Palestre e centri sportivi nel post Coronavirus: quali prospettive?
Nel Decreto "Rilancio Italia" sono molti gli articoli riservati alle misure di sostegno per lo sport che assume così un ruolo centrale per il Paese
Per alcune palestre e centri sportivi la sopravvivenza, a breve termine, è l’unico pensiero costante e quotidiano. Le palestre ed i centri sportivi stanno valutando come posizionarsi una volta che lo stato di emergenza sarà rientrato e si potrà tornare alla normalità.
Ma la domanda che ci si pone è:
“Quale aspetto assumerà la tanto attesa normalità?”
Nel Decreto "Rilancio Italia" sono molti gli articoli riservati alle misure di sostegno per lo sport che assume così un ruolo centrale per il Paese come forse non lo era mai stato nella sua storia.
Pertanto, in luce al ventaglio di interventi d’emergenza, messi in capo al Governo, al fine di attutire l’impatto dell'epidemia di Covid-19 sull'economia, per la ripartenza è necessario prendere in considerazione il grande impegno che dovranno assumersi i centri sportivi per continuare la loro opera di promozione sociale.
In prima istanza bisognerà affrontare una vera e propria “emergenza liquidità” cosa di cui i fornitori e anche i fruitori non possono non tener conto.
I maggiori costi ed ostacoli per la ripresa sono concentrati sulla sanificazione degli impianti. A tal proposito, si stanno studiando soluzioni che permettono di sanificare spazi molto grandi; soluzioni per la decontaminazione dei macchinari che dovranno seguire protocolli più rigidi ed anche soluzioni circa il problema del distanziamento sociale e delle probabili risoluzioni.
È dunque prevedibile che, prima dell’anno entrante (2021), non si possa parlare di ripresa.
Decreto Liquidità e sodalizi sportivi
Partendo dalle misure previste dal Decreto Liquidità, nonché dalle valutazioni di Sport e Salute Spa, in un momento di rilevante riduzione dei fondi, sono state introdotte misure concrete, ovvero sistemi di finanziamento per sostenere la liquidità a breve e a lungo termine sopperendo, in tal modo, a quelle risorse che, inevitabilmente, a causa della sospensione delle attività sportive, sono venute a mancare.
A tal riguardo, si evidenzia quanto reso dall’art.14 del decreto su menzionato, il quale introduce un sistema integrato di agevolazioni per sostenere l’accesso al credito da parte delle FSN, DSA, EPS, delle Associazioni e delle Società Sportive Dilettantistiche, al fine di sostenerne le esigenze di liquidità nell’attuale complessa situazione, basato sulla combinazione di una garanzia pubblica (concessa dal Fondo di cui all'articolo 90, comma 12, della legge n. 289/2002: “Presso l'Istituto per il credito sportivo e' istituito il Fondo di garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella ipotecaria per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree da parte di società o associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica) e di un contributo agli interessi su un medesimo finanziamento.
Il predetto intervento ha carattere straordinario e durerà fino al 31 dicembre 2020.
In particolare, la disposizione di cui sopra, introduce, un ampliamento dell'ambito di operatività sia del Fondo di Garanzia per l'impiantistica sportiva, che del Fondo speciale per la concessione di contributi in conto interessi istituiti presso l'Istituto per il Credito Sportivo.
Per quanto concerne il Fondo di Garanzia per l'impiantistica sportiva (per l'anno 2020), quest'ultimo viene implementato con una dotazione di 30 milioni di euro per la prestazione di garanzie sui finanziamenti erogati dall'Istituto per il Credito Sportivo (o da altro istituto bancario) a sostegno delle esigenze di liquidità degli Organismi Sportivi (FSN, DSA, EPS, ASD/SSD riconosciute ai fini sportivi dal Registro tenuto presso il CONI). Si tratta, pertanto, di una misura indispensabile per fronteggiare le conseguenze economiche subite in questa prima fase dal pubblico degli Organismi Sportivi che, a seguito delle misure di contenimento messe in atto, hanno subito una drastica riduzione dei propri ricavi necessari per la gestione e conduzione delle proprie attività. Probabilmente, per la prima volta, gli organismi sportivi vengono considerati al pari delle piccole/medie imprese.
