Abusi edilizi: come si calcola la sanzione alternativa alla demolizione?
Secondo il Consiglio di Stato è controverso il calcolo della sanzione alternativa alla demolizione in caso di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità
Benché, come direbbe un caro amico che stimo, il lavoro dei professionisti è per un buon 80% rappresentato dalla (corretta) lettura della normativa, c'è quel 20% che, purtroppo, porta a diverse interpretazioni che spesso sfociano in contenziosi, ricorsi e sentenze. Quando si parla di edilizia, poi, questa forbice (80/20) si riduce considerevolmente.
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La fiscalizzazione dell'abuso edilizio
Dopo oltre un ventennio di applicazione del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e alcuni anni in cui si è tornati a parlare di una sua riforma che possa "attualizzare" le regole edilizie allo stato di fatto del costruito italiano oltre che sistemare alcune incongruenza legate ad un testo meno unico di quel che si pensi, è ormai difficilmente calcolabile il numero di interventi della giurisprudenza relativi alle diverse sfaccettature della normativa edilizia.
L'ultimo interessante intervento è del Consiglio di Stato che con la sentenza 13 luglio 2023, n. 6865 rimette all'Adunanza Plenaria l'applicazione della sanzione alternativa alla demolizione (c.d. fiscalizzazione dell'abuso) di cui all'art. 33, comma 2 del T.U. dell'edilizia.
Prima di addentrarci nel caso di specie, occorre ricordare che la fiscalizzazione dell'abuso è contemplata in tre diversi articoli del d.P.R. n. 380 del 2001, con effetti diversi:
- l'art. 33 che al comma 2 consente l'applicazione della sanzione alternativa nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità per i quali il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile;
- l'art. 34 che al comma 2 applica la fiscalizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità;
- l'art. 38 che ai commi 1 e 2 consente la fiscalizzazione nel caso di interventi eseguiti in base a permesso annullato.
La differenza tra i 3 articoli è dirompente. Mentre, infatti, la corresponsione della sanzione pecuniaria prevista all'art. 38 produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'art. 36 (accertamento di conformità), negli altri due casi l'abuso diventa tollerato ma l'immobile perde la sua condizione di legittimità (con tutte le conseguenze del caso).
Sanzione alternativa: gli effetti sullo stato legittimo
Andiamo adesso al nocciolo della questione di cui si parla nella nuova sentenza del Consiglio di Stato: il calcolo della sanzione alternativa.
L'art. 33, comma 2 prevede:
una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio.
Nell'art. 34, comma 2 si parla di:
una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
Infine, l'art. 38, comma 1 parla di:
una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
Il caso oggetto della sentenza
Nel caso oggetto del nuovo intervento del Consiglio di Stato, viene appellata una decisione di primo grado, relativamente proprio al calcolo della sanzione alternativa di alcune opere per le quali era stata rigettata l'istanza di condono edilizio ed emessa ordinanza di demolizione.
A seguito dell'ordinanza di demolizione, l'appellante, a mezzo del proprio tecnico di fiducia, aveva dichiarato che la demolizione delle opere edilizie abusive della sua unità immobiliare avrebbero arrecato pregiudizio alle adiacenti unità immobiliari legittimamente realizzate. Per questo motivi, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001, il Comune aveva disposto la fiscalizzazione dell’illecito, determinando:
- la sanzione di cui all’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001;ù
- la sanzione di cui all’art. 31, comma 4 bis, del D.P.R. n. 380/2001;
- i contributi per oneri di urbanizzazione;
- i costi di costruzione.
L'appello
Il ricorrente, però, non contestando né la determinazione della superficie convenzionale, né quella del costo di produzione al momento dell’abuso, si doleva esclusivamente dell’attualizzazione di quel costo unitario all’anno 2020 (mediante l’applicazione del coefficiente 1,7066), in palese violazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001, il cui tenore letterale (a suo avviso) inequivocabilmente fissava il valore del costo di produzione al momento dell’abuso (nel caso di specie al 1993).
Secondo il ricorrente:
- l’art. 33 del d.P.R. n. 380/2021 era meno chiaro di quanto apparisse, in quanto “se è chiara la scelta del legislatore di rapportare l’entità della sanzione al doppio dell’aumento di valore dell’immobile determinato alla data di ultimazione dei lavori in base ai criteri della legge n. 392/78, meno chiaro è il riferimento sia all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale sia soprattutto alla necessità dell’aggiornamento alla data dell’esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione”;
- la data di esecuzione coinciderebbe puramente e semplicemente con quella di “ultimazione dei lavori”;
- non avrebbe alcun senso il riferimento all’aggiornamento secondo l’indice ISTAT.
