Il calcolo delle strutture intelaiate in acciaio soggette a sisma: comportamento elastico o dissipativo?
Le strutture intelaiate sono certamente la tipologia più diffusa di strutture in acciaio. Esse sono costituite, come ben sappiamo, da travi e colonne, le pri...
Le strutture intelaiate sono certamente la tipologia più diffusa di strutture in acciaio. Esse sono costituite, come ben sappiamo, da travi e colonne, le prime atte a portare i carichi verticali degli impalcati lavorando in flessione, le seconde atte a raccogliere tali carichi, lavorando in compressione, ed a portarli in fondazione.
Per portare poi i carichi orizzontali (vento e sisma principalmente) si può ricorrere a due soluzioni principali:
- Si connettono travi e pilastri mediante attacchi a momento (telai a momento), così le forze orizzontali sono portate generando momenti flettenti (e conseguenti tagli) sia nelle colonne che nelle travi (figura 1a);
- Si inseriscono controventi verticali a tutta altezza (a X, a V, etc.) che lavoreranno tesi e compressi per le azioni orizzontali, coinvolgendo le due colonne alle quali si connettono e che saranno anch’esse tese o compresse, mentre le altre colonne saranno pendolari e le travi connesse ad esse tramite semplici connessioni a taglio (figura 1b)
La tipologia dei telai controventati è più semplice da realizzare e meno costosa di quella dei telai con attacchi a momento. Pensiamo alla semplicità delle connessioni a taglio, confrontata con quella delle connessioni che devono realizzare incastro tra trave e colonna (connessioni flangiate e bullonate, tronchetti saldati sulla colonna e bullonati sulla trave, saldatura diretta in opera della trave sulla colonna, etc.) Inoltre i telai controventati sono meno deformabili orizzontalmente, mentre per quelli a momento la deformabilità orizzontale, specie in condizioni sismiche, può essere il fattore dimensionante.
I telai controventati hanno però qualche inconveniente: occupano spazio coi loro controventi che impediscono il passaggio in certe campate. Ciò è sempre odiato dagli architetti nella realizzazione di edifici civili, ma anche dagli impiantisti che inseriscono macchinari ed impianti negli edifici intelaiati industriali. Si può parzialmente rimediare sostituendo i controventi a X con controventi a V rovescio ad esempio, ma in campo sismico tale tipologia è penalizzata dalle norme (Eurocodice 8 e NTC2008), per cui a parità di altre condizioni un telaio con controventi a V rovescio sarà più pesante di uno con controventi a X.
C’è poi da dire che i telai in acciaio hanno colonne e travi in genere realizzate con profili ad anima piena (sezioni ad I o H, sezioni tubolari, per citare le soluzioni più comuni). Se le travi assumono luci notevoli, esse possono essere realizzate come travi tralicciate (figura 1c)., col che si migliora la situazione per carichi statici ma si peggiora quella in caso di sollecitazioni sismiche, come vedremo nel seguito.
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Le strutture in acciaio intelaiate sopportano in genere sia i carichi verticali, permanenti e sovraccarichi, che i carichi orizzontali, del vento o del sisma in zone a bassa sismicità, restando in campo elastico, o per essere più precisi, considerando che l’evento limite sia il raggiungimento della plasticizzazione in flessione o per azione assiale di una o più sezioni. Cioè si calcolano gli sforzi,dovuti alla combinazione di carichi data dalla normativa, sezione per sezione, con i metodi dell’analisi elastica e si verifica poi che in ogni sezione il momento di progetto non superi il momento plastico, o che l’azione assiale non superi l’azione che plasticizzerebbe la sezione.
Esiste però la possibilità di fare un calcolo plastico di una struttura intelaiata, tipicamente di un telaio con attacchi a momento, cioè una struttura diverse volte iperstatica. Con questa filosofia si ammette che una sezione, una volta che il momento di progetto abbia eguagliato il momento plastico, si trasformi in una cerniera plastica, e quindi la struttura perda una iperstatica. Ma se ne ha tante che male c’è: la struttura rimane stabile, cioè non labile, e il vantaggio è che i carichi possono continuare ad aumentare perché la struttura ha ancora delle risorse, finché, a furia di formare nuove cerniere plastiche, la struttura non diventa labile. E lì bisogna fermarsi, quello è il massimo carico raggiungibile.
