli nazionali delle profes...
Gli Architetti fanno sul serio. Nonostante le critiche arrivate da
più parti di una vera o presunta inconcludenza di ordini e consigli
nazionali delle professioni tecniche, all'indomani del Forum
Ri.U.SO., il Consiglio Nazionale degli Architetti ha reso noto il
proprio Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana
Sostenibile promosso tra gli altri insieme a diversi soggetti
interessati, quali ANCI, Regioni, ANCE e LEGAMBIENTE.
Il documento messo a punto dal CNAPPC parte da due concetti semplici ma molto importanti: l'esaurimento delle risorse energetiche e le pessime condizioni del patrimonio edilizio costruito nel dopoguerra in Italia. Da questi concetti è partito il tema della rigenerazione urbana sostenibile, fulcro del Forum Ri.U.So. Casa e Città per disegnare un futuro possibile che ha visto per la prima volta Ance, Legambiente e Architetti, ragionare insieme in un progetto desinato a migliorare la qualità della vita urbana, non solo dal punto di vista della pratica urbanistica ma come una vera e propria politica per uno sviluppo sostenibile delle città, limitando la dispersione urbana e riducendo gli impatti ambientali insiti nell'ambiente costruito: frenare il consumo di nuovo territorio, attraverso la densificazione di alcuni ambiti solo a fronte della liberalizzazione di altre aree urbanizzate, da tramutare in servizi e luoghi di aggregazione.
Superati il problema del controllo dei conti pubblici e debellata l'evasione fiscale, il CNAPPC ritiene fondamentale una politica di sviluppo che dia competitività al Paese e attragga gli investimenti offrendo efficienza, sicurezza e vivibilità alle 100 città italiane che ospitano il 67% della popolazione nazionale, che sono il principale patrimonio non solo culturale ma anche produttivo del Paese.
Per prendere corpo un piano di sviluppo sostenibile è fondamentale rivedere una legge urbanistica ormai antica perché ferma da 70 anni e integrata da leggi regionali velleitarie ed inefficaci, che hanno causato l'obsolescenza di piani urbanistici nati già vecchi e non in grado di contenere le disfunzioni in atto e di programmare il futuro delle città post-industriali, caratterizzate dalla carenza di infrastrutture e servizi indispensabili e in cui le funzioni abitative convivono in una congestione insostenibile con le attività secondarie e terziarie.
Perequazione urbanistica
"L'amministrazione pubblica deve pianificare lo sviluppo, governando il territorio ai vari livelli, nazionale, regionale e comunale. Occorrono politiche d'intervento che investano il quadro legislativo, istituzionale e finanziario. L'utilizzo della perequazione urbanistica, strumento indispensabile per il riequilibrio territoriale, può attivare capitali privati più di quanto abbiano fatto gli incentivi volumetrici previsti nei recenti piani casa. È quanto mai urgente una riforma urbanistica che sappia affrontare l'emergenza sismica e geologica, pianificare un reale sviluppo del contenimento dei consumi energetici, e ridare un senso civile e dignitoso alle periferie".
Interessante è dunque il concetto di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente che deve divenire una priorità per garantire ai cittadini la qualità e la sicurezza dell'abitare e per migliorare la qualità sociale e ambientale delle periferie degradate, oltre che una grande occasione per promuovere l'occupazione e l'impiego dell'imprenditoria locale.
La rigenerazione urbana rappresenta l'occasione per risolvere problemi come l'assenza di identità di un quartiere, la totale mancanza di spazi pubblici e l'elevata densità edilizia che rende impossibile gli allargamenti delle sedi viarie, la realizzazione di aree verdi e perfino la messa a dimora di alberature lungo i marciapiedi. La disincentivazione del consumo di suolo non urbanizzato, pone la questione dei costi vivi diretti e indiretti per l'ambiente, che non possono essere sottovalutati se la prospettiva in cui ci poniamo è quella della sostenibilità: è quanto mai necessario governare il territorio con strumenti urbanistici adeguati, in grado di frenare le nuove costruzioni al di fuori di programmi di rigenerazione del patrimonio edilizio inadeguato.
La rigenerazione delle aree urbane, un progetto per il Paese
La rigenerazione delle aree urbane deve essere raggiunta attraverso una strategia nazionale che garantisca standard di qualità, bassi costi, minimo impatto ambientale e risparmio energetico, affinché il problema venga risolto nella sua complessità e non attraverso una serie di micro-interventi che potrebbero solo peggiorare la situazione.
