Abusi edilizi in area vincolata: condono solo per opere minori

L'elenco delle tipologie di opere insuscettibili di sanatoria è tassativo, determinando i limiti entro cui può esercitarsi la discrezionalità del legislatore regionale

di Redazione tecnica - 08/12/2024

La mancata approvazione di un piano particolareggiato non può costituire deroga a eventuali vincoli di inedificabilità presenti sull’area, rendendo quindi legittima un’istanza di condono per abusi c.d. “maggiori”, ai sensi della legge n. 326/2003.

La normativa sul condono, come ribadito da pronunce della Corte Costituzionale, è di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale sui limiti della sanatoria, con «l’individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale”.

Proprio per questo l’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003 (c.d. "Terzo Condono Edilizio"), contenente la previsione tassativa delle tipologie di opere insuscettibili di sanatoria, determina, in pratica, i limiti del condono, entro il cui invalicabile perimetro può esercitarsi la discrezionalità del legislatore regionale.

Terzo condono edilizio in area vincolata: valido solo per opere minori 

Sulla base di questi presupposti, con la sentenza del 4 dicembre 2024, n. 9733, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello contro il provvedimento di rigetto di istanza di condono ai sensi della legge n. 326/2003 e della legge n. 308/2004, relativa alla realizzazione di un manufatto di 36 mq in sopraelevazione su un immobile.

Secondo il ricorrente, la preesistenza di un vincolo paesaggistico rispetto all’abuso non era rilevante, stante la conformità dell’intervento allo strumento urbanistico, senza che fosse stato approvato il piano particolareggiato dell’area da parte del Comune.

Il TAR aveva già rigettato il ricorso specificando che non sarebbero stati rinvenibili i presupposti ex art. 32, comma 27, lettera d), d.l. n. 269/2003 per il condono di opere in area già soggetta a vincolo paesaggistico, non trattandosi, peraltro, di un’opera minore, in quanto connotata dalla realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria.

Senza presupposti per il condono, inutile coinvolgere la Soprintendenza

Preliminarmente, Palazzo Spada ha evidenziato come il provvedimento impugnato avesse carattere vincolato e fosse accompagnato da una motivazione del tutto congrua, sia rispetto alla carenza di presupposti per l’accoglimento dell’istanza di condono, sia rispetto all’obbligo di ripristino in presenza di un’area soggetta a vincolo paesaggistico.

In particolare non si può dare credito alla tesi per cui il Comune avrebbe errato nel non inviare la documentazione alla Soprintendenza dei beni culturali.

Ricorda il Consiglio che, ai fini della sanabilità prevista dalla disciplina del c.d. terzo condono in ambiente paesaggisticamente vincolato, l’art. 32, comma 27, lettera d), d.l. n. 269 del 2003 attribuisce «carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta».

Fra questi, ma non solo, come prescrive la citata lettera d), vi sono «i vincoli imposti a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di tali opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».

Nel caso di specie va escluso che si fosse in presenza di opere c.d. ‘minori’, per cui era del tutto evidente la carenza dei presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo ai sensi della legge condonistica, motivo per cui correttamente, il Comune ha deciso di non trasmettere gli atti alla Soprintendenza.

D’altronde, l’art. 6 della legge n. 241/1990 assegna al responsabile del procedimento il compito di valutare anche la necessità di adempimenti di carattere istruttorio, qui del tutto superflui stante la manifesta impossibilità di ottenere il condono. La valutazione espressa dal Comune è in linea con la esigenza di economicità dell'azione amministrativa, essendo superflua nella vicenda esaminata, in acclarata mancanza dei presupposti di legge per la condonabilità delle opere, la effettuazione di un inutile vaglio di compatibilità paesaggistica.

Condono edilizio: legge sulla sanatoria è di stretta interpretazione

Né si può ritenere sussistente la presunta edificabilità dell’area nei termini voluti dall’art. 9 d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) in combinato disposto con la legislazione regionale in materia.

La Corte Costituzionale ha infatti confermato che:

  • «la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili»;
  • è di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale sui limiti della sanatoria, «l’individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale. Per questo motivo risulta pienamente conforme al dettato costituzionale l’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, contenente la previsione tassativa delle tipologie di opere insuscettibili di sanatoria, la quale determina, in pratica, i limiti del condono, entro il cui invalicabile perimetro può esercitarsi la discrezionalità del legislatore regionale».

Quindi la mancata approvazione di piani particolareggiati non ha nessun effetto ampliativo nei confronti di eventuali richieste di condono.

Per altro, la presunta conformità dell’edificazione abusiva allo strumento urbanistico non poteva dequotare o elidere il regime vincolistico dettato dalla l. n. 326 del 2003, in mancanza, nel caso di specie, della connotazione di opere minori, rientrando invece tra quelle di tipologia sub n.1 dell’allegato 1 al d.l. n. 269 del 2003. Il ricorso è stato respinto.

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