Calcolo sismico
strutture in acciaio |
Con questo metodo di verifica della sicurezza si possono sopportare carichi maggiori di quelli calcolati col metodo puramente elastico, purché, dicevamo, la struttura abbia abbastanza iperstaticità da “spendere” nella formazione di cerniere plastiche.
C’è da dire però che per le strutture in acciaio i vantaggi, in termini di aumento del moltiplicatore dei carichi, derivanti dall’uso del calcolo plastico non sono spesso così notevoli rispetto ad un semplice calcolo elastico. Perché? Perché nelle strutture in acciaio ci sono due importanti fenomeni che bisogna tenere in conto nel dimensionamento e che di fatto limitano i livelli di sforzo ai quali si può arrivare e quindi rendono pressoché vano l’uso del calcolo plastico: la deformabilità per gli elementi inflessi (le travi), e l’instabilità per gli elementi compressi (ma anche per quelli inflessi: l’instabilità laterale o lateral buckling). C’è poi da dire che l’uso di strutture isostatiche in acciaio è abbastanza diffuso: pensiamo ad esempio ai telai con controventi, nei quali le colonne sono pendolari e le travi in semplice appoggio. Per tali strutture il calcolo plastico non darebbe vantaggio alcuno.
Bisogna notare poi che, se si deve fare affidamento sulla formazione di cerniere plastiche, allora bisogna che queste possano formarsi senza rischi. Per ottenere ciò occorre evitare che, all’aumentare degli sforzi, si abbiano fenomeni di instabilità locale che ne metterebbero a rischio la formazione. Perciò le sezioni da impiegare devono essere tutte in classe 1 o massimo 2, e quindi è proibito l’uso di profili in classe 3 o peggio in classe 4. Poi bisogna scongiurare i fenomeni di instabilità laterale, e per far ciò occorre che le controventature orizzontali atte allo scopo siano ben robuste, soprattutto in prossimità delle zone sedi di possibili cerniere plastiche.
Tutto ciò va bene finché non si considerano sismi di media o alta intensità. In tali casi infatti progettare una struttura in acciaio in campo elastico è teoricamente possibile ma condurrebbe certamente a scegliere profili troppo robusti e quindi ad una progettazione antieconomica.
Sappiamo che in qualsiasi zona sono possibili sismi di diversa intensità a seconda del periodo di ritorno considerato, o, se si preferisce, della probabilità che l’evento si manifesti durante la vita prevista per la struttura. Ricordiamo che periodo di ritorno T, e la probabilità P che il sisma non sia superato da uno peggiore durante la vita utile della struttura V, sono legati dalla relazione:
Anche in una zona a sismicità non elevata, un sisma compatibile con la zona che abbia un periodo di ritorno molto lungo, di diverse centinaia d’anni, può essere un evento di notevole intensità. Ci si domanda allora: quale periodo di ritorno occorre considerare per il sisma di progetto?
Questa scelta è stata fatta dal Legislatore, il quale si è basato sul rispetto dei seguenti principi: la salvaguardia della vita umana è un valore assoluto da preservare al manifestarsi di un evento sismico di qualsiasi entità; il contenimento dei danni materiali (e quindi economici) dovuti ad un sisma può essere invece dosato in base a valutazioni costi/benefici: conviene spendere tantissimo subito, quando si costruiscono le opere, per far sì che non subiscano danni materiali in caso di sisma di fortissima intensità, o conviene spendere il giusto prima e prevedere dei costi di riparazione in caso si manifesti un evento di tal genere, fatto comunque salvo il principio di salvaguardia della vita umana ? Così il Legislatore ha deciso di prevedere:
1) un sisma di intensità moderata, con un periodo di ritorno di 50 anni, per il quale le strutture non devono subire danni;
2) un sisma di notevole intensità, con un periodo di ritorno di 475 anni, per il quale la struttura subisce danni anche notevoli ma non crolla.
