NUOVA SCALA SISMICA SUGLI EFFETTI AMBIENTALI
Nasce la ESI 2007 (Environmental Seismic Intensity Scale), la nuova scala di intensità sismica basata sugli effetti dei terremoti. Da oggi, è possibile misur...
Nasce la ESI 2007 (Environmental Seismic Intensity Scale),
la nuova scala di intensità sismica basata sugli effetti dei
terremoti. Da oggi, è possibile misurare l’intensità dei
terremoti anche tenendo conto degli effetti sull’ambiente. In
questo modo, sarà più completa la prevenzione dalle catastrofi
sismiche.
La nuova scala, basata su 12 gradi di intensità sismica, è stata studiata a partire dagli anni ’90 da Università e Istituti di ricerca, coordinati dal Dipartimento Difesa del Suolo - Servizio Geologico d’Italia dell’APAT, col contributo di CNR e Università dell’Insubria, e ratificata dall’INQUA (Unione Internazionale per la Ricerca sul Quaternario) nel corso del 17 Congresso tenutosi a Caims, in Australia, nel luglio scorso.
La scala ESI 2007 è stata presentata in conferenza stampa nella sede dell’APAT, assieme a uno speciale volume sull’argomento disponibile online all’indirizzo http://www.apat.gov.it/site/en-GB/Projects/INQUA_Scale/default.html.
Con ESI 2007 si integrano di nuove conoscenze le scale classiche Mercalli Cancani Sieberg – MCS, basate sui danni agli edifici ma non in grado di valutare i terremoti oltre il X grado in aree deserte o scarsamente abitate e dove gli unici dati disponibili sono solo quelli ambientali.
Per comprendere meglio l’utilità della ESI, si valuti il recente terremoto in Giappone Centrale che ha messo a rischio la centrale nucleare di Kashiwazaki. Gli studi precedenti avevano previsto un terremoto di tale intensità ma non una frana vicino alla centrale. Con l’analisi storica ESI, sarebbe stato possibile prevedere terremoto e frana e mettere a punto le giuste misure a salvaguardia.
“La grande disponibilità di fonti storiche in Italia consente – riporta La Stampa - di definire lo scenario degli effetti prodotti dai terremoti nell’arco di molti secoli, valutando i rischi per il territorio, come successo con la frana mobilizzatasi a San Giorgio La Molara durante il terremoto del 1980 in Irpinia, che, come risaputo, si era già riattivata durante tre eventi sismici precedenti, nel 1688, 1805 e 1930. I valori di intensità ESI, in quest’area, sono risultati sistematicamente maggiori di quelli attribuiti in base allo scuotimento dei soli edifici. Ancora, il terremoto del 13 gennaio 1915 che rase al suolo la città di Avezzano, provocando oltre 30.000 vittime e colpendo in un’area che non aveva mai registrato danni ingenti agli edifici”.
La nuova scala, basata su 12 gradi di intensità sismica, è stata studiata a partire dagli anni ’90 da Università e Istituti di ricerca, coordinati dal Dipartimento Difesa del Suolo - Servizio Geologico d’Italia dell’APAT, col contributo di CNR e Università dell’Insubria, e ratificata dall’INQUA (Unione Internazionale per la Ricerca sul Quaternario) nel corso del 17 Congresso tenutosi a Caims, in Australia, nel luglio scorso.
La scala ESI 2007 è stata presentata in conferenza stampa nella sede dell’APAT, assieme a uno speciale volume sull’argomento disponibile online all’indirizzo http://www.apat.gov.it/site/en-GB/Projects/INQUA_Scale/default.html.
Con ESI 2007 si integrano di nuove conoscenze le scale classiche Mercalli Cancani Sieberg – MCS, basate sui danni agli edifici ma non in grado di valutare i terremoti oltre il X grado in aree deserte o scarsamente abitate e dove gli unici dati disponibili sono solo quelli ambientali.
Per comprendere meglio l’utilità della ESI, si valuti il recente terremoto in Giappone Centrale che ha messo a rischio la centrale nucleare di Kashiwazaki. Gli studi precedenti avevano previsto un terremoto di tale intensità ma non una frana vicino alla centrale. Con l’analisi storica ESI, sarebbe stato possibile prevedere terremoto e frana e mettere a punto le giuste misure a salvaguardia.
“La grande disponibilità di fonti storiche in Italia consente – riporta La Stampa - di definire lo scenario degli effetti prodotti dai terremoti nell’arco di molti secoli, valutando i rischi per il territorio, come successo con la frana mobilizzatasi a San Giorgio La Molara durante il terremoto del 1980 in Irpinia, che, come risaputo, si era già riattivata durante tre eventi sismici precedenti, nel 1688, 1805 e 1930. I valori di intensità ESI, in quest’area, sono risultati sistematicamente maggiori di quelli attribuiti in base allo scuotimento dei soli edifici. Ancora, il terremoto del 13 gennaio 1915 che rase al suolo la città di Avezzano, provocando oltre 30.000 vittime e colpendo in un’area che non aveva mai registrato danni ingenti agli edifici”.
A cura di Salvo Sbacchis
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