Ora, sulla base di quanto detto, è chiaro pensare che i potenziali Organismi Sportivi, che potrebbero accedere al fondo, sono in gran numero. Pertanto, si ritiene opportuno suggerire la riproposizione della dotazione del Fondo anche per l’anno 2021, immaginando che, seppur l’emergenza liquidità sarà ridotta, la ripartenza, scaglionata e contingentata dall’adeguamento del servizio sportivo ai protocolli validati dal Comitato Tecnico Scientifico, porterà gli Organismi Sportivi a dover richiedere ulteriori risorse per nuovi investimenti:
- la messa in sicurezza,
- la sanificazione,
- il presidio organizzativo ed anche lo sviluppo di nuovi modelli di attività sportiva.
Tutto questo richiederà nuovi corposi investimenti e fondi a tasso zero.
In merito, invece, al secondo intervento di cui al comma 2 dell'art. 14, si prevede che il Fondo speciale, per la concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti all'impiantistica sportiva, possa erogare contributi in conto interessi, fino al 31 dicembre sui finanziamenti erogati dall'Istituto per il Credito Sportivo o da altro istituto bancario per le esigenze di liquidità dei medesimi Organismi Sportivi sopra individuati.
L'aspettativa è che tali misure, attuate in un momento di emergenza per il Paese, possano progressivamente divenire parte integrante del sistema sportivo in considerazione del fatto che le difficoltà di finanziamento degli Organismi Sportivi, soprattutto delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche, non sono circoscritte a questa fase di crisi ma, accompagnano, il normale ciclo di vita di questi Organismi.
Decreto Rilancio e sodalizi sportivi
Altresì, il Decreto Rilancio ha previsto alcune misure di sostegno che potremmo così sintetizzare:
- l'art. 25 del Decreto Rilancio recita: “al fine di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epi-demiologica “Covid-19” è riconosciuto un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Re-pubblica 22 dicembre 1986, n 917…”.
La nuova norma, diversamente da quanto era previsto in altri provvedimenti, tratta, per la prima volta, di contributi a fondo perduto. I destinatari sembrano esser esclusivamente i soggetti “esercenti attività di impresa”. Si ritiene, pertanto, che potranno accedere al fondo suddetto solo le società sportive, le cooperative sportive dilettantistiche di capitali nonché le imprese sociali. Si attendono ulteriori chiarimenti per poter estendere l'accesso al fondo anche alle Associazioni con partita IVA.
- l'art. 28 (Credito di imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo), che affronta anche il discorso del credito di imposta per i canoni di locazione degli immobili ad uso non abitativo e affitto d’azienda.
Al fine di contenere gli effetti negativi, derivanti dalla pandemia e dalle misure di conteni-mento, ad essa connesse, ha previsto un credito di imposta.
Il credito di imposta in esame appare essere utilizzabile da tutti gli enti del terzo settore, asso-ciazioni culturali e sportive, società sportive e cooperative dilettantistiche e imprese sociali.
Il credito di imposta spetta anche in quei casi, frequenti nell’ambito delle palestre di cultura fisica, il cui rapporto con la proprietà non sia legato ad un contratto di locazione, bensì di af-fitto d’azienda (si pone il problema della cumulabilità o meno con la riduzione al 50 del canone di locazione, per lo stesso periodo, previsto per gli impianti sportivi di cui all’art. 216).
- l'art. 216 - è interessante porre l'attenzione sulle disposizioni in tema di impianti sportivi: “In ragione della sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei decreti- legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, le parti dei rapporti di concessione, comunque denominati, degli impianti sportivi pubblici possono concordare tra loro, ove il concessionario ne faccia richiesta, la revisione dei rapporti concessori in scadenza entro il 31 luglio 2023, mediante la ride-terminazione delle condizioni di equilibrio economico-finanziarie originariamente pattuite, anche attraverso la proroga della durata del rapporto, in modo da favorire il graduale recupero dei proventi non incassati e l’ammortamento degli investimenti effettuati o programmati”.