Occorre, da parte di tutti, superare il tabù della demolizione e ricostruzione: i costi per rimettere a nuovo edifici non adeguati al rischio sismico sono più alti di una ricostruzione vera e propria. Conviene abbattere qualche muro, cancellando così anche i nefasti risultati della pianificazione scorretta degli anni Sessanta, realizzando contestualmente scuole, asili, negozi e centri culturali". Va perciò attivato un Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, sostiene il CNAPPC, sul modello del Piano Energetico nazionale. Gli obiettivi dichiarati sono:
Le risorse disponibili per fare ciò provengono da:
L'esito sarebbe:
Il documento messo a punto dal CNAPPC parte da due concetti semplici ma molto importanti: l'esaurimento delle risorse energetiche e le pessime condizioni del patrimonio edilizio costruito nel dopoguerra in Italia. Da questi concetti è partito il tema della rigenerazione urbana sostenibile, fulcro del Forum Ri.U.So. Casa e Città per disegnare un futuro possibile che ha visto per la prima volta Ance, Legambiente e Architetti, ragionare insieme in un progetto desinato a migliorare la qualità della vita urbana, non solo dal punto di vista della pratica urbanistica ma come una vera e propria politica per uno sviluppo sostenibile delle città, limitando la dispersione urbana e riducendo gli impatti ambientali insiti nell'ambiente costruito: frenare il consumo di nuovo territorio, attraverso la densificazione di alcuni ambiti solo a fronte della liberalizzazione di altre aree urbanizzate, da tramutare in servizi e luoghi di aggregazione.
Superati il problema del controllo dei conti pubblici e debellata l'evasione fiscale, il CNAPPC ritiene fondamentale una politica di sviluppo che dia competitività al Paese e attragga gli investimenti offrendo efficienza, sicurezza e vivibilità alle 100 città italiane che ospitano il 67% della popolazione nazionale, che sono il principale patrimonio non solo culturale ma anche produttivo del Paese.
Per prendere corpo un piano di sviluppo sostenibile è fondamentale rivedere una legge urbanistica ormai antica perché ferma da 70 anni e integrata da leggi regionali velleitarie ed inefficaci, che hanno causato l'obsolescenza di piani urbanistici nati già vecchi e non in grado di contenere le disfunzioni in atto e di programmare il futuro delle città post-industriali, caratterizzate dalla carenza di infrastrutture e servizi indispensabili e in cui le funzioni abitative convivono in una congestione insostenibile con le attività secondarie e terziarie.
Perequazione urbanistica
"L'amministrazione pubblica deve pianificare lo sviluppo, governando il territorio ai vari livelli, nazionale, regionale e comunale. Occorrono politiche d'intervento che investano il quadro legislativo, istituzionale e finanziario. L'utilizzo della perequazione urbanistica, strumento indispensabile per il riequilibrio territoriale, può attivare capitali privati più di quanto abbiano fatto gli incentivi volumetrici previsti nei recenti piani casa. È quanto mai urgente una riforma urbanistica che sappia affrontare l'emergenza sismica e geologica, pianificare un reale sviluppo del contenimento dei consumi energetici, e ridare un senso civile e dignitoso alle periferie".
Interessante è dunque il concetto di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente che deve divenire una priorità per garantire ai cittadini la qualità e la sicurezza dell'abitare e per migliorare la qualità sociale e ambientale delle periferie degradate, oltre che una grande occasione per promuovere l'occupazione e l'impiego dell'imprenditoria locale.
La rigenerazione urbana rappresenta l'occasione per risolvere problemi come l'assenza di identità di un quartiere, la totale mancanza di spazi pubblici e l'elevata densità edilizia che rende impossibile gli allargamenti delle sedi viarie, la realizzazione di aree verdi e perfino la messa a dimora di alberature lungo i marciapiedi. La disincentivazione del consumo di suolo non urbanizzato, pone la questione dei costi vivi diretti e indiretti per l'ambiente, che non possono essere sottovalutati se la prospettiva in cui ci poniamo è quella della sostenibilità: è quanto mai necessario governare il territorio con strumenti urbanistici adeguati, in grado di frenare le nuove costruzioni al di fuori di programmi di rigenerazione del patrimonio edilizio inadeguato.
La rigenerazione delle aree urbane, un progetto per il Paese
La rigenerazione delle aree urbane deve essere raggiunta attraverso una strategia nazionale che garantisca standard di qualità, bassi costi, minimo impatto ambientale e risparmio energetico, affinché il problema venga risolto nella sua complessità e non attraverso una serie di micro-interventi che potrebbero solo peggiorare la situazione.