In realtà questo secondo sisma non è il peggiore possibile: esso infatti corrisponde ad un sisma con una probabilità del 10% di essere superato da un sisma più violento durante la vita della struttura posta pari a 50 anni. Quindi c’è un non trascurabile 10% di possibilità che un sisma di intensità superiore si manifesti. In realtà però le norme sottintendono che, progettando per i sismi prima definiti, nel caso in cui si manifesti il sisma più catastrofico possibile per quella zona, la struttura subirebbe danni davvero notevoli ma riuscirebbe comunque a non crollare, salvaguardando così in ogni caso la vita umana.
Ma se si accettano danni ingenti per il sisma di progetto non solo ai tramezzi ma anche alla struttura, che però non deve crollare, vuol dire che per questa condizione di carico è accettabile che la struttura vada oltre il limite elastico e subisca ingenti plasticizzazioni. Ecco quindi che per le strutture soggette a sismi risulta proponibile il calcolo plastico delle strutture.
Attenzione però, perché i concetti del calcolo plastico applicato a strutture che si plasticizzano quando soggette a sisma di notevole intensità non sono proprio gli stessi di quelli che conducono al dimensionamento di strutture soggette a carichi orizzontali non di grandissima intensità (vento o sisma moderato). In quest’ultimo caso infatti la metodologia del calcolo plastico prevede di far crescere tutti i carichi applicati, verticali ed orizzontali, tramite un moltiplicatore comune, e verificare la progressiva formazione di cerniere plastiche finché la struttura non sia diventata labile. Da questa situazione limite ci si difende poi applicando un opportuno coefficiente di sicurezza al moltiplicatore dei carichi, e i carichi così trovati sono i massimi sopportabili dalla struttura. Nel far ciò, si accetta che nel telaio possano formarsi meccanismi di collasso che interessano le sole travi, nel caso in cui i carichi verticali siano predominanti (figura 2a), le sole colonne, nel caso in cui i carichi orizzontali sono predominanti (figura 2b) o travi e colonne insieme, nel caso in cui non predomina nessun tipo di carico (figura 2c). E quando sono interessate le colonne, le cerniere plastiche possono formarsi sia alle estremità delle travi che nelle colonne.
Quando invece si considera un sisma di forte intensità, si considera che i carichi verticali di progetto insieme alle forze orizzontali, certamente predominanti, generino plasticizzazioni del tipo di figura 3a, cioè alle estremità delle travi. Questa condizione però non è una semplice condizione limite della struttura dalla quale tenersi lontani tramite un coefficiente di sicurezza, come nel caso del calcolo plastico tradizionale: è invece una condizione che, se si manifesta il sisma di forte intensità, si realizza certamente. Ma allora si accetta che quando arriva un forte sisma il telaio diventi labile? Si, ma attenzione: il sisma è una sollecitazione ciclica che cambia di segno ad ogni ciclo. Quindi il nostro telaio, soggetto alle forze sismiche che vanno, poniamo, da sinistra verso destra, sviluppa tutte le cerniere plastiche che lo rendono labile ed inizia a inclinarsi verso destra, Ma a questo punto la sollecitazione sismica si inverte e le forze vanno ora da destra verso sinistra, le cerniere plastiche si annullano, la struttura ritorna iperstatica. Poi al crescere degli sforzi le cerniere si riformano ma con rotazioni di verso opposto, e così via per tutta la durata del sisma. Questo alternarsi di rotazioni plastiche disperde energia sismica. Quindi la parte delle azioni sismiche che superano i valori che mantengono il telaio ancora elastico vengono portate non per accumulo di deformazione elastica ma per dispersione di energia tramite la rotazione delle cerniere plastiche.
Allora bisogna effettuare un calcolo plastico? No, le normative (italiane, europee e americane, abbastanza concordi tra loro) consentono di poter continuare ad effettuare analisi elastiche, ma con forze sismiche ridotte di un fattore 1/q, dove q è il cosiddetto fattore di struttura ed è una misura della capacità dissipativa di una struttura. Per telai con attacchi a momento multipiano e multicampata, il fattore q vale 4 oppure 6,5 a seconda che si progetti la struttura per classe di duttilità bassa (CD”B”) o alta (CD”A”). Realizzare una struttura in classe di duttilità alta comporta requisiti più severi quali ad esempio sezioni in classe 1 (con la duttilità bassa si accettano anche quelle in classe 2).
