Vano accessorio o no? La Cassazione sulla zona wellness
Importante pronuncia della Corte di Cassazione: chiarita la definizione di vano accessorio e le conseguenze penali dell’errata qualificazione edilizia
Quando si può davvero parlare di vano accessorio? Quali sono i limiti operativi per un intervento edilizio in zona vincolata? E, soprattutto, quanto può incidere un errore di qualificazione edilizia (confermato dal Comune) ai fini della configurazione di un reato urbanistico?
Vano e superficie accessoria: la sentenza della Cassazione
Sono questi gli interrogativi che emergono con forza dalla sentenza n. 10441/2025 della Corte di Cassazione (Sez. III Penale), che ha accolto il ricorso del Procuratore della Repubblica contro l’ordinanza del Tribunale del riesame, relativa al rigetto del sequestro preventivo di una porzione di un lussuoso complesso alberghiero.
L’intervento contestato riguardava la realizzazione, nel piano terra-seminterrato dell’albergo, di una “zona wellness” composta da palestra, sale massaggi, area relax e buffet. Quest’area, estesa per oltre 3000 mc, era stata indicata nel progetto come vano accessorio e pertanto esclusa dal computo della superficie utile lorda, sulla base dell’art. 61 NTO.
Il GIP e poi il Tribunale del riesame avevano escluso il periculum in mora e il fumus del reato edilizio, ritenendo l’intervento coerente con il progetto approvato e autorizzato dal Comune, e ritenendo plausibile la buona fede degli indagati sulla qualificazione edilizia dell’opera.
In particolare, secondo il tribunale, la zona wellness era stata indicata nel progetto come vano accessorio non computabile nella superficie utile lorda e regolarmente autorizzata dal Comune, che nei sopralluoghi non aveva riscontrato difformità. Anche ipotizzando che l’area dovesse essere conteggiata nella SUL (Superficie Utile Lorda) e il titolo risultasse illegittimo, il tribunale riteneva comunque configurabile la buona fede degli indagati, convinti che si trattasse di vani accessori della struttura alberghiera.
I giudici del riesame hanno ritenuto che l’interpretazione del concetto di vano accessorio, soprattutto in ambito alberghiero, fosse sufficientemente incerta da rendere non evidente l’illegittimità del permesso di costruire. Il rilascio del titolo edilizio e paesaggistico avrebbe inoltre rafforzato l’affidamento incolpevole degli indagati sulla correttezza della classificazione della zona wellness come vano accessorio.
La posizione della Cassazione
Con motivazione articolata, la Cassazione ha accolto le doglianze del PM, sostenendo che il concetto di vano accessorio non è opinabile, né può essere manipolato per escludere consistenti superfici da obblighi autorizzativi più stringenti.
Secondo la Cassazione, il pubblico ministero ha correttamente richiamato il Regolamento Edilizio Tipo (RET) del d.P.C.M. 20 ottobre 2016, che al punto 15 dell’allegato A definisce la “superficie accessoria” come spazio di servizio rispetto alla destinazione d’uso dell’edificio, elencando esempi come portici, balconi, cantine, sottotetti non abitabili, vani scala e locali condominiali. Secondo il PM, da questa definizione emerge chiaramente che nessuna delle tipologie elencate può essere assimilata all’articolata e autonoma zona wellness realizzata, composta da ambienti indipendenti e non riconducibili a mere superfici di servizio.
Determinante per escludere la natura "accessoria" degli interventi realizzati è l’interpretazione giurisprudenziale consolidata, secondo cui i vani accessori, per non essere computati nella superficie utile lorda, devono avere specifiche caratteristiche funzionali e dimensionali. In ambito alberghiero, come in quello residenziale, si distinguono chiaramente i locali abitabili dagli spazi accessori (es. cantine, soffitte, magazzini). Quando tali spazi vengono trasformati in ambienti idonei a fini abitativi, si produce un incremento della superficie residenziale e della volumetria, con effetti rilevanti sul carico urbanistico. Tale mutamento configura una modificazione edilizia soggetta a permesso di costruire, anche in assenza di opere materiali, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a) del TUE.
Conclusioni
In definitiva, secondo gli ermellini:
- i vani accessori sono per definizione locali di servizio, non autonomamente fruibili, non abitabili, e strettamente funzionali all’uso dell’unità principale;
- l’estesa area wellness, articolata in ambienti serventi attività autonome e dotata di piena abitabilità, non rientra in tale definizione;
- la giurisprudenza consolidata considera il passaggio da vano accessorio ad ambiente abitabile come cambio urbanisticamente rilevante, con effetti sul carico urbanistico;
- il solo fatto che l’intervento sia incluso in una struttura ricettiva non legittima una deroga alle regole generali sui titoli abilitativi.
Il giudice penale, dunque, ha riaffermato un principio fondamentale: l’abuso edilizio può consistere anche in una “difformità giuridica”, ossia nella errata qualificazione dell’intervento nel progetto approvato, specie se finalizzata ad aggirare obblighi normativi (es. computo nella SUL, obbligo di PdC).
Il rilascio del titolo edilizio e l’assenza di contestazioni nei sopralluoghi comunali non escludono automaticamente l’abuso, specie se basato su una rappresentazione tautologica e non coerente con le definizioni tecniche nazionali e regionali.
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 17 marzo 2025, n. 10441IL NOTIZIOMETRO