Dunque, una volta fissato il valore secondo la legge n. 392/1978 al momento dell’ultimazione dei lavori, non si comprenderebbe la necessità di un aggiornamento secondo gli indici ISTAT, per cui la seconda parte della norma non troverebbe mai attuazione. Al contrario, per evitare di incorrere in una interpretazione sostanzialmente abrogante di parte del comma 2 dell’art. 33, è giocoforza ritenere che la “data di esecuzione dell’abuso”, cui è riferito l’aggiornamento, non è quella della mera ultimazione dei lavori, bensì quella in cui l’abuso viene per così dire fiscalizzato, essendo l’abuso edilizio un illecito permanente, che resta in “esecuzione” finché, come nel caso di specie, non viene determinata la sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria nei confronti del responsabile”.
La tesi del TAR
Secondo il TAR, però, “Una simile interpretazione, oltre a consentire l’applicazione dell’aggiornamento ISTAT preteso dalla norma di legge, appare corretta anche da un punto di vista sistematico, ponendosi in armonia con la complessiva legislazione che consente la c.d. fiscalizzazione dell’abuso, in caso di impossibilità della riduzione in pristino. Infatti, nell’ulteriore ipotesi dell’art. 34 del Testo Unico, relativo agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, l’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione stabilito secondo la legge n. 392/1978 e la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la fiscalizzazione degli abusi edilizi deve tenere conto dei valori vigenti al momento di presentazione della relativa domanda, per evitare che l’autore dell’abuso possa lucrare sul tempo intercorrente fra la conclusione dei lavori – cui fa seguito il godimento dell’immobile abusivo – e la determinazione della sanzione, considerato sempre che l’illecito edilizio ha carattere permanente, per cui continua nel tempo fino al ripristino della situazione originaria oppure sino al verificarsi degli altri casi di cessazione espressamente previsti dall’ordinamento (cfr. sul punto TAR Piemonte, Sezione II, sentenza n. 44/2019 e la sentenza di questa Sezione n. 568/2018). Sempre con riguardo all’art. 34 succitato, lo stesso attiene a condotte (difformità parziale dal titolo edilizio) oggettivamente meno gravi di quelle dell’art. 33 (difformità totale o assenza di titolo) per cui sarebbe paradossale che la sanzione pecuniaria per il caso dell’art. 33 fosse più lieve di quella invece prevista per la fattispecie dell’art. 34. Sempre con riguardo all’art. 33 comma 2, per i casi di abusi su immobili ad uso diverso da quello abitativo (si veda l’ultimo periodo del comma 2) è prevista una sanzione pari al doppio dell’aumento del valore venale, determinato dall’Agenzia del territorio e non si tratta certo del valore venale al momento di completamento dei lavori bensì di quello al momento della domanda di fiscalizzazione, sempre per evitare che il responsabile tragga un vantaggio ingiustificato dal decorso del tempo, durante il quale ha comunque goduto del bene ancorché”.
A sostegno della sua tesi, il TAR cita la giurisprudenza lombarda per la quale, nel caso di terzo condono edilizio (D.L. n. 269/2003) ha previsto che gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione da corrispondersi in caso di accoglimento dell’istanza siano determinati non con riferimento al momento di deposito dell’istanza stessa ma a quello del rilascio del titolo in sanatoria, ancorché ciò avvenga diversi anni dopo e questo per attualizzare gli importi del contributo concessorio all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria.