Quindi, volendo progettare ad esempio un telaio con attacchi a momento a bassa duttilità, lo calcoleremo in campo elastico per un sisma che ha valori di spettro 1/4 di quelli reali, e quindi arriveremo a profili minori di quelli che si otterrebbero con uno spettro elastico 4 volte maggiore. Ciò vuol dire che, per forze sismiche circa 1/4 di quelle di progetto, la struttura resterà in campo elastico, mentre per quelle di progetto si plasticizzerà e così disperderà l’energia sismica aggiuntiva.
E’ intuitivo che, più cerniere plastiche si formano maggiore è la dispersione di energia sismica. Va perciò favorita la diffusione della formazione delle cerniere plastiche. Un metodo per raggiungere questo scopo è quello di far formare le cerniere alle estremità delle travi e mai nelle colonne, realizzando il meccanismo di colonna forte / trave debole. Infatti, se le cerniere si formassero nelle colonne, potrebbero verificarsi plasticizzazioni del tipo di quella di figura 3b, dove l’intera struttura, non plasticizzata, oscilla sulle colonne del primo piano che hanno cerniere alle due estremità, con scarso smaltimento dell’energia sismica e conseguenze catastrofiche per la struttura: questo manifestarsi di meccanismi di piano debole, come vengono definiti, è una delle cause principali di crolli durante i sismi. Se si vuole che le cerniere si formino nelle travi mentre le colonne rimangono in campo elastico, allora occorre che le colonne siano più robuste delle travi, siano cioè sovraresistenti rispetto all’elemento duttile che è la trave.
Quindi, a differenza della progettazione tradizionale delle strutture in acciaio dove la struttura risulta verificata se ogni elemento strutturale (trave colonna controvento etc.) risulta verificato indipendentemente dagli altri, quando si progettano telai con attacchi a momento dissipativi, si adotta il concetto della gerarchia delle resistenze: le travi devono avere resistenze inferiori a quelle delle colonne. Ciò comporta che, se in una progettazione tradizionale, si può sostituire un elemento strutturale verificato con uno di resistenza maggiore senza problemi (ad esempio per uniformare una serie di travi). con il criterio della gerarchia delle resistenze ciò non è più possibile. Se si aumenta arbitrariamente la resistenza di una trave infatti, di deve controllare se le colonne a cui si collega risultano sempre più robuste e in caso negativo occorrerà aumentare di conseguenza il profilo delle colonne! Inoltre, il principio di buon senso per cui, dato un certo numero di travi di un telaio si può decidere di dimensionarle tutte come la più caricata, ottenendo una struttura certamente un po’ più pesante ma in compenso più regolare, con la gerarchia delle resistenze ed i criteri di dissipazione dell’energia non è più opportuno. Avere infatti travi con tassi di lavoro molto diversi tra loro ostacola la diffusione a tutta la struttura delle plasticizzazioni.
Come si ottiene la sovraresistenza delle colonne? Mediante le regole di calcolo che si trovano nelle norme e che aumentano, in modo abbastanza convenzionale, gli sforzi nelle colonne rispetto ai valori di calcolo. Se si guardano le norme italiane (NTC2008) ed europee (Eurocodice 8) da un lato, e le norme americane dall’altro (ASCE7-10 e AISC 341-10) si vedrà che entrambi gli ambiti normativi adottano la stessa strategia di aumentare gli sforzi delle colonne dovuti al sisma. Lo fanno in modi diversi ma lo scopo è lo stesso. Per chi volesse vedere le regole normative nel dettaglio, si rimanda alla consultazione diretta delle norme o di un testo che tratti l’argomento.
C’è un’altra importante considerazione da fare. Se si vuole che le travi si plasticizzino prima delle colonne, oltre ad adottare le regole di calcolo che incrementano gli sforzi di progetto delle colonne, bisogna controllare che la tensione massima di snervamento dell’acciaio di cui sono composte le travi non superi il valore caratteristico di più del 20% (secondo il §11.3.4.9 delle NTC2008). Infatti se l’acciaio delle travi avesse uno snervamento troppo elevato si correrebbe il rischio di far formare le cerniere plastiche nelle colonne piuttosto che nelle travi. Quindi mentre in un telaio tradizionale non ci sarebbe niente di male a sostituire, poniamo, tutte le travi previste in S275 con identici profili in S355, la stessa operazione in un telaio che voglia essere dissipativo avrebbe conseguenze estremamente negative. Purtroppo i produttori d’acciaio garantiscono la tensione di snervamento caratteristica ma non quella massima, per cui l’unica strada possibile per garantire il rispetto della prescrizione normativa è quella di effettuare delle prove di trazione su campioni.