A tal proposito si prevede la possibilità, dietro richiesta da parte dei sodalizi sportivi, gestori di impianti pubblici, di chiedere al proprietario dell'impianto che venga operato un riequilibrio degli interessi coinvolti e che possa anche esser valutata una eventuale proroga della originaria durata del rapporto. Ai sensi della norma in esame tale revisione potrà esser richiesta solo dai gestori con rapporto in scadenza entro luglio 2023. Ad avviso della scrivente, sulla base di quanto previsto dal Codice degli Appalti, anche i soggetti, con un rapporto che andrà a scade-re successivamente, avranno titolo per poter richiedere la revisione dei contenuti della convenzione di gestione in essere.
Sempre l’art. 216 comma 4 del Decreto Rilancio: «A seguito della sospensione delle attività sportive (...), ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di abbonamento per l'accesso ai servizi offerti da palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1463 del Codice civile. I soggetti acquirenti possono presentare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, istanza di rimborso del corrispettivo già versato per tali pe-riodi di sospensione dell'attività sportiva, allegando il relativo titolo di acquisto o la prova del versamento effettuato. Il gestore dell'impianto sportivo, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al periodo precedente, in alternativa al rimborso del corrispettivo, può rilasciare un voucher di pari valore incondizionatamente utilizzabile presso la stessa struttura entro un anno dalla cessazione delle già menzionate misure di sospensione dell'attività sportiva».
Sul punto, è bene distinguere tra i versamenti conferiti dai soci, quali quote associative da quelli pagati dai tesserati per la partecipazione ai corsi. È usuale per le associazioni sportive chiedere ai propri associati una quota annuale di iscrizione (da pagarsi in una unica rata ad i-nizio anno sociale/sportivo o dilazionata nel tempo). Questo pagamento discende direttamente dalla qualifica di “socio” del sodalizio, potendo quindi godere dei diritti e dei doveri connessi a tale status. Posto che secondo le previsioni dell’art. 37 del Codice Civile e tributarie di riferimento in materia di agevolazioni fiscali per gli Enti di tipo associativo (art. 148 del TUIR - Testo Unico delle Imposte sui Redditi), nonché si presume per espressa disposizione degli statuti delle singole associazioni, la restituzione di questo conferimento deve essere vietata, va da sé che è da escludersi la possibilità di rimborso della quota associativa o di parte di essa. Diverso è il discorso che concerne il pagamento delle quote versate dagli atleti per la partecipazione ai corsi per attività già pagate ma delle quali il tesserato non ha potuto fruire a causa del blocco forzato delle attività. In questo caso, l’atleta ha diritto al rimborso della parte di quota della quale non ha potuto usufruire, in applicazione dell’art. 1463 del Codice Civile secondo il quale chi paga per ottenere un servizio che poi, per impossibilità sopravvenuta e senza sua colpa non viene fornito, ha diritto di essere rimborsato (In tale caso la società può pro-porre ai tesserati di “congelare” gli abbonamenti, per poi ricominciare ad utilizzare il periodo rimanente una volta terminata l'emergenza, fermo restando, tuttavia, che l’atleta sarà libero di accettare o meno tale proposta).
Per le sportive, si potrà, eventualmente, in un secondo momento, porre il problema di una successiva mancanza di idoneità alla pratica sportiva da parte del soggetto possessore del buono che ne potrà impedire il godimento. In tal caso si dovrà procedere alla restituzione della quota versata.
Continuando ad analizzare l’art. 217 del decreto in questione, viene istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il “Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale” …
Il Fondo è gestito dall’ufficio sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri “…Con decreto dell’Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo …”
Responsabilità dei Presidenti delle società sportive in caso di contagio di uno o più dei propri soci / tesserati
Con la riapertura di palestre e centri sportivi, è fondamentale che vengano rispettate le disposizioni di legge da parte dei sodalizi sportivi, integrando la redazione e l’osservanza dei protocolli previsti dalle Linee-Guida, ai sensi dell’art. 1, lettere f e g del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 26, con le indicazioni specifiche delle singole Federazioni del 4.05.2020 (Modalità di svolgimento degli allenamenti per gli sport individuali).
L’osservanza dei Protocolli suddetti, unitamente alle indicazioni offerte dalle Singole Federazioni, potrà mettere, quasi completamente, al riparo i Presidenti da eventuali azioni di responsabilità intentate da chi dovesse contrarre il virus.
