Amministratore di condominio e agente immobiliare: attività incompatibili?
La Corte di Giustizia UE scioglie ogni dubbio e il Consiglio di Stato si adegua a quanto previsto dalla normativa europea
È legittimo vietare in via generale l’esercizio congiunto dell’attività di mediatore immobiliare e quella di amministratore di condominio? Quando il conflitto di interessi è solo potenziale, la misura è proporzionata ai fini di tutela del consumatore? E in che modo si bilancia il diritto nazionale con quello dell’Unione Europea?
Si tratta di questioni di non poco conto, che hanno raggiunto anche le stanze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea dove, con la sentenza del 4 ottobre 2024, C-242/23, è stato sciolto ogni dubbio.
Mediazione immobiliare e amministrazione condomini: c'è conflitto di interessi tra le attività?
E le decisioni della CGUE si sono naturalmente riverberate sul nostro ordinamento, come dimostra la sentenza del Consiglio di Stato del 7 marzo 2025, n. 1925, in relazione all’appello di un professionista a cui era stato inibito l’esercizio della mediazione immobiliare per asserita incompatibilità con l’attività di amministratore di condomini.
Il caso: la CCIAA rileva incompatibilità e cancella d’ufficio l’attività di mediazione
Facciamo un passo indietro e ripercorriamo i passaggi della vicenda. Tutto nasce con la determina di una Camera di Commercio, che ha inserito d’ufficio nel REA l’attività di amministratore di condomini esercitata dal titolare di una ditta individuale, e contestualmente ha inibito la prosecuzione dell’attività di mediazione immobiliare, ai sensi dell’art. 7 del D.M. 26 ottobre 2011, in applicazione dell’art. 5, comma 3, della Legge n. 39/1989.
La misura si basava sul presupposto che le due attività, esercitate contestualmente e in forma imprenditoriale, determinassero una situazione strutturale di conflitto di interessi.
In particolare, si evidenziava:
- un numero elevato di condomini gestiti (ben 39 unità);
- un volume d’affari prevalente nell’amministrazione rispetto alla mediazione;
- la presenza di una struttura organizzata con più dipendenti.
Da qui il ricorso del titolare dell’attività, che era stato rigettato dal TAR, sulla base di alcuni presupposti:
- l’incompatibilità prevista dall’art. 5 della L. 39/1989 va letta come finalizzata a prevenire il conflitto di interessi, e non necessariamente a reprimerne solo l’insorgenza concreta;
- la gestione imprenditoriale di un vasto patrimonio immobiliare, affiancata alla mediazione, alimenta un rischio sistemico di orientamento preferenziale verso gli immobili amministrati, pregiudicando i requisiti di terzietà del mediatore;
- la pubblica amministrazione (in questo caso la Camera di Commercio) non è tenuta a verificare ogni singola mediazione, ma può legittimamente intervenire sulla base di una valutazione complessiva e preventiva.
L’appello: divieto generalizzato contrario al diritto UE
Ne è scaturito l’appello, con cui la società ha sostenuto che:
- Il TAR ha applicato in modo eccessivo e distorto l’art. 5, comma 3, della L. 39/89, qualificandolo come norma di pericolo, in contrasto con le direttive UE sulla libera prestazione dei servizi (direttiva 2006/123/CE e direttiva 2005/36/CE);
- l’amministrazione ha presunto l’incompatibilità sulla base dei redditi dichiarati, senza verificare se gli immobili mediati coincidessero con quelli amministrati;
- la misura adottata non è proporzionata, né giustificata da un interesse generale evidente, e configura un divieto astratto e automatico;
- l’attività imprenditoriale non è in sé indice di conflitto di interessi, se non vi è sovrapposizione oggettiva tra amministrazione e mediazione;
- anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (CGUE) richiede che ogni restrizione sia giustificata da esigenze imperative, necessaria e proporzionata.
Il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3655/2023, ha ritenuto necessario il coinvolgimento della Corte di Giustizia UE, formulando tre quesiti pregiudiziali sulla compatibilità tra diritto nazionale e diritto comunitario.
In particolare, è stato chiesto se:
- il divieto generalizzato previsto dall’art. 5, co. 3, L. n. 39/1989 sia conforme ai principi europei di libertà d’impresa e libera prestazione di servizi;
- sia legittimo prescindere da ogni verifica in concreto sull’oggetto delle mediazioni;
- l’incompatibilità possa derivare unicamente dal dato dell’esercizio congiunto delle due attività.
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