SICUREZZA CANTIERI: ANCHE IL COMMITTENTE E' RESPONSABILE
Giro di vite sulla sicurezza nei cantieri. Il committente dei lavori è responsabile, qualora manchi in concreto un appaltatore fornito della capacità tecnica...
Giro di vite sulla sicurezza nei cantieri. Il committente dei
lavori è responsabile, qualora manchi in concreto un appaltatore
fornito della capacità tecnica e professionale per assumersi la
responsabilità dell'attuazione generale delle norme
antinfortunistiche.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 36581 del 21 settembre scorso, è nuovamente intervenuta su un tema caldo e di forte attualità: la tutela e la salute della sicurezza dei lavoratori. In particolare, la sentenza ha accolto con rinvio a giudizio il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari contro la sentenza che assolveva completamente il proprietario di un immobile che aveva commissionato ad un operaio, dipendente in mobilità di un'impresa, senza né mezzi né attrezzature, il rifacimento del tetto dello stabile, a causa del quale l'operaio ha perso la vita.
In prima battuta, il Tribunale Amministrativo Regionale aveva condannato il proprietario dell'immobile alla pena di 6 mesi reclusione per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e il risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede. Successivamente, la Corte d'Appello, ribaltando completamente la sentenza di primo grado, ha assolto l'imputato ritenendo l'insussistenza del fatto. La Corte d'Appello ha, infatti, ritenuto che non vi fosse rapporto di subordinazione che legava il proprietario dell'immobile con l'operaio, né che il proprietario stesso avesse il ruolo di direttore lavori nell'esecuzione degli stessi.
Contro questa sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari ha fatto, quindi, ricorso in Cassazione deducendo "inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 4 d.P.R. 547/1955 nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata". Ma non solo, la Procura di Bari ha evidenziato come "La Corte territoriale aveva del tutto ignorato che, nell'ambito degli obblighi di attuazione e rispetto delle prescrizioni di prevenzione degli infortuni, il committente dei lavori è responsabile, qualora manchi in concreto un appaltatore fornito della capacità tecnica e professionale per assumersi la responsabilità dell'attuazione generale delle norme antinfortunistiche"
I giudici della Suprema Corte, condividendo la tesi della Procura di Bari, hanno evidenziato come i giudici della Corte d'appello non abbiano preso in considerazione il fatto che il proprietario dell'immobile aveva commissionato i lavori di parziale ristrutturazione dello stabile, con particolare riferimento al rifacimento del tetto, ad un operaio, non titolare di impresa edile ma dipendente in mobilità di altra impresa, che non disponendo né di mezzi né di strumenti propri per eseguire le opere, aveva utilizzato le attrezzature del nipote. Come prescritto dalla Suprema Corte, l'avere utilizzato le prestazioni lavorative della vittima nelle suddette condizioni e la pericolosità del luogo di lavoro (i lavori venivano eseguiti a circa 15 metri di altezza dal suolo, senza alcuna precauzione o dispositivo per evitare cadute dall'alto), avrebbe imposto al committente una verifica delle condizioni di sicurezza ai sensi della normativa antinfortunistica.
La Suprema Corte ha, dunque, annullato la sentenza impugnata con rinvio a giudizio in cui si chiarisca se il proprietario rimaneva in ogni caso garante della salvaguardia dell'incolumità di chi, come l'operaio in questione, prestava nel suo interesse attività lavorativa e, quindi, trattandosi di opere pericolose, poteva o meno disinteressarsi di come queste venivano eseguite.
In definitiva, dalla sentenza emerge un concetto molto chiaro, ovvero che affidare un lavoro ad un'impresa specializzata solleva il proprietario da qualsiasi responsabilità penale, di contro affidare il lavoro ad un'impresa improvvisata rende solidale il proprietario in caso di danni o peggio di morte di un operaio.
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Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 36581 del 21 settembre scorso, è nuovamente intervenuta su un tema caldo e di forte attualità: la tutela e la salute della sicurezza dei lavoratori. In particolare, la sentenza ha accolto con rinvio a giudizio il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari contro la sentenza che assolveva completamente il proprietario di un immobile che aveva commissionato ad un operaio, dipendente in mobilità di un'impresa, senza né mezzi né attrezzature, il rifacimento del tetto dello stabile, a causa del quale l'operaio ha perso la vita.
In prima battuta, il Tribunale Amministrativo Regionale aveva condannato il proprietario dell'immobile alla pena di 6 mesi reclusione per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e il risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede. Successivamente, la Corte d'Appello, ribaltando completamente la sentenza di primo grado, ha assolto l'imputato ritenendo l'insussistenza del fatto. La Corte d'Appello ha, infatti, ritenuto che non vi fosse rapporto di subordinazione che legava il proprietario dell'immobile con l'operaio, né che il proprietario stesso avesse il ruolo di direttore lavori nell'esecuzione degli stessi.
Contro questa sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari ha fatto, quindi, ricorso in Cassazione deducendo "inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 4 d.P.R. 547/1955 nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata". Ma non solo, la Procura di Bari ha evidenziato come "La Corte territoriale aveva del tutto ignorato che, nell'ambito degli obblighi di attuazione e rispetto delle prescrizioni di prevenzione degli infortuni, il committente dei lavori è responsabile, qualora manchi in concreto un appaltatore fornito della capacità tecnica e professionale per assumersi la responsabilità dell'attuazione generale delle norme antinfortunistiche"
I giudici della Suprema Corte, condividendo la tesi della Procura di Bari, hanno evidenziato come i giudici della Corte d'appello non abbiano preso in considerazione il fatto che il proprietario dell'immobile aveva commissionato i lavori di parziale ristrutturazione dello stabile, con particolare riferimento al rifacimento del tetto, ad un operaio, non titolare di impresa edile ma dipendente in mobilità di altra impresa, che non disponendo né di mezzi né di strumenti propri per eseguire le opere, aveva utilizzato le attrezzature del nipote. Come prescritto dalla Suprema Corte, l'avere utilizzato le prestazioni lavorative della vittima nelle suddette condizioni e la pericolosità del luogo di lavoro (i lavori venivano eseguiti a circa 15 metri di altezza dal suolo, senza alcuna precauzione o dispositivo per evitare cadute dall'alto), avrebbe imposto al committente una verifica delle condizioni di sicurezza ai sensi della normativa antinfortunistica.
La Suprema Corte ha, dunque, annullato la sentenza impugnata con rinvio a giudizio in cui si chiarisca se il proprietario rimaneva in ogni caso garante della salvaguardia dell'incolumità di chi, come l'operaio in questione, prestava nel suo interesse attività lavorativa e, quindi, trattandosi di opere pericolose, poteva o meno disinteressarsi di come queste venivano eseguite.
In definitiva, dalla sentenza emerge un concetto molto chiaro, ovvero che affidare un lavoro ad un'impresa specializzata solleva il proprietario da qualsiasi responsabilità penale, di contro affidare il lavoro ad un'impresa improvvisata rende solidale il proprietario in caso di danni o peggio di morte di un operaio.
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A cura di Ilenia
Cicirello
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