Infatti, nell’ ipotesi in cui un tesserato e/o un socio (ma anche un soggetto terzo) dovesse risultare positivi al Covid-19, dovrebbe, in primo luogo, provare che l’infezione sia avvenuta all’interno dei locali della Società Sportiva, prova questa assai difficile da raggiungere in quanto il contagio sarebbe potuto tranquillamente avvenire in altri contesti sociali.
Ma se poi anche il soggetto contagiato riuscisse ad arrivare a questa prova assai ardua, dovrebbe poi, in aggiunta, dimostrare che il virus è stato contratto per colpa, o addirittura dolo, da parte della Società e del suo Presidente.
Pertanto, quest’ultima fattispecie, se la Società documenterà di aver adottato tutte le precauzioni dettate dalla legge, potrà ritenersi, con molta probabilità, esente da ogni responsabilità civile e/o penale.
L’intrinseca difficoltà di circoscrivere con certezza il luogo di contagio non deve assolutamente essere motivo di inosservanza delle misure imposte dalle norme.
Si tratta, infatti, prima che di un obbligo giuridico, di un dovere morale dei soggetti dell’ordinamento sportivo (oltre che dei lavoratori tutti e dei datori di lavoro) di rispettare e far rispettare le norme.
In relazione a quanto appena illustrato, la Corte di Cassazione, in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro (materia da considerare in via analogica con il caso in questione), ha costantemente enunciato il principio secondo cui il datore di lavoro, se non vuole incorrere in responsabilità, dovrà mantenere la chiusura dell’azienda in caso di impossibilità a garantire ai lavoratori un livello di sicurezza adeguato nel sito dove si svolge l’attività d’impresa.
Il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche, infatti, è punibile ai sensi dell'art. 40 c 2 cp. Trattasi di reato omissivo improprio, o reato commissivo mediante omissione. Tale condotta acquisisce rilevanza causale solo in riferimento a quei soggetti che rivestono una posizione di garanzia, ovvero hanno l'obbligo di evitare il verificarsi del fatto giuridico, in virtù della particolare relazione che li lega al bene giuridico. Quindi solo qualora l'agente abbia un obbligo giuridico di impedire l'evento, si ha una corrispondenza tra il non impedire e il cagionare.
Nello specifico, il datore di lavoro risponde del reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p. (salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, procedibile a querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.).
Per quanto riguarda, poi, l'onere della prova, la circolare n. 13/2020 dell'INAIL chiarisce che, in linea generale: “Nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.
Per tutti gli altri lavoratori, la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che la malattia sia stata contratta durante l’attività lavorativa stabilendo l’onere della prova a carico dell’assicurato.
L’assicurazione Inail ha effetto anche per i casi di infortunio in itinere in cui rientrano gli incidenti da circolazione stradale, a prescindere dal mezzo utilizzato per raggiungere il posto di lavoro, ed i contagi avvenuti durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, in base alla valutazione medico-legale.
Considerando, inoltre, che il periodo di tempo che intercorre tra il contagio ed il manifestarsi dei sintomi può arrivare fino a 14 giorni, risulta estremamente difficile sostenere per il lavoratore che il luogo del contagio possa essere individuato con certezza all'interno della sede di lavoro.
A causa della virulenza della malattia, infatti, sarebbe difficile escludere altre possibili cause di contagio quali la vicinanza ad altre persone positive nei luoghi di aggregazione necessaria come supermercati o mezzi pubblici o altrimenti il contatto con familiari conviventi contagiati.
Al datore di lavoro potrebbe essere sufficiente dimostrare di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge per escludere in capo a sé ogni responsabilità o, per contro, sostenere che nei giorni prossimi all’ipotizzato contagio, il dipendente non abbia sempre e con rigore osservato le precauzioni imposte quali l'uso della mascherina o dei guanti. Appare quindi molto difficile per il lavoratore fornire la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
L'eventuale contagio da coronavirus all'interno del luogo di lavoro non esenta il datore di lavoro dal risarcimento del danno anche in sede civilistica, ai sensi dell'art. 2043 cc ed il riparto dell'onere della prova è anche, in questo caso, a carico del danneggiato il quale deve provare il nesso di causalità fra l’evento dannoso e la condotta attiva o omissiva del datore di lavoro all'ipotizzato contagio.
