Periti industriali, una categoria viva e pronta al cambiamento
Una categoria viva, dal profilo composito e con una profonda voglia di mettersi in discussione. E’ il tratto distintivo che emerge dai risultati dell’Osserva...
Una categoria viva, dal profilo composito e con una profonda voglia di mettersi in discussione. E’ il tratto distintivo che emerge dai risultati dell’Osservatorio sulla professione di perito industriale, prima indagine sulla categoria realizzata, nel 2016, dal Centro studi del Cnpi e presentata oggi a Roma in occasione del convegno “Professionisti del futuro tra sfide e opportunità” presso l’Hotel D’Azeglio a partire dalle ore 15.00.
Pensato pochi mesi prima dell’approvazione della legge 89/16, che ha sancito l’obbligo di una laurea per l’accesso all’albo, l’Osservatorio, ha mosso i suoi primi passi in un periodo decisivo per la professione: il passaggio legislativo è infatti un tassello fondamentale per avviare quel percorso di cambiamento che la categoria vuole intraprendere.
E’proprio questo l’ elemento di fondo che traspare dall’indagine, condotta su quasi 10mila iscritti all’albo (su 43mila totali): la consapevolezza di trovarsi in un passaggio decisivo che, per quanto critico, appare necessario e improcrastinabile per garantire una nuova prospettiva di futuro. Se è vero, infatti, che un ciclo storico si è chiuso e che nuovi paradigmi produttivi e tecnologici stanno trasformando conoscenze e saperi, i periti industriali non vogliono restare indietro.
Un profilo plurimo e composito
Ma come è composta la famiglia dei periti industriali? L’indagine conferma il profilo di una categoria estremamente composita sia per ambiti di specializzazione che per modalità di esercizio professionale.
L’area industriale ad indirizzo elettrico è la specializzazione principale (41,8%), seguita da quella civile e ambientale (15,5%) e dall’industriale ad indirizzo meccanico (17,5%). Negli anni l’articolazione della professione ha subito diversi cambiamenti: la centralità del settore industriale elettrico si è imposta tra gli anni novanta e duemila, quando quella specializzazione, allora importante ma non centrale, è diventata maggioritaria. Diminuisce, invece, il peso del settore edile (raccoglie il 34,8% degli iscritti prima del 1980 e “solo” il 14% degli iscritti dopo il 2010), mentre cresce il peso di nuove aree di interesse: tra gli iscritti dopo il 2010, il 5,8% appartiene al settore della prevenzione e dell’igiene, il 6,7% dell’informazione, il 3,9% della chimica e delle tecnologie alimentari, e infine l’1,4% al design. Il 45,9% del totale degli iscritti è un libero professionista, o altro lavoratore che esercita la professione in via esclusiva, il 12,9% la svolge come dipendente.
La libera professione
All’interno di un universo articolato, la libera professione rappresenta la forma distintiva e più specifica dell’identità professionale. Al tempo stesso, le modalità di esercizio appaiono diversificate, e alla netta prevalenza della forma individuale, che contraddistingue il 78,8% degli iscritti, si accompagna una logica di tipo collaborativo e associativo, che interessa una quota pari al 14%: nello specifico il 6,3% è associato in associazione professionale, il 5,1% è socio di società tra professionisti e il 2,6% è socio di società di ingegneria.
La progettazione, sia edile che impiantistica, risulta la vera competenza distintiva della professione: è svolta dal 56% degli iscritti e ben il 50,7% la considera l’attività che più contraddistingue il proprio lavoro. A seguire le attività più svolte sono direzione lavori (34,4%), consulenza tecnica generale (33,1%), collaudo impianti (24,7%), prevenzione incendi (21,2%), certificazioni (20,7%) salute e sicurezza sul lavoro (17,2%).
Il futuro del mercato professionale
Complessivamente per oltre la maggioranza dei professionisti il mercato negli ultimi due anni ha tenuto tanto che nel 2016 quasi un quarto dei professionisti ha visto aumentare il proprio fatturato, mentre per il 47,3% questo è rimasto invariato.
Per tornare a crescere occorre allineare maggiormente l’offerta di servizi professionali alla domanda, che oggi vede fortemente penalizzato il settore delle costruzioni e tutte quelle funzioni ad esso connesse (progettazione, direzione lavori), su cui i periti industriali sono impegnati.
Nuovi settori e nuove competenze possono oggi dare ossigeno alla professione: l’area informatica e digitale, il design la riqualificazione energetica degli edifici, la sicurezza ambientale. Tra i servizi professionali su cui i periti industriali riscontrano una maggiore crescita della domanda di mercato, si segnalano certificazioni, perizie e consulenza tecnica (CTU), prevenzione salute e sicurezza, consulenza legale e fiscale.
L’innalzamento del livello d’istruzione, una scelta già per molti
Il 9,1% degli iscritti possiede un titolo di studio universitario, che nel 79,6% dei casi è finalizzato all’esercizio professionale. Tra le lauree più diffuse spicca ingegneria (50,8% dei laureati, principalmente indirizzo industriale) e a seguire scienze delle professioni sanitarie (9,9%) e architettura e similari (6,2%). A questa quota si aggiunge il 3,8% che dichiara di essere iscritto ad un corso universitario.
Le prospettive future
“Questo lavoro di analisi - ha commentato il presidente
Cnpi Giampiero Giovannetti - costituisce una
base conoscitiva importante per elaborare le politiche future per
la categoria. I dati a nostra disposizione ci fanno capire,
infatti, come la fase di cambiamento sia certamente avviata, ma che
ci sia ancora molto da fare. Innanzitutto dobbiamo
riflettere sui profili di conoscenze e competenze necessarie per
tornare a crescere, poi c’è bisogno di innovare la nostra
professione, e questo è evidente dall’unanime consapevolezza di
trovarsi in una fase nuova in cui tutti sono chiamati a
reinventarsi.
In tal senso è fondamentale completare quel processo di riforma
avviato con la legge 89 per rivedere il nostro ordinamento
professionale, operando una semplificazione delle
specializzazioni–ormai molte marginali- per renderle più aderenti
al mercato. E poi necessario fare una riflessione sul modello
organizzativo della professione: è indispensabile innovare e
diversificare le attività, integrando competenze attraverso
un’organizzazione in grado di associare e fare rete. Solo così la
professione potrà continuare a crescere”.
A cura di Ufficio Stampa CNPI
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