Anche per i telai sismici dissipativi, così come per i telai calcolati per azioni non sismiche ma con il calcolo plastico, è necessario consentire la formazione di cerniere plastiche evitando le instabilità locali. Ciò lo si realizza adottando sezioni in classe 1 o massimo 2 e studiando efficaci controventature in prossimità delle cerniere plastiche.
Quanto detto finora si riferiva ai telai dissipativi con attacchi a momento. Se si vogliono realizzare telai dissipativi controventati, le considerazioni da fare sono analoghe. In tali telai, secondo le norme italiane ed europee, la dissipazione dell’energia sismica avviene mediante lo snervamento delle diagonali tese, mentre quelle compresse vengono considerate in bando e quindi trascurate. Colonne e travi che delimitano la campata controventata sono essenziali per consentire ai diagonali di plasticizzarsi in trazione, perciò essi sono gli elementi sovraresistenti, per i quali le norme forniscono regole di dimensionamento che di fatto ne amplificano gli sforzi dovuti al sisma. Il testo delle colonne e delle travi non interessate dai controventi sono considerate secondarie da un punto di vista sismico: tali elementi non occorre che siano sovraresistenti ma devono solo essere in grado di assorbire gli spostamenti che il sisma genera.
Le norme poi penalizzano i telai controventati con controventi a V rovescio nei confronti di quelli con controventi a X. Per questi ultimi infatti consentono di usare un fattore di struttura q uguale a 4, valore che si dimezza per i telai con controventi a V rovescio. Quindi questi ultimi telai si troveranno ad avere forze sismiche doppie di quelle di un identico telaio con controventi a X. Tutto ciò perché il controvento a V è giudicato meno duttile: esso lavora come teso e compresso per azioni sismiche di bassa intensità. Poi al crescere di queste l’asta compressa va in bando e lo schema statico si altera notevolmente: le azioni sulle colonne cambiano perché si redistribuiscono, la trave alla quale due controventi sono collegati risulta notevolmente tesa dall’unico controvento in trazione che arriva allo snervamento.
Tutte le considerazioni sino ad ora svolte su telai controventati o con attacchi a momento valgono se i profili sono ad anima piana. Se invece ci fossero travi tralicciate (come quelle rappresentate schematicamente in figura 1c), o anche colonne tralicciate, allora non si ricadrebbe in nessuna delle tipologie ammesse dalle norme e non si potrebbero sfruttare le capacità dissipative della struttura. In altri termini si dovrebbe considerare il fattore di struttura q uguale a 1, con conseguenti notevoli aggravi sul dimensionamento.
Infine, una importantissima caratteristica che i telai dissipativi devono possedere per poter consentire la formazione di cerniere plastiche nelle travi o lo snervamento delle diagonali tese, è che le connessioni devono essere più robuste degli elementi che collegano, siano essi appunto travi in flessione o aste in trazione. Infatti, se una connessione cedesse, i meccanismi dissipativi non potrebbero aver luogo, Ma questo è un discorso che merita un articolo ad esso dedicato.
Abbiamo trattato, sia pur in modo sintetico, dei telai in acciaio progettati come dissipativi in campo sismico, mostrandone le principali caratteristiche, i problemi, le metodologie di calcolo, a confronto con i telai calcolati “tradizionalmente” in campo elastico. C’è anche, al di là del calcolo, un problema di costi di realizzazione: una struttura in acciaio realizzata in campo elastico rientra probabilmente nella classe di esecuzione EXC2, secondo la norma UNI EN 1090-2, mentre la stessa struttura realizzata come dissipativa rientra certamente in classe di esecuzione EXC3. Ciò comporta una esecuzione da parte del Costruttore più accurata e, in ultima analisi, un costo unitario dell’acciaio più elevato.
Sta al progettista decidere, nel rispetto delle norme e tenendo conto di tutti i fattori in gioco, la soluzione più opportuna da adottare per l’opera che intende ideare e calcolare.
A cura di Ing. Benedetto Cordova
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