Amministratore di condominio: la Cassazione sulla revoca dell'incarico e la professionalità
Cassazione: "Gli effetti della revoca dell'incarico di amministratore di condominio non possano trovare la loro disciplina nella fattispecie di cui all'art. 2237 c.c., la quale regola, invero, il recesso del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale"
Il contratto tipico di amministrazione di condominio non costituisce prestazione d'opera intellettuale e non è perciò soggetto alle norme che il codice civile prevede per il relativo contratto, atteso che l'esercizio di tale attività non è subordinata all'iscrizione in apposito albo o elenco, quanto al possesso di determinati requisiti di professionalità ed onorabilità.
Amministratore di condominio: l'ordinanza della Corte di Cassazione
È quanto scrive la Corte di Cassazione nell'Ordinanza n. 7574 del 19 marzo 2021 che tratta un argomento molto delicato che merita un approfondimento. L'ordinanza è stata resa in riferimento al ricorso presentato da un amministratore di condominio per la riforma della sentenza del Tribunale che aveva accolto solo in parte i ricorso contro una decisione del giudice di primo grado.
Il punto cruciale ruota intorno alla revoca del mandato e al saldo dei compensi. Secondo il Tribunale alla revoca prima del tempo dell'incarico annuale di amministrazione del condominio, corrisponde il saldo del compenso fino all'esaurimento del rapporto e non anche il risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1725 c.c., essendo questa norma inapplicabile al recesso in materia di professioni intellettuali, disciplinato, piuttosto, dall'art. 2237 c.c.
L'esercizio dell'attività di amministratore di condominio
L'ordinanza dei giudici di cassazione spiega che, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, gli effetti della revoca dell'incarico di amministratore di condominio non possano trovare la loro disciplina nella fattispecie di cui all'art. 2237 c.c., la quale regola il recesso del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale.
Secondo la Cassazione, ed è qui il nodo sul quale si è già scatenato un dibattito, il contratto tipico di amministrazione di condominio non costituisce prestazione d'opera intellettuale e non è perciò soggetto alle norme che il codice civile prevede per il relativo contratto. L'esercizio dell'attività di amministrazione di condominio non è subordinata (come richiesto dall'art. 2229 del codice civile) all'iscrizione in apposito albo o elenco, quanto al possesso di determinati requisiti di professionalità ed onorabilità, e rientra, piuttosto, nell'ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4.
Proprio per questo motivo e secondo una giurisprudenza consolidata, al contratto di amministrazione di condominio, al di là dello statuto dei poteri e degli obblighi esplicitamente dettato negli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c., può trovare residuale applicazione la disciplina in tema di contratto di mandato.
Inoltre, la previsione della revocabilità da parte dell'assemblea conferma la assimilabilità al mandato del rapporto intercorrente tra condominio ed amministratore e, conseguentemente, il carattere fiduciario dell'incarico. Trattandosi, peraltro, di mandato che si presume oneroso conferito per un tempo determinato, se la revoca è fatta prima della scadenza del termine di durata previsto nell'atto di nomina, l'amministratore ha diritto, oltre che al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, altresì al risarcimento dei danni, proprio in applicazione dell'art. 1725, primo comma, c.c., salvo che ricorra a fondamento della medesima revoca una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico.
In definitiva, l'amministratore di condominio, in ipotesi di revoca deliberata dall'assemblea prima della scadenza del termine previsto nell'atto di nomina, ha diritto:
- al soddisfacimento dei propri eventuali crediti;
- al risarcimento dei danni, salvo che sussista una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico.
Le considerazioni di ANACI
Come detto, l'ordinanza farà molto discutere e il primo a farlo è l'Associazione Nazionale Amministratori di Condominiali e Immobiliari (ANACI). Il punto su cui si discuterà riguarda proprio il ruolo e le professionalità dell'amministratore di condominio che, come detto dalla Corte di Cassazione, non è subordinata all'iscrizione in apposito albo o elenco.
"La tesi sostenuta - rileva il Presidente nazionale di ANACI, Ing. Francesco Burrelli - se per alcuni versi è condivisibile, tuttavia sembra ad una prima lettura frettolosa che non riconosca la sua professionalità inerente alla molteplice competenza che deve possedere, soprattutto in relazione alle continue normative, anche di natura tecnica/fiscale, che il parlamento continua ad emanare".
Di seguito la nota di chiarimento pubblicata da ANACI.
Il legislatore del 1942, introducendo gli articoli concernenti il condominio nel libro terzo, della proprietà, si è limitato a indicare quali siano i beni che presuntivamente si devono considerare comuni (Cass. civ., Sez. VI, 25 febbraio 2020, n. 5059), senza definire la natura giuridica del condominio, che la prevalente giurisprudenza ha individuato in un mero ente di gestione sfornito di personalità giuridica, anche se più di recente gli ha attribuito la soggettività giuridica (Cass. civ., Sez. Unite, 18 settembre 2014, n.19663).
Anche il rapporto che si instaura tra questo e il suo amministratore non è precisato, ma sicuramente non è né un lavoratore subordinato, né un organo istituzionale, considerata la carenza di personalità giuridica del condominio.
Gli artt. 1129 e 1130 e 1131 cod. civ., inerenti alla attività dell’amministratore si devono interpretare alla luce del nuovo disposto dell’art. 71-bis disp. att. cod. civ., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220, entrata in vigore 18 giugno 2013 e susseguente DM 13 agosto 2014, n. 140, nonché della legge 14 gennaio 2013, n. 4, che riconosce la qualifica di professionista a coloro che svolgono, abitualmente e prevalentemente, un’attività intellettuale ed economica rivolta alla prestazione di servizi a favore di terzi non organizzata in ordini e in collegi; ne consegue che l’amministratore ha potuto fregiarsi del titolo di professionista alla stregua di coloro che esercitano una attività intellettuale ai sensi dell’art. 2229 cod. civ. (professioni iscritte in ordini e collegi) a tutela, in principalità dei consumatori - condomini.
