Abolizione minimi tariffari: l'ha voluta l'Europa?
Il grande bluff dell'abolizione dei minimi tariffari è stato voluto nel 2006 utilizzando il mantra "lo vuole l'Europa". Quanto c'è di vero in questa affermazione?
L'abolizione dei minimi tariffari per architetti e ingegneri "l'ha voluta l'Europa". Chi come me si è laureato in ingegneria nei primi anni del 2000, si è affacciato nel mondo del lavoro sentendoselo ripetere tante volte. Un mantra ripetuto allo sfinimento, almeno fino a quando tutti abbiamo cominciato a crederci.
Indice degli argomenti
- L'abolizione
dei minimi tariffari: il Decreto Bersani
- L'abolizione
dei minimi tariffari: la Direttiva UE
- L'abolizione
dei minimi tariffari: la sentenza della Corte UE
-
L'abolizione dei minimi tariffari: le conclusioni della Corte
UE
-
L'abolizione dei minimi tariffari: la funzione degli ordini
professionali
- Conclusioni
L'abolizione dei minimi tariffari: il Decreto Bersani
Era l'11 agosto 2006 quando sul Supplemento Ordinario n. 183 alla Gazzetta Ufficiale n. 186 veniva completato il percorso di conversione il legge del Decreto-Legge 4 luglio 2006, n. 223, noto a tutti come Decreto o Legge Bersani.
Un provvedimento straordinario che, tra le altre cose, prevedeva (art. 2, comma 1, lettera a)):
"In conformità al principio comunitario di libera
concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e
dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un'effettiva
facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di
comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di
entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le
disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con
riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di
pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi
perseguiti;".
L'abolizione dei minimi tariffari: la Direttiva UE
Una disposizione che ha sacrificato le tariffe professionali sull'altare del Direttiva 2006/123/CE. Ma cosa diceva realmente questa direttiva? Analizziamola insieme.
All'articolo 15 (Requisiti da valutare), comma 2, viene
richiesto agli Stati membri dell'Unione Europea di
verificare se "il loro ordinamento giuridico
subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al
rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti:
....
g) tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve
rispettare;
....
Il successivo comma 3 prevede:
Gli Stati membri verificano che i requisiti di cui al
paragrafo 2 soddisfino le condizioni seguenti:
a) non discriminazione: i requisiti non devono
essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione
della cittadinanza o, per quanto riguarda le società,
dell’ubicazione della sede legale;
b) necessità: i requisiti sono
giustificati da un motivo imperativo di interesse
generale;
c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali
da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito; essi non
devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale
obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi
requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di
conseguire lo stesso risultato.
Il considerando n. 94 della Direttiva recita:
Conformemente alle disposizioni del trattato in materia di libera circolazione dei servizi, le discriminazioni fondate sulla cittadinanza o sulla residenza, a livello nazionale o locale, del destinatario sono vietate. Tali discriminazioni potrebbero assumere la forma di un obbligo, imposto soltanto ai cittadini di un altro Stato membro, di fornire documenti originali, copie autenticate, un certificato di cittadinanza o traduzioni ufficiali di documenti per poter fruire di un servizio o di condizioni o tariffe più vantaggiose. Tuttavia, il divieto di applicare requisiti discriminatori non dovrebbe ostare a che possano essere riservati a taluni destinatari determinati vantaggi, soprattutto tariffari, se ciò avviene in base a criteri oggettivi e legittimi.
L'abolizione dei minimi tariffari: la sentenza della Corte UE
Sull'argomento è intervenuta anche la Corte di Giustizia UE con la sentenza 4 luglio 2019, C-377/17 in cui viene condannata la Germania per aver mantenuto in vita i tariffari per architetti e ingegneri (a proposito, non sono stati ancora aboliti!).
Questa sentenza va, però, letta bene e ci sono alcune parti che vanno prese e riviste alla luce di quanto prevede la Direttiva 2006/123/CE che, se non lo avete ancora capito, non ha mai previsto per gli Stati membri l'obbligo di eliminare le tariffe ma solo di farlo solo dopo aver valutato che queste fossero state incompatibili con le condizioni di:
- non discriminazione;
- necessità;
- proporzionalità.
