Rinnovo CNAPPC: il commento del Presidente degli Architetti di Lodi
A meno di 2 settimane dalle elezioni per il rinnovo del Consiglio Nazionale Architetti PPC (leggi articolo), dopo aver svelato i nominativi di tutti i candid...
A meno di 2 settimane dalle elezioni per il rinnovo del Consiglio Nazionale Architetti PPC (leggi articolo), dopo aver svelato i nominativi di tutti i candidati (leggi articolo), cominceremo una rubrica in cui faremo conoscere meglio il pensiero di alcuni aspiranti nuovi consiglieri.
È il turno dell'Arch. Laura Boriani, Presidente Ordine Architetti PPC Lodi, che ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande e che riportiamo di seguito integralmente.
1. Dal 2006 ad oggi i professionisti dall'area tecnica hanno visto diminuire le loro "tutele", crollare i fatturati e contestualmente aumentare gli obblighi a loro carico. La prima conseguenza ha riguardato la crisi d'identità della professione che ha visto decadere la qualità delle prestazioni professionali. Come pensa sia potuta accadere questa vera e propria "debacle"?
E’ innegabile che sia stato posto in atto un processo di
liberalizzazione che ha finito per avvantaggiare, nel mercato delle
professioni tecniche, i centri di potere contrapposti ai liberi
professionisti (società di capitali e società di ingegneria).
La crisi economica devastante per il settore delle costruzioni ha
fatto il resto. Il tentativo di confinare il libero professionista
dentro gli organici delle società d’ingegneria e dei grossi gruppi
è reale. Voglio fare solo un esempio recente. La stessa norma della
Legge 132/2015 sul funzionamento dell’Amministrazione giudiziaria
costituisce certamente un pessimo servizio ai professionisti e un
favore fatto alle banche. Vi leggo anche un disegno che porta verso
la sostanziale estromissione dei CTU liberi professionisti dalle
consulenze in ambito di procedure esecutive, a favore di società
che possano gestire appalti di servizi ai Tribunali. In tale
contesto, il perito diverrebbe il semplice anello di una catena,
esposto a condizioni remunerative dettate da logiche di
profitto.
Per tacere il fatto che, nel settore degli appalti pubblici,
l’affidamento dei servizi tecnici è stata sinora pesantemente
condizionata da logiche che privilegiano la valutazione del
fatturato dei possibili contraenti più che dalle loro qualità
professionali. Infine vi è il tema della concorrenza sleale
talvolta praticata da colleghi in organico alle università.
Colleghi che hanno iniziato il loro rapporto con le PA assumendo
incarichi nell’ambito del proprio dipartimento, e magari – per tale
ragione – hanno goduto di procedure di affidamento non concorsuali,
per poi, nel tempo, divenire professionisti di riferimento delle
stesse P.A. acquisendo, di conseguenza, incarichi quali liberi
professionisti.
2. Minimi tariffari, formazione continua e assicurazione professionale. Sono solo alcuni dei temi più scottanti che hanno interessato i professionisti dell'area tecnica. Qual è il suo punto di vista?
Non rimpiango i minimi tariffari. Nessuno li ha mai applicati negli incarichi privati. Semmai rimpiango le tariffe perché costituivano un giusto punto di riferimento per calcolare il corrispettivo. Nulla vieta comunque di utilizzarle ancora, senza citarle. Il problema è piuttosto quello degli scandalosi ribassi che si registrano nel caso di gare pubbliche e che, semmai, dovrebbero essere oggetto di approfondite verifiche, da parte delle stazioni appaltanti, sull’evidente anomalia dell’offerta e, nel caso, segnalati anche agli Ordini di riferimento contestando la violazione, da parte dei professionisti che li propongono, delle norme deontologiche. Per tale verifica potrebbe essere utile l’istituzione di una banca dati dei costi cogniti sopportati dagli studi professionali per la produzione delle singole prestazioni, banca dati alla quale potrebbero attingere le pubbliche amministrazioni nel procedimento di verifica di congruità delle offerte.
Formazione continua. Nessuno può negare che
l’aggiornamento professionale sia indispensabile per poter
espletare la propria attività. Lo sviluppo tecnologico avanza e le
normative cambiano ogni giorno. Un vero professionista sa che non
può esercitare se non si aggiorna poiché, diversamente le regole di
mercato lo vedrebbero emarginato. L’evoluzione normativa e
tecnologica del settore ha assunto ormai un ritmo frenetico,
sicché, in assenza di un congruo e continuo aggiornamento, il
professionista rischia di essere posto “fuori mercato” per effetto,
magari, un provvedimento di restrizione della libertà personale
(per dirlo con un eufemismo).
