La rubrica di Lino Bellagamba, L'assoluta autocertificabilità del DURC: la genialata del terzo decreto Monti

L'attuale versione del codice dei contratti pubblici, quella che fa seguito al terzo decreto "Monti" (D.L. 9 febbraio 2012, n. 5), prevede ancora che «resta ...

28/02/2012
L'attuale versione del codice dei contratti pubblici, quella che fa seguito al terzo decreto "Monti" (D.L. 9 febbraio 2012, n. 5), prevede ancora che «resta fermo, per l'affidatario, l'obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, del decreto legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 266» (D.Lgs. 163/2006, art. 38, comma 3, secondo periodo).

Il codice De Lise, invece che coordinare le disposizioni dei contratti pubblici con i principi normativi (ed auto-esecutivi, peraltro) in materia di documentazione amministrativa, si era limitato a un puro "copia e incolla" rispetto alla previsione del D.L. 210/2002, convertito nella L. 266/2002.

Di fronte alle reali prassi amministrative, che applicavano la norma alla lettera, era dovuto intervenire il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, art. 16-bis, comma 10:
«In attuazione dei principi stabiliti dall'articolo 18, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e dall'articolo 43, comma 5, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il documento unico di regolarità contributiva (DURC) dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge».
Pertanto, già prima della L. 183/2001, il DURC in capo all'aggiudicatario doveva essere richiesto d'ufficio da parte del RUP della stazione appaltante (altra e non confliggente questione era poi quella di potersi tener conto di un DURC spontaneamente presentato dal privato).
In questo contesto, il terzo decreto "Monti" (D.L. 9 febbraio 2012, n. 5) avrebbe dovuto porre mano a un'opera di mera pulizia formale del codice dei contratti.
E infatti, una delle "bozze" che era circolata così prevedeva (cfr. leggi bozza ):
"2) al comma 3, primo periodo, le parole "; resta fermo, per l'affidatario, l'obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, del decreto legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 266 e di cui all'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 e successive modificazioni e integrazioni" sono soppresse;
3) al comma 3, dopo il secondo periodo, è aggiunto il seguente: "La stazione appaltante acquisisce d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva dell'affidatario, ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 16-bis, comma 10, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2 e dell'articolo 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445"."
La versione definitiva del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 non reca più le suddette ipotesi di modifica del codice.

Fra l'altro, si sarebbe dovuto eliminare da subito anche l'obbligo di pubblicità dei bandi nei giornali. Ma l'entourage di Monti c'ha ripensato. Tutto sommato, sono soldi pubblici investiti bene. L'economicità per le imprese editoriali avvantaggia anche la pubblica Amministrazione: la pubblicità aggiuntiva rispetto ad internet garantisce una maggiore competitività fra le imprese. Con la debita eccezione, ovviamente, dei lavori pubblici di importo inferiore al milioncino di euro.

Certo, sul piano giuridico-formale si tratta della consueta sciatteria del legislatore, in quanto e comunque, sul piano giuridico-sostanziale, l'interpretazione conduce diritta ai principi dell'autocertificabilità e dell'acquisizione d'ufficio. Eppure, non è proprio così. Un po' di zona grigia, voluta, sul piano pratico, in effetti c'è.
Qui la "genialata", sussurrata verosimilmente dalla curia ministeriale, l'ha fatta il terzo decreto "Monti", al di là dei vanti pubblicamente avocati sul tema della semplificazione amministrativa. L'aver lasciato nel codice dei contratti la previsione in questione («resta fermo, per l'affidatario, l'obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva») dà fondamento alla tesi del ministero (se pure poi rettificata dalla comunicazione congiunta con l'INAIL).
Se l'aggiudicatario deve presentare il DURC, lo devono presentare ancor prima tutti i partecipanti alla gara e con riferimento a quel momento, in quanto il DURC non è autocertificabile. Ai partecipanti alla gara la stazione appaltante chiederà di presentare un DURC informale non relativo a un contratto pubblico, e sarà poi su questo DURC che il RUP potrà operare tutte le verifiche d'ufficio che vuole. Questa è la tesi ministeriale originaria pura, raccordata con il fatto sopravvenuto che dal 13 febbraio 2012 il privato non può più ottenere il DURC specifico per i contratti pubblici.

Ed è anche tesi esposta in dottrina: «Dunque, alla luce della sentenza del TAR Catania e delle illustrate recenti normative ed interpretazioni, il requisito di regolarità contributiva, previsto espressamente quale requisito di ordine generale dall'articolo 38, comma 1, lettera "i" del codice dei contratti pubblici, coma va comprovato in sede di gara? Secondo il TAR, è illegittimo l'obbligo di produzione del DURC a carico dell'impresa, per cui il requisito va autodichiarato. Ad avviso del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il requisito non può essere oggetto di autocertificazione. Quindi, la stazione appaltante come deve comportarsi? Deve consentire l'autocertificazione (negata dal Ministero) o deve prevedere l'obbligo, in capo all'impresa concorrente, di produrre il DURC in gara (vietato dal TAR)? La "vita" delle stazioni appaltanti è sempre più dura, pur se le argomentazioni del Ministero, fondate sulla complessità delle valutazioni a fondamento delle regolarità contributiva (valutazioni non di spettanza dell'impresa) sembrano maggiormente convincenti» (M. ALESIO, La difficile comprovazione in sede di gara del requisito di regolarità contributiva e le recenti novità in tema di certificazioni amministrative, in La Gazzetta degli Enti Locali, 22 febbraio 2012).

Ma c'è di più. Con la tesi ministeriale aggiornata, un motivo di ricorso, che qualche operatore economico non in regola con il versamento dei contributi avrà possibilità di proporre per dimostrare la sua non mendacità, sarà proprio quello che lui non poteva autocertificare quello che non era in grado di conoscere.

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