Vendita immobili e prezzi anomali: la parola alla Cassazione
È possibile escludere l'antieconomicità di una operazione immobiliare sulla base che gli altri immobili realizzati erano stati ceduti a prezzi superiori?
Prezzi anomali, vendita immobili, verifiche dell'Agenzia delle Entrate e il ricalcolo delle imposte Ires, Irap ed Iva. Argomenti delicatissimi che vengono affrontati dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 26773 del 25 novembre 2020.
I fatti
L'origine della disputa giudiziaria è legata all'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate che aveva ritenuto inattendibili, dal punto di vista fiscale, le vendite immobiliari fatte da una società: la sua condotta era stata giudicata "antieconomica", visto che i ricavi della vendita erano stati inferiori ai costi di realizzazione. E per questo l'Agenzia aveva inviato il ricalcolo delle imposte Ires, Irap ed Iva. L'accertamento era stato impugnato dal titolare della società che aveva vinto il ricorso sia presso la commissione provinciale che in quella regionale. L'Agenzia dunque, sceglieva di consultare la Corte di Cassazione.
Il nodo del prezzo di vendita
Per l'Agenzia delle Entrate il nodo principale della questione riguarda il prezzo di vendita degli immobili, più basso del prezzo di realizzazione degli stessi. In particolare, è possibile escludere l'antieconomicità di una operazione immobiliare sulla base dell'unico rilievo che negli anni successivi gli altri immobili realizzati erano stati ceduti a prezzi superiori al costo di realizzazione?
Per la Corte di Cassazione la risposta è negativa. In particolare, per gli ermellini la valutazione di antieconomicità, ossia una incongruenza sui prezzi di compravendita, permette all'Agenzia di effettuare un accertamento, visto che, chi svolge un'attività finanziaria a scopo di lucro ha, come scopo, una riduzione dei costi e una massimizzazione dei profitti. Pertanto, il fatto che la vendita avesse generato un saldo negativo alla società, tra realizzazione degli appartamenti e la sua vendita, consentiva all'Agenzia di presumere un "occultamento di capacità contributiva". L'Agenzia, dunque, aveva tutto il diritto, secondo i giudici, di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate.
L'errore della commissione
Secondo i giudici, le due commissioni si erano erroneamente basati sul fatto che gli altri appartamenti fossero stati venduti ad un prezzo superiore a quello di realizzazione. E non si capisce, dicono i giudici, "perché la vendita a prezzi di mercato avvenuta negli anni successivi implicasse anche la regolarità della operazioni sottocosto per l'anno 2004. Anzi proprio la vendita negli anni successivi al prezzo di mercato avvalora la presunzione utilizzata dalla Amministrazione Finanziaria".
Il "reddito zero"
I sospetti continuano. E per i giudici della Corte di Cassazione, nei primi ricorsi non era stato tenuto a debita considerazione, il fatto che la società, avesse accumulato una "perdita", recuperata poi negli anni successivi, ma che gli aveva consentito di dichiarare, l'anno successivo alla vendita sotto-costo, reddito pari a zero, oltre a reddito ulteriormente negativo due anni dopo. Per questo, secondo i giudici della Corte di Cassazione, la sentenza va "cassata" ed inviata nuovamente alla commissione tributaria che dovrà decidere per le spese di giudizio di legittimità.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
Documenti Allegati
Ordinanza Corte di Cassazione 25 novembre 2020, n. 26773IL NOTIZIOMETRO