L’obbligo di rincorrere occasioni formative talvolta improbabili al
solo scopo di collezionare crediti formativi può apparire però una
ingiusta e, in buona sostanza, inutile imposizione, finendo per
rivelarsi utile per accrescere il fatturato dei “formatori”, più
che la professionalità dei “formati”. Il sistema adottato dagli
ingegneri mi pare più adatto a riconoscere che chi esercita è, per
scelta autonoma ed obbligata, aggiornato.
Va detto anche che l’aggiornamento autonomo dovrebbe essere
integrato su temi differenti, più vicini alla cultura
architettonica ad esempio, o su temi specifici di approfondimento.
Certo l’offerta formativa proposta dalla rete degli ordini vanta
eccellenze, ma purtroppo anche esempi di scarsa qualità.
Come presidente dell’Ordine di Lodi ho lavorato per offrire agli
iscritti eventi formativi di qualità e gratuiti, affinché l’obbligo
non costituisse un ulteriore gravame sulle finanze degli
iscritti.
Assicurazione professionale. Credo sia fondamentale che, chiunque eserciti una professione, complessa qual è la nostra, debba essere assicurato. Diversamente sarebbe un irresponsabile. In tempi come quelli attuali in cui il contenzioso negli appalti pubblici e privati ha raggiunto livelli mai in precedenza toccati, ritengo necessaria una idonea copertura assicurativa. Tutela il committente, ma anche il professionista che può incappare nell’errore o essere coinvolto nel contenzioso suo malgrado, magari chiamato a rispondere in solido a danni causati dall’impresa o ad errori commessi da colleghi. Certo sarebbe opportuno che vi fosse una simmetrica copertura assicurativa a carico del committente: il professionista è assicurato a garanzia del committente, ma il committente dovrebbe prestare una fidejussione per garantire il pagamento delle prestazioni che affida al professionista. La certezza dei pagamenti è un diritto che va tutelato, in una società che si definisce civile.
3. Nonostante il ruolo principale degli Ordini professionali sia controllare i professionisti a tutela del mercato, pensa che avrebbero potuto avere un ruolo diverso a tutela della professione?
Certamente nell’impegnarsi a chiarire definitivamente la questione delle competenze riservate alle varie categorie, argomento che non può trovare soluzione a colpi di sentenze. Ci sono confini molto permeabili che vanno individuati e consolidati. E ciò, principalmente, a tutela della società e di riflesso a tutela della professione. Il progetto d’architettura è riservato agli architetti. Ogni categoria ha uno specifico ambito che discende dal proprio corso di studi e tale ambito dev’essere fatto rispettare reciprocamente. Aprire un tavolo con le altre professioni tecniche tradurre questo concetto in un quadro normativo condiviso, sarebbe stato decisamente opportuno.
4. In che modo gli Ordini incidono nelle scelte dei legislatori che riguardano i liberi professionisti?
Gli Ordini in nessun modo, nell’attuale quadro istituzionale. Sgombriamo il campo da equivoci: gli Ordini (ed il Consiglio Nazionale) non sono la “lobby degli architetti”, così come le camere di commercio non fanno lobbying per gli imprenditori. La rappresentanza di categoria deve essere affidata ad altri istituti, e penso in particolare al libero associazionismo.
5. Quali risultati concreti sono stati raggiunti negli ultimi 10 anni dagli Ordini professionali?
Posso riferire l’esperienza del mio Ordine, piccolo ma molto
attivo, negli ultimi anni, non dieci perché 10 anni fa io e il miei
consiglieri non eravamo ancora in carica. Siamo ad esempio
intervenuti con segnalazioni all’AVCP per affidamenti di incarichi
poco trasparenti da parte delle P.A. e recentemente ad ANAC per il
mancato affidamento dell’incarico al vincitore di un concorso
pubblico, nonostante il bando lo prevedesse. Questi comportamenti
danneggiano la società in primis, oltre che il professionista
singolo interessato. Non entro in dettagli, ma in questo caso si
sono gettati al vento soldi pubblici. E l’ultima iniziativa in
progress è una segnalazione all’AGCM relativamente alle vicende
lombarde su Cened +2.0.
