Abusi edilizi e interesse a ricorrere: quando la vicinitas non basta
Avere due fondi confinanti non è motivo sufficiente per ricorrere contro la realizzazione di manufatti edilizi, è necessario provare anche la lesione subita
Così lontani, così vicini. Sebbene la vicinitas sia un concetto pertinente in termini di violazione delle distanze, essa non rappresenta un criterio sufficiente per giustificare la lesione arrecata dalla realizzazione di un manufatto: e, ancora una volta, a confermarlo è la sentenza n. 756/2022 del Consiglio di Stato, sez. Sesta.
La vicinitas e l'interesse legittimo ad agire: la sentenza del Consiglio di Stato
Il caso in esame riguarda l'appello per l’annullamento di una SCIA rilasciata per la realizzazione di un pergolato e di una tettoia a copertura di posti auto sull’area pertinenziale di un fabbricato residenziale. Il ripristino dei luoghi era stato richiesto dai vicini del proprietario dei manufatti e il TAR aveva già respinto il ricorso in primo grado, dichiarandolo inammissibile per mancanza di interesse ad agire. Non solo la semplice vicinitas non era sufficiente a giustificare l'intervento del giudice amministrativo, ma non era nemmeno dimostrato il collegamento tra il luogo dell'intervento ritenuto abusivo e la presenza di una lesione allegata e comprovata, anche se semplicemente eventuale o potenziale.
La vicinitas non basta per presentare ricorso
Anche Palazzo Spada ha respinto l’appello. Al riguardo il Consiglio ha ricordato come la giurisprudenza del Collegio, con sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 22/2021, ha raggiunto le seguenti conclusioni in merito all'impugnazione dei titoli edilizi: “riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”.
Il criterio della vicinitas non ha un carattere assoluto, va parametrato all’incidenza territoriale del potere dell’amministrazione e necessita di un apprezzamento caso per caso.
Violazione delle distanze
In questo caso, la semplice constatazione per cui i manufatti inciderebbero sulla disciplina delle distanze e della visuale libera non prova un pregiudizio ed è troppo generica. Non risulta nessun elemento che possa indicare in cosa consisterebbe il pregiudizio (nemmeno in termini di deprezzamento del terreno) che la parte appellante patirebbe dalla collocazione del manufatto, né quale sarebbe la concreta utilità che conseguirebbe dall’eventuale arretramento delle opere.
Da questo punto di vista, l'Adunanza Plenaria aveva accertato che la violazione delle distanze legali assume rilevanza, ai fini di integrare la condizione dell’azione costituita dall’interesse al ricorso: “Venendo poi al (sotto)tema della violazione delle distanze, posto con il quesito di cui alla lettera d), si ritiene che, traendo anche spunto dalla vicenda che ha originato la rimessione, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione possa essere rilevante, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.
Per dimostrare l’interesse ad agire, quindi la giurisprudenza ritiene indispensabile da parte del ricorrente “fornire prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione dell'intervento edificatorio”.
Nel caso di specie, il ricorrente si limita a prospettare la mera possibilità di subire un danno “in termini anche di deprezzamento economico”, non specificando però in che cosa potrebbe sussistere. Tale allegazione non è idonea a poter apprezzare un pregiudizio concreto; inoltre il Collegio osserva che le opere, un pergolato e una tettoia, sono di modeste dimensioni e quindi il possibile danno, se non supportato da specifiche motivazioni, non è rilevabile.
Responsabilità su eventuali servitù
In riferimento a un eventuale pregiudizio per la servitù fognaria (e/o la rispettiva manutenzione), il concreto interesse a ricorrere a questo riguardo non sussisterebbe nemmeno perché non si configura un possibile concreto danno di una servitù di scarico realizzata tramite una conduttura interrata.
Ai sensi degli artt. 1065 e 1067 del codice civile, la servitù non inibisce l’utilizzo del soprassuolo, e nei casi di necessità manutentiva e quindi di intervenire nel sottosuolo dell’area occupata in superficie dalla tettoia e dalla relativa pavimentazione, il proprietario del fondo servente potrà/dovrà rimuovere le opere a proprie spese che eventualmente rendano più gravoso l’esercizio dell’attività manutentiva.
L'appello è stato quindi interamente respinto, confermando che il criterio della vicinitas non è di per sè sufficiente per delineare un pregiudizio o un danno subito dalla realizzazione di un intervento edilizio.
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