La lettera di addio di un ingegnere italiano
Mentre un senso di tristezza è ancora pieno dentro di me, non posso fare a meno di condividere con voi la lettera di un ingegnere italiano (riportata dal sit...
Mentre un senso di tristezza è ancora pieno dentro di me, non posso fare a meno di condividere con voi la lettera di un ingegnere italiano (riportata dal sito http://www.senigallianotizie.it) che, sopraffatto dallo sconforto, ha preferito lasciare la vita terrena. Una lettera piena di tristezza ma anche di speranza perché nella sua disperazione prova a risvegliare le coscienze di un Paese che ha dimenticato l'importanza delle professioni tecniche.
Vi invito a leggerla e a fare un minuto di silenzio.
“Una crudele, sfinente ed umiliante alternanza tra illusione e repentina disillusione, tra fiduciosa, e finalmente luminosa, speranza ed immediata cocente delusione, e così per anni, in attesa di una positività alla quale non credo più.
Ed allora queste brevi parole per giustificare un passaggio terreno che non può ridursi ad una supina ed inerme accettazione degli eventi: lo debbo ai miei figli ed a mia moglie che mi hanno sempre gratificato di una cieca fiducia e che certo non approveranno, lo debbo ai miei collaboratori, tutti ragazzi eccezionali che certamente hanno pieno diritto ad un futuro meno funereo di quello che invece si vuole loro prospettare, lo debbo ai miei tanti amici cari che molto patiranno, lo debbo a me stesso che della onestà, dell’etica, professionale e non, della libertà e giustizia sociale ho fatto un credo incrollabile.
Quando, ad una precisa domanda, ho risposto “ Mi spiace, ma non so più cosa fare”, ho letto nei suoi occhi un lampo di terrore e nelle sue parole “Ma come, ingegnere, tu, che sei la nostra speranza” lo sconforto assoluto.
Ho capito in quel momento che bisognava reagire: ed ho reagito, progettato, relazionato, mi sono umiliato sin dove non avrei mai creduto di dovere, potere e sapere fare, ancora progettato, ancora relazionato, ancora umiliato, ho sinanco ipotecato il futuro mio e della mia famiglia, ed inutilmente ho ancora proposto ciò che avrebbe positivamente risolto, solo lo si fosse voluto, e che ora, forse ma tardivamente, si dirà: GIUSTO!
Troppo flebile, evidentemente, la mia voce ed allora, novello, e certamente più modesto, Sansone, con l’ultima stilla di energia che ancora conservo e prima che anch’essa si esaurisca, faccio scoppiare fragorosa la bomba, fiducioso che finalmente venga recepito il mio urlo, disperato.
Tanti sono gli errori che ho commesso nella mia vita: errori di supponenza, di ingenuità ed ottimismo nel prossimo, di poca o nulla previdenza, errori (ma chi non?), ma mai sono venuto meno ai dettami di correttezza ed onestà.
Me ne vado dunque con la faccia pulita della persona per bene che innalza, misericordioso il Supremo, il dono della vita, che Dio mi ha graziosamente concesso, in favore della giustizia e dell’equità.
Con il tragico, e certo insensato, gesto, spero finalmente di riuscire a risvegliare coscienze intorpidite ed animi accecati: mi rivolgo dunque ai responsabili, assolutamente irresponsabili, degli istituti di credito, ma anche ai pubblici Amministratori ed a chi, abusando del suo infimo potere, si arroga il diritto, tralignando la verità, di divertirsi giocando con la necessità, le ansie, le emozioni del prossimo, senza capacitarsi (FORSE) che il suo divertimento può essere recepito tragicamente da chi lo subisce, ed ancora a coloro che subiscono questa iniqua situazione avvolti nella loro assordante apatia ed indifferenza o, peggio, a coloro che la aggravano con la loro cinica e supponente cupidigia.
Compito dei miei collaboratori è svolgere il lavoro ad essi assegnato, e, senza sforzo e senza tema di smentita, d loro atto di essersi sempre impegnati con dedizione, con professionalità ed onestà; mio è (era) il compito di procurare il lavoro ed i mezzi per sostenerlo, e, malgrado mi sia impegnato al limite, ed anche oltre, delle mie, evidenti insufficienti, forze, ho ineluttabilmente fallito: ed allora consapevole del ruol vche mi sono assunto e che mi viene riconosciuto, rispettoso della memoria di Colui che mi ha preceduto, offro la vita ai miei collaboratori, e a quanti altri, perché la issino a vessillo di protesta e di speranza: protesta per ciò che è stato e che ci ha pesantemente, noi incolpevoli, coinvolti e travolti, speranza che uno sforzo comune, e non antagonistico, possa finalmente ravvivare la luce del mattino.
Sforzatevi di cogliere rabbia ed ottimismo nel mio sacrificio, ed in quello della mia famiglia, non riservategli pena e commiserazione.
Ai miei meravigliosi figli, ad Allegra, a Gioella, ad Ariele, a Matteo ed alla mia adorata nipotina che mai mi ricorderà, dico: guardate al futuro e ad 4esso rivolgetevi a testa alta: ve lo consentono e ve lo impongono la vostra bellezza, la vostra trasparenza, la vostra onestà e quella dei vostri genitori; mai e poi mai ed ancora mai dovrete abbassare lo sguardo, perché voi, ed i giovani come voi, siete i veri signori in questo mondo dorato e sbagliato.
E a mia moglie, unico, grande ed assoluto amore della mia vita: detergi la doglianza, reprimi lo sconforto, non biasimarmi, ma anzi amplifica l’eco di questo ultimo, immane sacrificio che ti vengo a proporre ed imporre: non cancellerà il dolore, ma se tutto questa qualcosa sarà servito, forse lo lenirà.
Ossequioso all’Onnipotente, credo di essere stato una persona retta, onesta e rispettosa del prossimo, un buon ebreo del quale non vergognarsi di averlo accolto nella Comunità, ed a LUI, timoroso, ma fiducioso, mi presenterò e, … chissà, forse mi ritroverò con papà a calcolare un palazzo sospeso in cielo o forse chissà battaglierò con Danilo, Claudio e Roberto intorno al progetto di una casa di vetro o fors’anche aiuterò Albo e Giorgio a costruire un muro di niente od Angelo a portare a spasso le pecore o forse …
Ti adoro, Vi adoro tutti”.
IL NOTIZIOMETRO