Abusi edilizi ante ’67 fuori dal centro abitato e abitabilità: interviene il Consiglio di Stato
Consiglio di Stato: “…l’obbligo di munirsi di licenza edilizia, imposto dal regolamento edilizio adottato anteriormente alla legge urbanistica del 1967 è da considerare legittimo, valido e cogente”
Quando si parla di edilizia esistono due date fondamentali che spesso vengono erroneamente utilizzate per giustificare la realizzazione di un intervento senza il necessario titolo abilitativo.
1942 e 1967: facciamo chiarezza
Stiamo parlando:
- del 1942, anno della Legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) che, tra le altre cose, ha previsto l'obbligo di dotarsi di licenza edilizia nelle aree già urbanizzate;
- del 1967, anno della Legge 6 agosto 1967, n. 765 (Legge Ponte) che, tra le altre cose, ha esteso a tutto il territorio nazionale l'obbligo di dotarsi dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull'attività costruttiva edilizia (regolamento edilizio) e previsto la sospensione o la demolizione delle opere eseguite senza la licenza di costruzione o in contrasto con questa, non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore, del programma di fabbricazione od alle norme del regolamento edilizio.
Tra i miti sulle regole edilizie (più volte sfatati su queste pagine), ne esiste uno per il quale fuori dai centri abitati una costruzione realizzata prima del 1967 è certamente da considerare legittima. Un mito che non si confronta con la presenza di regolamenti edilizi già prima del 1967 stesso.
Abusi edilizi ante ’67: nuova sentenza del Consiglio di Stato
L’argomento è stato nuovamente trattato dal Consiglio di Stato con la sentenza 8 febbraio 2024, n. 1297 resa in riferimento al ricorso presentato contro una decisione di primo grado che aveva confermato un’ordinanza di rimessione in pristino emessa su alcune difformità che riguardano alcune modifiche alle aperture e la realizzazione della soletta di copertura a quote sensibilmente superiori rispetto alla licenza edilizia (gronda autorizzata a 1,05 mt, ma realizzata 1,75 mt; gronda autorizzata a 0,45 mt, ma realizzata 1,24 mt; colmo autorizzato a 2,40 mt, ma realizzato a 3,27 mt).
- non era necessario alcun titolo per la realizzazione dell’immobile, in quanto edificato in epoca antecedente all’entrata in vigore della Legge n. 765/67, e che quindi non erano rilevanti le difformità rispetto alla licenza edilizia;
- la sanzione demolitiva irrogata era incongrua in relazione al lasso di tempo decorso;
- l’avvenuto rilascio del certificato di abitabilità configurava un implicito atto di sanatoria.
Legge urbanistica, Legge Ponte e regolamenti edilizi
Preliminarmente, il Consiglio di Stato ha ricordato che:
- l'art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha introdotto l'obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi eseguiti sul territorio comunale;
- per il periodo antecedente al 1967, l'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 prevedeva un siffatto obbligo limitatamente ai centri abitati;
- nel caso di specie, all’epoca in cui erano stati realizzati gli abusi, il Comune era dotato di un Regolamento Edilizio e di Programma di Fabbricazione, il quale inseriva l'area di specie in zona semintensiva e all’art. 3 prevedeva espressamente il rilascio di apposita licenza edilizia per la costruzione di immobili nel territorio comunale;
- l’edificio di specie è stato realizzato in forza della licenza edilizia rilasciata in data 18 febbraio 1965 e, una volta ultimati i relativi lavori, ha ottenuto, previo sopralluogo, in data 1 settembre 1965, il permesso di abitabilità.
L’obbligo di licenza edilizia
Ciò premesso, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’obbligo di munirsi di licenza edilizia, imposto dal regolamento edilizio adottato anteriormente alla legge urbanistica del 1967 (come è nella specie) è da considerare legittimo, valido e cogente, atteso che la previsione di una pianificazione e di un controllo obbligatori limitata ai centri abitati, come prevista dall'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, non impediva ai Comuni di estendere all'intero territorio comunale il potere di pianificazione e controllo dell'attività edilizia, trattandosi di una tipica prerogativa degli enti locali, che come tale non poteva e non può integrare alcuna violazione del principio di eguaglianza sostanziale tra cittadini o di ingiustificata disparità di trattamento dei medesimi, come prospettato dagli appellanti.
Per questo motivo, il Consiglio di Stato ha rigettato la tesi del ricorrente secondo cui ci sarebbe stata una violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale, che si manifesterebbe nella diversità di trattamento a cui sarebbero stati sottoposti in relazione all’esercizio del jus aedificandi i cittadini del Comune, obbligati a chiedere la licenza edilizia anche per attività edificatoria da realizzarsi fuori del centro abitato, rispetto ai quelli residenti in altri Comuni che non avevano adottato un regolamento edilizio recante un simile obbligo, giacché intuitivamente diverse essendo le singole realtà locali, neppure è immediatamente apprezzabile la violazione del principio di uguaglianza e la connessa ingiustificata diversità di trattamento.
In definitiva, non può ragionevolmente dubitarsi del fatto che, in presenza di opere realizzate in difformità dalla licenza edilizia del 18 febbraio 1965, le stesse debbono qualificarsi come abusive.
Ordinanza di demolizione: è un atto vincolato
Altro aspetto riguarda la natura dell’ordine di demolizione che, come affermato più volte dalla giurisprudenza amministrativa, è un atto del tutto vincolato, rispetto al quale l’ente locale non è titolare di alcun margine di discrezionalità neppure quanto al suo contenuto.
L’ordine di demolizione:
- non richiede alcuna autonoma comparazione dell’interesse pubblico con quello privato, dal momento che la repressione degli abusi edilizi costituisce attività doverosa e vincolata per l'amministrazione appellata;
- è motivato dalla descrizione delle opere abusive e della loro contrarietà al titolo;
- non ha “scadenza” e può essere emesso anche a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso edilizio.
Il certificato di abitabilità/agibilità
Ultimo aspetto riguarda il certificato di abitabilità che, come confermato più volte, non ha alcuna efficacia sanante rispetto alle opere abusive. La illiceità dell'immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento del certificato di agibilità che riguarda profili diversi.
Il certificato di agibilità serve ad accertare che l’immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità igiene e risparmio energetico degli edifici e degli impianti. Mentre, il titolo edilizio attesta la conformità dell’intervento alle norme edilizie ed urbanistiche che disciplinano l’area da esso interessata. Tutto ciò esclude che fra i due atti possa sussistere un’interferenza reciproca.
Pur essendo vero che il conseguimento dell’agibilità di un immobile presuppone la conformità con la disciplina urbanistica, è altrettanto vero che l’eventuale illegittimità di detto certificato, non impedisce l'attivazione dei doverosi poteri di intervento e sanzionatori che il Comune esercita in quanto autorità competente per la vigilanza sul territorio.
In definitiva l’appello è stato rigettato e la demolizione confermata.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 8 febbraio 2024, n. 1297IL NOTIZIOMETRO