Inoltre “L’art. 33 comma 2 del vigente Testo Unico ricalca la disposizione dell’abrogato art. 9 della legge n. 47/1985, la quale però non conteneva alcun riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale ed aggiornato sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione. L’inserimento nel testo dell’art. 33 comma 2 di tale novità si spiega con la circostanza che la legge n. 392/1978 è stata in parte abrogata dalla legge n. 431/1998, che ha espunto dall’ordinamento le norme (in particolare gli articoli 12 - 26) sulla fissazione ex lege del canone per le locazioni abitative (c.d. equo canone), fra cui quella dell’art. 22 della legge del 1978, che prevedeva l’adozione annuale di decreti ministeriali recanti il costo base di produzione al metro quadrato. L’emanazione di tali decreti consentiva l’adeguamento periodico del costo di produzione, con conseguenti effetti automatici nella fissazione della sanzione secondo il citato art. 9. Per effetto dell’abrogazione dell’art. 22, però, tale adeguamento automatico è venuto meno, per cui l’aggiornamento del testo dell’art. 33 rispetto a quello dell’art. 9 vale a garantire che la misura della sanzione pecuniaria non sia ancorata al momento di conclusione dei lavori abusivi bensì sia attualizzata mediante l’applicazione dell’indice ISTAT. In caso contrario, giova ancora ricordarlo, il responsabile dell’abuso o il suo avente causa finirebbero per lucrare ingiustificatamente sul decorso del tempo intercorrente dalla realizzazione dell’abuso”.
La decisione del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada, però, non sarebbero tanto certi della lettura offerta dal TAR e hanno definito "controversa" la questione. Dopo aver ripreso i contenuti dell'art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, il Consiglio di Stato ha ammesso che la rimozione o demolizione costituisce la conseguenza tipica e primaria dell’abuso edilizio rispetto alle altre che costituiscono, invece, deroghe alla prescrizioni generali. Concetto che, naturalmente, vale anche per la fiscalizzazione dell’abuso edilizio che rappresenta una sanzione derogatoria rispetto a quella primaria (della rimozione o della demolizione dell’abuso), ammessa eccezionalmente (nella fase esecutiva della sanzione ripristinatoria) quando emergano obiettive difficoltà tecniche di esecuzione.
Con la fiscalizzazione il legislatore ha pertanto inteso salvaguardare lo status esistente al momento dell’esecuzione della rimozione o della demolizione quando il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile (per il pregiudizio che detto ripristino potrebbe comportare a quanto legittimamente edificato), senza che ciò costituisca un’abdicazione del potere sanzionatorio, trasformando piuttosto la misura reale in misura pecuniaria ed assegnando a quest’ultima la stessa identica sanzione risarcitoria della collettività, offesa dall’abuso edilizio.
La determinazione della sanzione pecuniaria
La normativa di riferimento, ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria, pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, fissa due parametri da prendere in considerazione:
- la data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri della legge 27 luglio 1978, n. 392 (riguardante il momento di realizzazione dell’edificio in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da esso);
- l’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso dell’indice ISTAT del costo di costruzione.
Due riferimenti dalla cui combinazione si ricava la giusta quantificazione della sanzione pecuniaria sostitutiva di quella ripristinatoria, idonea a contemperare l’interesse punitivo dell’amministrazione, per il vulnus inferto con l’abuso edilizio, e quello del privato a non vedersi imporre un ripristino dello status quo materialmente impossibile senza compromissione di ulteriori beni, anch’essi ugualmente da tutelare.
L'applicazione in concreto
Emergerebbero dei dubbi:
- sia quanto alle modalità di individuazione “dell’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato dalla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTA del costo di produzione”;
- sia con riferimento al giusto significato da attribuire all’espressione “alla data di esecuzione dell’abuso”.
L’applicazione letterale dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo quanto sostenuto dall’appellante, mancando gli ulteriori decreti ministeriali de qua, fisserebbe nel caso di specie definitivamente alla data dell’ultimazione dell’abuso (1993) il momento cui stabilire il valore dell’immobile o tutt’al più alla data dell’ultimo aggiornamento (D.M. del 18 dicembre 1998).
E’ intuitivo che l’accoglimento di una simile tesi determinerebbe un vulnus significativo alla ratio e alla finalità perseguite dalla disposizione del citato art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001: la sanzione pecuniaria così determinata assicurerebbe un ulteriore evidente vantaggio ingiusto ed intollerabile a chi ha commesso l’abuso edilizio, non garantendo né l’effettività della pretesa punitiva, né il giusto risarcimento alla comunità danneggiata dall’abuso.
D’altra parte la necessità dell’elemento di riferimento, cui ancora la determinazione del valore dell’abuso, ben si apprezza se si tiene conto che l’attuale la disposizione dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 è derivata dall’art. 9, comma 2, L. 47 del 1985, a tenore del quale “Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il sindaco irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392,….. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'ufficio tecnico erariale”, che non prevedeva affatto proprio il secondo riferimento temporale dell’aggiornamento del costo di produzione alla data dell’esecuzione dell’abuso.