La Commissione UE afferma che la Germania "avrebbe dovuto dimostrare che l’abbandono delle tariffe minime portava a stabilire un livello di prezzo per dette prestazioni che poteva generare incertezze circa la loro qualità".
Il giudizio della Corte UE è ancora più puntuale sulle 3 condizioni. Anche qui andiamo con ordine citando esattamente quanto scritto nella sentenza.
"Per quanto riguarda la prima condizione prevista all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, si deve constatare che i requisiti di cui al punto 66 della presente sentenza non sono né direttamente né indirettamente discriminatori in funzione della nazionalità o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della loro sede legale, ai sensi della lettera a) di tale disposizione, di modo che tale condizione è soddisfatta".
"Per quanto riguarda la seconda condizione, la Repubblica
federale di Germania indica che le tariffe minime mirano a
raggiungere un obiettivo di qualità delle prestazioni di
progettazione, di tutela dei consumatori, di sicurezza delle
costruzioni, di salvaguardia della cultura architettonica e di
costruzione ecologica. Quanto alle tariffe massime, queste ultime
sarebbero dirette a garantire la tutela dei consumatori assicurando
una trasparenza degli onorari in relazione alle prestazioni
corrispondenti e impedendo tariffe eccessive.
A tal riguardo, si deve constatare che gli obiettivi relativi alla
qualità dei lavori e alla tutela dei consumatori sono stati
riconosciuti dalla Corte come motivi imperativi di interesse
generale".
"Per quanto riguarda gli obiettivi di salvaguardia della cultura architettonica e di costruzione ecologica, essi possono essere ricollegati agli obiettivi più generali di conservazione del patrimonio culturale e storico, nonché di protezione dell’ambiente, i quali costituiscono parimenti motivi imperativi di interesse generale".
"Occorre peraltro sottolineare che il considerando 40 della direttiva 2006/123 conferma che la tutela dei destinatari di servizi, la protezione dell’ambiente e gli obiettivi di politica culturale costituiscono motivi imperativi di interesse generale".
"Per quanto riguarda la terza condizione di cui all’articolo
15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, essa presuppone il
ricorrere di tre elementi, cioè che il requisito sia idoneo a
garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda
quanto è necessario per raggiungerlo e che detto obiettivo non
possa essere raggiunto da una misura meno restrittiva.
A tal riguardo, uno Stato membro che, come la Repubblica federale
di Germania nel caso di specie, deduce un motivo imperativo di
interesse generale al fine di giustificare una misura che ha
adottato, deve presentare precisi elementi che consentono di
avvalorare il suo ragionamento.
In tale contesto, occorre sottolineare, in via preliminare, che,
nei limiti in cui il rispetto degli obiettivi di sicurezza delle
costruzioni, della salvaguardia della cultura architettonica e di
costruzione ecologica sia direttamente connesso alla qualità dei
lavori di progettazione, tanto l’idoneità della HOAI a conseguire
questi primi tre obiettivi quanto la sua necessità a tale effetto
dovranno essere riconosciute se è dimostrato che essa è idonea e
necessaria per garantire tale qualità".
La Corte ha dichiarato che non si può escludere a priori che la fissazione di una tariffa minima consenta di evitare che i prestatori non siano indotti, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti.
Ne consegue che la Repubblica federale di Germania ha sufficientemente dimostrato che, alla luce delle peculiarità del mercato e dei servizi di cui trattasi, può esistere un rischio che i prestatori di progettazione nel settore della costruzione che operano in tale Stato membro svolgano una concorrenza che può tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, e, attraverso una selezione avversa, persino nell’eliminazione degli operatori che offrono prestazioni di qualità.
In un siffatto contesto, l’imposizione di tariffe minime può essere idonea a contribuire a limitare tale rischio, impedendo che le prestazioni siano offerte a prezzi insufficienti per garantire, a lungo termine, la qualità delle stesse.