Collaboratori sportivi
A partire dal Decreto Cura Italia n. 18, circolavano alcuni dubbi, insussistenti, circa la legittimità, per il collaboratore sportivo, di chiedere l’indennità di 600 euro prevista dal Cura Italia.
Il dubbio nasceva dal fatto che richiederla significasse equiparare i collaboratori sportivi a dei professionisti e quindi esporli a problemi di natura fiscale.
Il dubbio di cui sopra è stato fugato in un attimo in quanto ha subito prevalso l'idea della loro lapalissiana idoneità ad accedere all’indennità, in quanto, con questa norma, il Decreto ha riconosciuto il contratto di collaborazione, a tutti gli effetti, come una delle tipologie di contratto di lavoro, rientrante nei redditi diversi.
Tra l’altro, lo stesso lavoratore, aderendo a questo contratto, ha riconosciuto il suo inquadramento come corretto e pertanto non sussisterebbe nessun presupposto per considerarlo diversamente.
A tal riguardo, pertanto, si può tranquillamente affermare che questa disposizione del Cura Italia ha fatto emergere una questione che, d'ora in avanti, non potrà più esser ignorata.
La volontà, da parte del legislatore, di aver riconosciuto loro un’identità lavorativa potrà aprire la strada alla possibilità che il lavoro in un’attività sportiva dilettantistica possa essere finalmente legittimato ed inquadrato dallo Stato.
Dopotutto è ora che anche lo sport dilettantistico abbia una sua chiara giurisprudenza lavorativa per non subire più ingiuste persecuzioni.
Di sicuro una strada, era stata tracciata dalla Società lucrativa, che nella sua breve vita, vedeva riconoscere, ad una parte dello sport dilettantistico, una dignità di impresa che avrebbe permesso ai lavoratori di avere un loro inquadramento e allo Stato di avere un vantaggio sull’Erario. Per le società sportive lucrative, le collaborazioni sportive si sarebbero dovute inquadrare come redditi di lavoro dipendente. Per essere precisi le collaborazioni sportive, come veniva indicato dalla Legge di stabilità e delle relative norme quali la L. 81/2015, sono tutte quelle collaborazioni non professionali rese nell’ambito delle finalità istituzionali dell’Associazione/Società Sportiva.
I compensi derivanti dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati dalle società sportive dilettantistiche lucrative riconosciute dal CONI avrebbero costituito redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986.
Pertanto “le lucrative” avrebbero avuto una disciplina diversa dalle ASD/SSD, i cui collaboratori sarebbero risultati di fatto come lavoratori.
Forse questa potrebbe essere un’idea sulla quale poter tornare a fare alcune riflessioni.
Conclusioni
Tuttavia, concludendo il mio operato, posso solo asserire che la speranza più illuminante è che lo sport venga riconosciuto, a tutti gli effetti, come attività sanitaria, in quanto questo riconoscimento porterebbe a sostenerlo, senza alcun indugio, in ambito fiscale, lavorativo e sociale.
Proprio perché riconosciuto dalle organizzazioni sanitarie nazionali e mondiali come farmaco per la salute, alla fine dovrebbe essere tutelato e sostenuto.
A tal proposito, vi sarebbe già un primo inquadramento in tal senso, che potrebbe aprire le porte a successivi interventi finalizzati nel far rientrare, a pieno titolo, lo sport tra le attività per la salute e, quindi, esenti o agevolate fiscalmente. Un primo approccio verso la legittimazione arriverebbe già dalla legge delega 86/2019 (Legge 8 agosto 2019, n. 86 Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché' di semplificazione), alla quale, come ben sappiamo, sarebbero dovute seguire leggi attuative che probabilmente saranno soggette ad ulteriori deroghe a causa della pandemia.
Ci auguriamo che questa crisi che vede il settore sport esposto e senza riparo possa accelerare i tempi.
Ad oggi per le Sportive, la liquidità rimane il problema più grande. Pertanto, non è semplice esprimere delle conclusioni nei confronti di una questione che invece è in continuo divenire a tal punto che al momento in cui questo lavoro verrà pubblicato è probabile che molte questioni siano già state modificate.
È un momento storico senza precedenti, ma come ogni situazione che versa nello straordinario, è bene augurarci che possa essere un momento di grande propositività per metterci tutti a lavoro cercando di strutturare dei buoni progetti.
A cura di Avv. Stefania Pensa
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