Se tutti gli ordini agissero coralmente nel quadro istituzionale
segnalando sempre i fenomeni distorsivi del mercato, forse si
raggiungerebbero risultati concreti, anche solo trasmettendo, nel
contesto istituzionale e sociale, il senso di una più consapevole
autorevolezza della categoria.
6. Quale ruolo dovrebbero assumere gli Ordini professionali? Crede sia necessario riformare il ruolo degli Ordini professionali e dei Consigli Nazionali? Se si, in che modo?
Credo fermamente che occorra una seria e vera riforma. Come già
detto ritengo che, tra i compiti oggi in capo al sistema
ordinistico, vi siano unicamente quelli di cui ai regi decreti
istitutivi e quelli stabiliti dalla recente riforma. Il mondo nel
frattempo è cambiato: cambiamo gli Ordini, ma non attribuiamo loro
funzioni che per la loro natura non possono avere. Il modello
auspicabile è quello anglosassone, in particolare quello
statunitense. Vale la pena di approfondire brevemente. Negli Stati
Uniti esiste un Consiglio nazionale (NCARB) i cui membri sono gli
“Architectural Registration Boards” dei 50 stati.
Ma di cosa si occupano questi Boards? I Boards sono incaricati di
tutelare il bene e la salute pubblica guidando gli architetti in un
percorso per raggiungere l’abilitazione professionale.
La registrazione nei boards garantisce che un soggetto è
adeguatamente preparato ad esercitare e a fregiarsi del titolo di
architetto. I Boards stabiliscono regole precise per quel percorso:
a partire da quali facoltà d’architettura garantiscano i requisiti
formativi basilari, i periodi di tirocinio e la serie di esami da
superare per poter conseguire la “licenza”. Il Consiglio
nazionale, molto in sintesi, sviluppa ed applica gli standard per
l’abilitazione professionale e le qualifiche degli architetti.
Fin qui il ruolo istituzionale. Vi è poi il piano dell’associazione
ad adesione volontaria (AIA) che assume il ruolo di garante della
professionalità scientifica e pratica dei suoi membri e elevando la
qualità della professione. Per raggiungere tali obbiettivi
l’associazione (presente abbastanza capillarmente sul territorio)
mette in campo risorse e strategie per fornire servizi, formazione
continua, occuparsi della deontologia ed anche formulando proposte
di legge al Congresso, rappresentando un credibile ed ascoltato
interlocutore. A questo link trovate l’illustrazione delle sinergie
tra i due livelli Ncarb e Aia (clicca
qui).
E’ possibile calare questo sistema adattandolo alla realtà del
nostro paese? Io ritengo di sì. Con opportuni correttivi che
tengano conto della nostra realtà, credo che un sistema del genere
si possa progettare. Disgiungere il ruolo istituzionale da quello
della rappresentanza e tutela professionale credo sia l’obbiettivo
da conseguire per un sicuro efficientamento di tutto l’apparato
che, per come è attualmente strutturato e caricato di obblighi (non
ultimo quello delle norme anticorruzione e di trasparenza), non può
più funzionare.
7. Nonostante il crollo dei fatturati, le principali cariche istituzionali dei Consigli Nazionali hanno registrato continui incrementi nei loro emolumenti. Come pensa sia stato possibile?
Ovviamente non ho elementi per commentare questa
affermazione.
Riguardo al bilancio di previsione Cnappc 2016, che vale circa 5,1
milioni di euro, dal conto economico apprendo che l’incidenza delle
“spese per gli organi dell’ente” è pari al 30,78% del totale. Tra
questi costi sono comprese le indennità per i consiglieri, i
rimborsi spese di missione, i costi per le riunioni di consiglio.
Tra altre e voci di costo troviamo quella relativa alle consulenze
e collaborazioni (ad integrazione delle attività istituzionali
dell’ente) pari a 550.000 € al lordo degli oneri e dei rimborsi
spese, da sommarsi ad altri 150.000 € per le consulenze a supporto
per adempimenti obbligatori.
Pur considerando che stiamo parlando dell’organismo al vertice del
sistema ordinistico, si tratta di cifre impressionanti. Soprattutto
se paragonate alle corrispondenti voci dei bilanci degli ordini,
non in termini assoluti ovviamente, ma in termini di incidenza. La
maggior parte degli Ordini non corrisponde gettoni di presenza ai
Presidenti e Consiglieri, soprattutto gli Ordini medio-piccoli che,
paradossalmente sono invece quelli dove presidenti e consiglieri,
dunque a titolo assolutamente gratuito, svolgono la maggior parte
dell’attività, stante il ridotto personale.
