Reddito professionale, preclusa la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza
Il professionista non può a proprio piacimento imputare a titolo di costi dell'attività professionale oneri che appaiono incoerenti rispetto allo strumento n...
Il professionista non può a proprio piacimento imputare a titolo di
costi dell'attività professionale oneri che appaiono incoerenti
rispetto allo strumento negoziale utilizzato per avere a
disposizione un bene strumentale all'esercizio dell'attività
professionale ed ipotetici rispetto all'esercizio dell'attività che
andrà a svolgere in futuro.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 22579 dello scorso 11 dicembre, con la quale ha rigettato il ricorso presentato da un professionista che aveva imputato ad un unico esercizio l'intero importo di 5 anni del canone di locazione dell'immobile dove svolgeva attività professionale. In particolare, il contribuente aveva già perso i primi due ricorsi e in Cassazione ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 50 del TUIR, affermando che l'attività di libero professionista svolta impone di fare applicazione, ai fini della determinazione del reddito, del criterio di cassa.
Gli ermellini hanno ricordato che il reddito dell'attività professionale è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazioni ad utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio della professione. L'imputazione di un determinato costo ad un esercizio piuttosto che ad un altro può comportare l'alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi.
Deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d'impresa, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacché il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività. Questo è un indirizzo che vale anche per la determinazione dei redditi di qualsiasi contribuente esercente attività economica professionale, anche se non commerciale, dovendosi considerare la ormai consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia per la quale la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità eserciti un'attività economica a prescindere dallo status giuridico.
D'altra parte, tale esigenza trae origine dall'affermazione esplicita per cui "le regole sull'imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l'ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell'esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito imponibile".
In definitiva, i professionisti, come le imprese, non possono imputare all'esercizio corrente costi riferiti ad anni successivi (come il canone di locazione dell'immobile dove svolgono la propria attività).
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 22579 dello scorso 11 dicembre, con la quale ha rigettato il ricorso presentato da un professionista che aveva imputato ad un unico esercizio l'intero importo di 5 anni del canone di locazione dell'immobile dove svolgeva attività professionale. In particolare, il contribuente aveva già perso i primi due ricorsi e in Cassazione ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 50 del TUIR, affermando che l'attività di libero professionista svolta impone di fare applicazione, ai fini della determinazione del reddito, del criterio di cassa.
Gli ermellini hanno ricordato che il reddito dell'attività professionale è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazioni ad utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio della professione. L'imputazione di un determinato costo ad un esercizio piuttosto che ad un altro può comportare l'alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi.
Deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d'impresa, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacché il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività. Questo è un indirizzo che vale anche per la determinazione dei redditi di qualsiasi contribuente esercente attività economica professionale, anche se non commerciale, dovendosi considerare la ormai consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia per la quale la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità eserciti un'attività economica a prescindere dallo status giuridico.
D'altra parte, tale esigenza trae origine dall'affermazione esplicita per cui "le regole sull'imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l'ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell'esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito imponibile".
In definitiva, i professionisti, come le imprese, non possono imputare all'esercizio corrente costi riferiti ad anni successivi (come il canone di locazione dell'immobile dove svolgono la propria attività).
A cura di Ilenia
Cicirello
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