Abusi edilizi: niente sanatoria senza Piano di Recupero

Il Consiglio di Stato chiarisce alcuni aspetti applicativi e operativi per ottenere la sanatoria edilizia mediante accertamento di conformità (art. 36 del d.P.R. n. 380/2001)

di Redazione tecnica - 07/09/2023

Le (poche) possibilità offerte dalla normativa edilizia per la sanatoria di piccoli e grandi difformità o veri e propri abusi edilizi, si scontra con la necessità che l'intervento sia in possesso della cosiddetta "doppia conformità".

La doppia conformità

Che si tratti di interventi realizzati senza o in difformità dal permesso di costruire, dalla SCIA alternativa o dalla SCIA, il presupposto per ottenere la sanatoria edilizia è che il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile presentino istanza ai sensi dell'art. 36 o 37 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (la doppia conformità).

Per verificare la conformità al momento della presentazione della domanda, è necessario controllare che l'intervento sia ammesso dagli strumenti urbanistici vigenti. E qui potrebbe sorgere qualche problema così come accaduto in un caso affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza 1 settembre 2023, n. 8141 che ci consente di approfondire l'argomento.

Il caso di specie

Il caso oggetto del nuovo intervento dei giudici di Palazzo Spada riguarda un fabbricato realizzato in assenza di titolo abilitativo che ricade in zona AR1 (Comparti di recupero urbanistico) come indicato dall'attuale Piano Regolatore del Comune.

Gli appellanti presentano istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del Testo unico Edilizia, per la sanatoria del fabbricato composto da un piano fuori terra con parziale scantinato e annesse pertinenze.

Il Comune, però, rigetta l'istanza motivando che il fabbricato a destinazione residenziale ricade in zona AR1 (Comparti di Recupero Urbanistico), la cui edificazione è subordinata alla redazione dei Piani di Recupero. In assenza di detti piani, il piano regolatore generale (PRG) vigente consentiva solo “interventi di recupero sull’esistente e divieto assoluto di edificazione sulle rimanenti aree esistenti”.

Considerata l'assenza del Piano di Recupero, il Comune rigettava l'istanza che veniva appellata al TAR che, però, ne confermava la validità e quindi il diniego di sanatoria.

Il ricorso al Consiglio di Stato

In secondo grado l'appellante contesta che aver negato il permesso di costruire in sanatoria sul presupposto della mancata predisposizione del piano di recupero non potrebbe ritenersi rispondente al criterio di corretto uso del territorio, considerata la completa urbanizzazione dell’area in questione.

La contestazione era già stata affrontata dal TAR che aveva ritenuto che quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano attuativo (come il piano di recupero), il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento, e ciò anche quando la zona interessata dall’intervento edilizio sia completamente urbanizzata.

Secondo l'appellante, però, la significativa urbanizzazione dell'area interessata dall’intervento può ritenersi equivalente all’operatività di un piano attuativo, quindi renderebbe superflua la pianificazione di dettaglio. A sostegno della sua tesi, il ricorrente rileva che il primo giudice non avrebbe spiegato le ragioni della mancata assimilabilità dell'intervento edilizio in oggetto, avvenuto in zona di recupero urbanistico, agli interventi avvenuti in zona d'espansione, limitandosi al mero richiamo della normativa urbanistica applicabile e all'ovvia constatazione che la redazione del piano di recupero non costituisce un obbligo giuridico coercibile a carico dell’Amministrazione

I piani di recupero urbanistico

Preliminarmente i giudici di secondo grado hanno ricordato che i piani di recupero urbanistico sono strumenti pianificatori attuativi che assolvono ad una funzione “riparatoria” del tessuto urbano, fronteggiando una situazione creatasi in via di fatto e tenendo conto, oltre alla esigenza di recupero dei nuclei abusivi, anche delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale.

I piani di recupero, quindi, costituiscono "lo strumento individuato dal legislatore per attuare il riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi fenomeni di edilizia "spontanea" e incontrollata, legittimati, appunto, ex post. Essi, cioè, hanno sì l'obiettivo di "recupero fisico" degli edifici, ma collocandolo in operazioni di più ampio respiro su scala urbanistica, in quanto mirate alla rivitalizzazione di un particolare comprensorio urbano".

L'esistenza di una “edificazione disomogenea” non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all'abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona.

Conclusioni

Ciò premesso, non è possibile ipotizzare una deroga all'obbligo dello strumento attuativo anche nelle zone significatamente urbanizzate. Esiste un orientamento consolidato per cui il piano di recupero configura "lo strumento per attuare il riequilibrio nelle aree degradate e non è ipotizzabile che in tali aree, pur compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata, il piano attuativo possa essere eluso con titoli edilizi singoli per costruire, pur attenendo questi ultimi a lotti prospicienti su aree urbanizzate e interclusi", in quanto lo stesso "attiene non soltanto al recupero fisico degli edifici, ma anche e soprattutto rappresenta un'operazione complessa a scala urbanistica, che deve puntare alla rivitalizzazione di un comprensorio urbano", con la conseguenza che "il piano attuativo è necessario non solo per i lotti interclusi insistenti in zone urbanizzate, ma anche per le aree (...) già compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata", e l'imposizione di una previa scelta di pianificazione urbanistica che condiziona e a cui sono subordinati gli interventi edificatori singoli trae la propria giustificazione (meglio sarebbe a dire la propria necessità) "proprio in considerazione del fatto che la zona in questione, in quanto già compromessa sotto l'aspetto urbanistico, ambientale e paesistico, abbia bisogno di necessari interventi di riqualificazione ambientale e paesistica".

Secondo il Consiglio di Stato "Il Piano di recupero può essere effettuato anche in zone di completa edificazione (...)", posto che "la previsione della necessità di un piano di recupero mira proprio a far sì che tutte le modifiche della zona individuata si ispirino a criteri omogenei e a una ordinata modifica ed equilibrato sviluppo e assetto del territorio, per migliorare la vivibilità degli abitanti e per evitare uno sviluppo incontrollato senza attenersi alle regole volte al miglioramento dell'area. Come ha già rilevato questo Consiglio, l'esistenza di una 'edificazione disomogenea' non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all'abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona”.

In conclusione, in assenza di un piano di recupero e anche in presenza di altre edificazioni, non è possibile ottenere il permesso di costruire in sanatoria.

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