Se è chiara la ratio della norma, il significato di “momento dell’esecuzione dell’abuso” sconta almeno due problematiche:
- quella della natura permanente dell’illecito edilizio (cui si collega il potere dell’amministrazione di perseguirlo senza alcun termine di prescrizione);
- quella della individuazione del momento in cui si verifica l’esecuzione dell’abuso, cui è ragionevole rapportare l’aumento di valore dell’immobile, così da rendere effettiva la sanzione pecuniaria sostitutiva della sanzione reale.
La rimessione alla Adunanza Plenaria
Considerati i dubbi, il Consiglio di Stato ha rimesso all'Adunanza Plenaria il compito di stabilire il corretto inquadramento normativo e a tal fine ha osservato che:
- per un verso le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado non risultano prima facie irragionevoli, sono convincentemente improntate ad un significativo intento di giustizia sostanziale per evitare che, attraverso la c.d. fiscalizzazione dell’illecito edilizio, il cittadino, già resosi colpevole dell’illecito non sanabile e per il quale era stata disposta la demolizione, possa ulteriormente avvantaggiarsi per l’impossibilità della demolizione a danno della collettività intera, attraverso l’imposizione di una sanzione pecuniaria, sostitutiva di quella reale, del tutto inadeguata, priva dei requisiti dell’effettività e quantomeno depotenziata sotto il profilo dell’effetto risarcitorio nei confronti della collettività offesa dall’abuso edilizio. A tanto si giunge, anche in mancanza del decreto ministeriale annuale di adeguamento ISTAT, attraverso l’attualizzazione del valore dell’immobile calcolato con riferimento all’anno di costruzione ovvero alla data dell’ultimo decreto ministeriale all’anno di irrogazione della sanzione o quanto meno al momento della scoperta da parte degli uffici pubblici dell’abuso o al momento di cui dell’abuso è stato chiesto dall’interessato il condono;
- per altro verso non può sottacersi che, come sostenuto dall’appellante, il dato testuale della norma (art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001) appare escludere in radice la possibilità dell’attualizzazione dell’aggiornamento ISTAT dei costi di produzione risultante dall’ultimo decreto ministeriale, mancando innanzitutto in tal senso un’apposita previsione. Peraltro non può escludersi che, come nella specifica fattispecie in esame che attiene ad una richiesta di condono edilizio, l’anno di realizzazione delle opere (1993) possa anche coincidere con quello della materiale esecuzione dell’abuso (inteso come perfezionamento dell’abuso) e cioè della presentazione della domanda di condono, ferma tuttavia la necessità di precisare definitivamente il significato dell’espressione “momento di esecuzione dell’abuso). Inoltre neppure può sottacersi che, non potendosi imputare al cittadino l’abrogazione di una norma (art. 22 della l. n. 392 del 1978) che renderebbe iniqua la stessa determinazione della sanzione pecuniaria, vertendosi in tema di irrogazione di una sanzione, sia pur solo pecuniaria (in sostituzione di quella ripristinatoria), potrebbe dubitarsi della legittimità della sua determinazione quanto alla sua attualizzazione in mancanza di una apposita espressa previsione normativa.
In mancanza di specifici precedenti giurisprudenziali al riguardo, sono stati formulati all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:
- se con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, di cui all’art. 33, comma 2, debba intendersi il momento di completamento dell’abuso ovvero in cui l’abuso è stato accertato dai competenti uffici pubblici ovvero sia stato denunciato dall’interessato a mezzo della richiesta di un condono o ancora quello di irrogazione della sanzione pecuniaria o demolitoria, intendendosi cioè l’espressione come momento di cessazione dell’abuso;
- se, in mancanza dei decreti ministeriali di determinazione del costo di produzione per la realizzazione degli immobili ex art. 22 della l. n. 392 del 1078), ai fini della determinazione della giusta sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 possa procedersi all’attualizzazione, secondo gli indici ISTAT, al momento di irrogazione della sanzione pecuniaria dei valori risultanti dagli ultimi decreti ministeriali (30 gennaio 1997 e 18 dicembre 1998) ovvero se ancora l’attualizzazione possa essere quanto meno limitata al momento della scoperta dell’abuso o della sua denunzia (istanza di condono).
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 13 luglio 2023, n. 6865IL NOTIZIOMETRO