Occorre, da parte di tutti, superare il tabù della demolizione e ricostruzione: i costi per rimettere a nuovo edifici non adeguati al rischio sismico sono più alti di una ricostruzione vera e propria. Conviene abbattere qualche muro, cancellando così anche i nefasti risultati della pianificazione scorretta degli anni Sessanta, realizzando contestualmente scuole, asili, negozi e centri culturali". Va perciò attivato un Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, sostiene il CNAPPC, sul modello del Piano Energetico nazionale. Gli obiettivi dichiarati sono:
- La messa in sicurezza, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato, ricordando che nelle zone a rischi sismico risiedono oltre 24 milioni di persone, mentre altri 6 milioni convivono con il rischio idrogeologico.
- La drastica riduzione del consumo del suolo e degli sprechi degli edifici, energetici e idrici, promuovendo "distretti energetici ed ecologici", se è vero che il consumo energetico negli edifici ad uso civile, per il riscaldamento, raffrescamento e l'acqua calda sanitaria, è pari a 29,0 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivalente), ovvero oltre il 20% del consumo totale.
- La rivalutazione degli spazi pubblici, del verde urbano, dei servizi di quartiere.
- La razionalizzazione della mobilità urbana e del ciclo dei rifiuti.
- L'implementazione delle infrastrutture digitali innovative con la messa in rete delle città italiane, favorendo l'home working e riducendo così spostamenti e sprechi.
- La salvaguardia dei centri storici e la loro rivitalizzazione, evitando di ridurli a musei
Le risorse disponibili per fare ciò provengono da:
- La messa a sistema delle risorse dei programmi comunitari sui quali il Paese continua a procedere in modo irrazionale, senza la guida di un Piano complessivo e una adeguata organizzazione.
- Il riequilibrio degli investimenti pubblici tra grandi infrastrutture e città, dove gli investimenti sono scesi a meno di 7 mld di euro, a fronte dei 50 del programma francese: gli stessi investimenti in infrastrutture devono essere integrati con le politiche urbane, per non diventare mero strumento di "occupazione" di breve respiro, incapaci di accrescere la competitività del Paese e la qualità dell'habitat.
- Il risparmio derivante dalla messa in sicurezza dei fabbricati da terremoti e eventi calamitosi afferenti alla condizione idrogeologica, stimabile in 3 miliardi all'anno (dal 1944 al 2009 oltre 200 miliardi).
- La razionalizzazione dei contributi o incentivazioni pubbliche sull'energia già in essere, ora destinati a politiche settoriali fuori da un progetto sintetico e generale: dal 2006 al 2011 sono stati investiti 69 miliardi sul fotovoltaico, di cui 8,5 sono stati destinati ai produttori esteri (Germania, Cina, Giappone). All'interno di un Piano di rigenerazione gli investimenti dovrebbero essere suddivisi più razionalmente tra risparmio e produzione energetica, tenendo conto che gli obiettivi 2020 comporterebbero per sistemare il "colabrodo" del patrimonio edilizio italiano una spesa di 56 miliardi.
- La messa a sistema degli investimenti privati e pubblici per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, oggi condotte sulla scorta dell'emergenza e senza finalità né di ordine energetico, né coordinate in un disegno generale, per un valore complessivo nel 2011 di 133 mld.
- La messa a frutto delle dismissioni del patrimonio pubblico per raggiungere gli scopi del Piano, facendone il volano delle trasformazioni urbane sostenibili.
- L'ideazione di strumenti finanziari ad hoc in grado di mettere a reddito il risparmio energetico, idrico e sulla manutenzione, oltre a bonus volumetrici a fronte di un impatto ambientale vicino allo zero e di innovazioni tecnologiche utili all'efficienza delle città.
L'esito sarebbe:
- Porre le condizioni per un risparmio complessivo a lungo termine delle risorse energetiche, naturali (acqua, terra) ed economiche degli abitanti delle città, attuando così le premesse di sostenibilità del welfare abitativo.
- Il rilancio dell'occupazione, aumentando la capacità di spesa dei cittadini, rianimando le casse dei Comuni, aumentando l'efficienza delle città e favorendo lo sviluppo anche di altri settori.
- Il miglioramento dell'habitat urbano, potenziando la sicurezza dei cittadini, riducendo le malattie connesse all'inquinamento e allo stress, favorendo la socialità e perciò riducendo i fenomeni di delinquenza.
- La salvaguardia del patrimonio edilizio degli italiani e del patrimonio culturale delle città, favorendo il turismo colto e l'educazione dei cittadini.
A cura di Vincenzo
Palumbo
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