Dalle constatazioni effettuate ai punti da 75 a 87 della presente sentenza discende che l’esistenza di tariffe minime per le prestazioni di progettazione è atta, in linea di principio, in considerazione delle caratteristiche del mercato tedesco, a contribuire a garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione e, di conseguenza, a realizzare gli obiettivi perseguiti dalla Repubblica federale di Germania.
L'abolizione dei minimi tariffari: le conclusioni della Corte UE
Dalla lettura delle suddette parti (che sono fatti e non interpretazioni del sottoscritto) vi chiederete "allora dove sta il problema?". Per rispondere è sufficiente citare le ultime parti della sentenza.
"Si deve rammentare che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito solo se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico".
"Nel caso di specie, la Commissione sostiene, in sostanza, che la normativa tedesca non persegue l’obiettivo consistente nell’assicurare un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione in modo coerente e sistematico, dato che l’esercizio stesso delle attività di progettazione non è riservato, in Germania, a persone che svolgono un’attività regolamentata, cosicché non esisterebbe, in ogni caso, nessuna garanzia che le prestazioni di progettazione siano effettuate da prestatori che hanno dimostrato la loro idoneità professionale a farlo".
"A tale riguardo, la Repubblica federale di Germania ha infatti indicato nelle sue memorie che le prestazioni di progettazione non sono riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali e che anche altri prestatori di servizi che non siano architetti e ingegneri, non soggetti a regolamentazioni professionali, possono fornire tali prestazioni".
"Orbene, la circostanza che le prestazioni di progettazione possano essere fornite in Germania da prestatori che non hanno dimostrato la loro idoneità professionale a tale scopo comporta un’incoerenza nella normativa tedesca rispetto all’obiettivo di preservare un livello di qualità elevato delle prestazioni di progettazione perseguito dalle tariffe minime. Infatti, nonostante la constatazione effettuata al punto 88 della presente sentenza, occorre constatare che siffatte tariffe minime non possono essere idonee a raggiungere tale obiettivo se, come emerge dagli elementi sottoposti alla Corte, l’esercizio delle prestazioni che vi sono assoggettate non è esso stesso accompagnato da garanzie minime che consentano di garantire la qualità delle suddette prestazioni".
"Pertanto, occorre constatare che la Repubblica federale di Germania non è riuscita a dimostrare che le tariffe minime previste dalla HOAI sono idonee a garantire il conseguimento dell’obiettivo consistente nel garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione e ad assicurare la tutela dei consumatori".
L'abolizione dei minimi tariffari: la funzione degli ordini professionali
In buona sostanza la Corte UE afferma che il sistema delle tariffe tedesche sarebbe stato compatibile se la Germania avesse avuto un sistema ordinistico ad iscrizione obbligatoria. Un sistema che in Italia esiste e che viene contestato da un ventennio.
Ad oggi l'Italia possiede tutte le caratteristiche per rimettere in piedi un sistema di minimi tariffari ma non lo fa. Parliamo di equo compenso e applichiamo le tariffe professionali previste per i lavori pubblici anche per i contenziosi in ambito privato. Riconosciamo il valore delle prestazioni e leghiamo la qualità al costo, ma non abbiamo alcuna tariffa di riferimento. Con la conclusione che in un mercato senza regole e in cui da più parti viene svilito il ruolo del progettista a mero prestatore di firma, il committente stesso comincia a mercanteggiare sul prezzo come fosse a Ballarò (mercato storico di Palermo dove si vende frutta, verdura, pesce, carne, salumi,...). Perché tanto non esistendo più delle tariffe cui aggrapparsi ci sarà sempre qualche professionista che riuscirà ad erogare la stessa identica prestazione ad un prezzo più basso.
Conclusioni
Forse è arrivato il momento che la coscienza collettiva di tutti noi professionisti si risvegli facendo pressione sul sistema ordinistico affinché venga quanto meno riconosciuto uno sbaglio. Il fatto che i minimi tariffari siano stati scorrettamente aboliti non vuol dire che non possono essere ripristinati. E con questo non voglio mettermi a sindacare sull'utilità delle tariffe, voglio solo riferirmi ad un evento (l'abolizione) che ha preso tutti in contropiede e che si poggia su riferimenti completamente errati.
IL NOTIZIOMETRO