Ritengo che su queste voci di bilancio sia ormai improcrastinabile
una drastica spending review, anche perché – va detto – il bilancio
del Consiglio Nazionale è finanziato con i contributi associativi
degli architetti. Una riduzione della spesa improduttiva
consentirebbe la loro riduzione, obbiettivo tutt’altro che
trascurabile nell’odierna, sfavorevole congiuntura.
Per l’affidamento delle consulenze, che gravano pesantemente sul
bilancio, in futuro il Cnappc non dovrà prescindere
dall’esperimento di gare di evidenza pubblica, ove previsto, ma
quand’anche non lo fosse, ritengo che dal punto di vista etico sia
opportuno che ogni affidamento avvenga nel rispetto dei principi di
economicità, trasparenza e imparzialità.
8. Nelle prossime settimane si rinnoverà il direttivo del CNAPPC, come giudica il sistema di elezione dei Consigli Nazionali?
Si tratta di un sistema assolutamente da riformare, come tutto
l’impianto istituzionale. Per quale altro organismo elettivo ci si
può candidare, ma non si fa parte della base elettorale? Come noto
tutti gli Iscritti sono eleggibili, ma sono poi i Consigli degli
Ordini a votare. Rispetto poi ai criteri di gestione delle
candidature e delle liste, a dispetto delle norme che sanciscono la
formulazione di candidature singole, vige da sempre la regola non
scritta, ma fedelmente seguita, “un programma + 15 nomi” (tanti
sono i consiglieri da eleggere), da chiudere in una lista
blindata.
Questo sistema è antistorico e chiuso alle potenzialità ed alle
visioni cui invece farebbe bene ad aprirsi. La conseguenza è che
alla fine si contrappongono due parti, impegnate a giocare un derby
nel quale si rischia di perdere il senso stesso della
rappresentanza a discapito dell’intera nostra categoria perché in
questo modo ci è negata la ricchezza che viene dalla pluralità di
differenti approcci e posizioni.
Noi, e ritengo la nostra non sia una posizione isolata, crediamo
che questo vecchio sistema impedisca di far emergere le
potenzialità di altri soggetti eleggibili (siano essi Consiglieri o
meno). Potenzialità che rischiano di rimanere nell’ombra, ancora
una volta, a causa di dinamiche lontane e poco comprensibili e che
vengono percepite dall’esterno come manovre di palazzo finalizzate
alla mera conquista di una posizione di potere. Questo il senso di
un appello che il mio Ordine ha inviato a tutti i Consigli
provinciali.
9. Quali obiettivi dovrebbe portare avanti il direttivo del CNAPPC che sarà in carica nel prossimo quinquennio?
Soprattutto accompagnare e favorire la “riforma 2.0”,
anticipando le proposte al Ministro e guidando il cambiamento verso
un sistema che finalmente sciolga il nodo della rappresentatività
di Ordini e Cnappc. Ordini e Cnappc NON sono organi di
rappresentanza degli Iscritti, hanno altri compiti, ben definiti e
circoscritti dalle leggi istitutive. Sono emanazione dello Stato e
non organismi a tutela delle istanze dei professionisti. Finché non
si esce da questo cortocircuito non si va da nessuna parte.
Attualmente il sistema ordinistico non gode di credibilità né
presso la base (perché non tutela e non può tutelare gli Iscritti),
né di fronte all’interlocutore politico, proprio per questo
equivoco che da un certo momento storico si è venuto a creare. Mi
risulta che il Ministero abbia incaricato una consulente di solida
formazione anglosassone per gestire il tema. Questo fatto, se
confermato, può far pensare che a breve si andrà verso una proposta
di riforma che contenga gli elementi di chiarezza che ho prima
illustrato riferendomi al sistema americano.
Sostanzialmente, un registro nazionale e libere associazioni ad
iscrizione volontaria i cui compiti potrebbero prevedere,
legittimamente, anche la tutela della professione. Le altre
necessarie funzioni potrebbero ben comprendere la promozione della
cultura architettonica e la promozione della qualità dei
professionisti attraverso un adeguato sistema della formazione
continua, vigilando affinché l’imperativo etico imprescindibile
guidi l’operato dei propri associati.
Perché questo nuovo sistema funzioni occorre che passi un
principio. Agli organi di tutela istituzionale della professione
devono essere affidate poche e chiare funzioni, da svolgersi con
risorse contenute. Rendite di posizione, incarichi e prebende non
devono gravare sulle spalle degli iscritti.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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