Abusi edilizi, legittimo un ordine di demolizione anche dopo 30 anni
La realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem”
Un ordine di demolizione non va particolarmente motivato anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, perché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole. Diversamente, la realizzazione e il consapevole mantenimento di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato contra legem.
Ordine di demolizione: legittimo anche dopo 30 anni
Sulla non estinguibilità dell’abuso edilizio, mai sanato, è tornato a parlare il TAR Lombardia, con la sentenza n. 436/2023, con la quale il giudice ha totalmente respinto il ricorso contro l’ordine di demolizione ingiunto da un’Amministrazione Comunale, per la rimozione di un manufatto in legno posizionato in un’area soggetta a vincolo ambientale.
Secondo la ricorrente, era stata inoltrata ben 30 anni prima una domanda finalizzata ad ottenere il permesso al posizionamento del manufatto e su cui si sarebbe formato a suo tempo il silenzio assenso ai sensi dell’art. 7, punto 3, del D.L. n. 9/1982, in quanto il Sindaco non si era pronunciato sulla stessa nel termine di 60 giorni dalla sua presentazione.
Per altro il Comune avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie una norma afferente agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, mentre nel caso in esame, secondo la ricorrente, non ci si troverebbe di fronte ad un intervento edilizio vero e proprio, bensì semplicemente dinanzi alla collocazione sul terreno di un manufatto prefabbricato.
Infine, sarebbe stato violato il principio del legittimo affidamento, considerato che l’Amministrazione è intervenuta nella vicenda a distanza di oltre trent’anni dal posizionamento del manufatto.
Niente conformità urbanistica? No alla sanatoria edilizia
Secondo il TAR, il manufatto non è paragonabile a mere pertinenze o accessori da giardino considerate le dimensioni, l’ingombro e la sua stabile collocazione e l’istanza presentata 30 anni prima dell’ordine di demolizione si sostanziava invece in una generica richiesta di posizionamento del manufatto, presentata senza allegare alcuna documentazione progettuale, comunque necessaria, considerato anche il vincolo paesaggistico gravante sul territorio.
Perché si formasse il silenzio-assenso era necessaria la conformità alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e, comunque, relativi a manufatti collocati in aree non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1 giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497, oggi sostituito dal d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).
Quindi il silenzio assenso non si poteva formare sul manufatto in questione considerato che l’intero territorio comunale era sottoposto a vincolo paesaggistico già dagli anni ’60 e sull’area specifica era anche presente il vincolo di inedificabilità temporanea di cui all’art. 1-ter della l. n. 431/1985.
Nella vicenda in esame, in altri termini, ostavano alla formazione del silenzio assenso sia la sussistenza del vincolo ambientale, sia la mancanza di conformità urbanistica rispetto alle prescrizioni degli strumenti pianificatori allora vigenti.
Ordine di demolizione è atto vincolato anche se tardivo
Il Comune non poteva quindi che ordinarne la rimozione, perché l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso: in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore.
Ricorda il TAR che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso.
Questo principio non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
In conclusione, spiega il TAR non sussiste, alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem”.
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