D’altronde, il secondo comma dell’art. 1 della legge 4/2013 stabilisce che si tratta di una “professione”, seppur non organizzata in albi o elenchi, ma al pari di questa ha identica dignità, rilevanza, obblighi e responsabilità.
Sino agli anni sessanta, dello scorso secolo, l’amministratore di condominio veniva prevalentemente scelto nella categoria dei ragionieri in quanto “sapeva far di conto”; una delle sue mansioni più importanti e più delicate, infatti, è quella di predisporre il rendiconto consuntivo delle spese condominiali, che rappresenta la prova concreta del contratto instauratosi con il condominio [Cass. civ., Sez. VI, 17 gennaio 2019, n. 1186]. Oggi, viceversa, sia per la diffusione di software, ogni volta più approfonditi, sia per la necessità della conoscenza delle leggi riguardanti il condominio, sempre più numerose, l’amministratore viene scelto tra coloro che, a tempo pieno e in modo professionale, svolgono questa attività.
E del resto l’istituto condominiale non può oggi essere affrontato in un’ottica giuridica ristretta al solo stabile che costituisce il condominio. Deve essere, infatti, ridiscusso non solamente in sede di tecnica edilizia ed impiantistica, ma specialmente dal punto di vista giuridico in un quadro più ampio, riferentesi a tutte quelle altre normative che sono strettamente correlate al condominio e che l’amministratore condominiale è chiamato a conoscere ed attuare, tra le quali in principalità il diritto fiscale costantemente in evoluzione.
In sostanza si riscontra una differente disciplina della materia condominiale che è più consona ed adeguata agli aspetti sociali, tecnologici e scientifici dell’era moderna e che l’amministratore condominiale deve gestire in piena autonomia, sempre nell’interesse dei propri clienti-condomini.
Proprio in quanto professionista, esercitando una attività intellettuale, al momento della sua nomina in un condominio, l’amministratore viene investito automaticamente del potere di gestire e rappresentare quel condominio: trattasi sostanzialmente di una rappresentanza volontaria voluta e pattuita dal condominio. Ne consegue che l’amministratore è tenuto ad usare nell’adempimento dei propri doveri, la diligenza del professionista, ai sensi del comma II dell’art. 1176 cod. civ. .
Il legislatore, riconoscendo, inoltre, all’amministratore di condominio una funzione sociale con gli artt. 5, 7 e 9 D.L., 20 febbraio 2017, n. 14, convertito in legge 18 aprile 2017, n. 48, ha coinvolto l’amministratore per collaborare all’attuazione concreta sia della sicurezza urbana sia della tutela del decoro di particolari luoghi cittadini.
È opportuno collegare le norme, sopra esposte, con il terzo comma dell’art. 1135 cod. civ. che prevede la possibilità, per l’assemblea, di autorizzare l’amministratore a collaborare, tra l’altro, a iniziative promosse dalle istituzioni locali finalizzate a favorire la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona nella quale il condominio è ubicato.
L’integrazione dell’interessamento e dell’attività tra amministrazione pubblica e amministrazione privata, alla luce della normativa del 2017, certamente di valenza imperativa, può prescindere da una delibera condominiale e l’amministratore di condominio, quale professionista, può collaborare assiduamente con il Sindaco per segnalare, per quanto di sua competenza, ogni violazione di tutti i numerosi divieti indicati dalla normativa, anche se gli sono, o possono essergli, ignoti gli autori.
Inoltre, l’art. 5 sexies del D. L. 18 aprile 2019 n. 32, convertito in legge14 giugno 2019 n. 55, dispone interventi urgenti per gli edifici condominiali degradati o ubicati in zone degradate.
Qualora si versi in questa fattispecie, l’amministratore deve immediatamente convocare una, o due volte, l’assemblea per adempiere all’ordinanza sindacale che imponga il restauro dello stabile e nel caso l’assemblea vada deserta, o non si raggiunga la maggioranza prescritta dal IV comma dell’art. 1136 cod. civ., deve trasmettere i relativi verbali al Sindaco per i provvedimenti di sua competenza.
Premesso quanto dedotto, da cui emerge una attività complessa, intellettuale, autonoma e scevra da elementi di subordinazione, si deve rilevare che la terminologia utilizzata dal legislatore nell’art. 2, L. 4/2013 ricalca, quasi pedissequamente, il testo dell’art. 2222 cod. civ., che è inserito nel Titolo III del Libro V del Codice inerente a “Del lavoro autonomo”; l’art. 2222 citato prevede, altresì, una eccezione solo per i rapporti disciplinati dal libro IV del codice, in tema di obbligazioni, ma non del libro terzo, nel quale sono inseriti gli artt. 1129, 1130, 1130 bis, 1131.
Del resto, la Cassazione, Sez. Lavoro, con ordinanza 4 maggio 2020, n. 8444, ha precisato che il lavoro intellettuale si qualifica come autonomo, allorché debba escludersi la sussistenza del potere direttivo del committente e non siano rilevanti gli indici sussidiari di una subordinazione, che non esiste tra assemblea e amministratore. Infatti, come ut su-pra rilevato, l’amministratore ha un’ampia facoltà di gestire autonomamente gli interessi dei clienti-condomini, con il mero limite delle disposizioni generali che il cliente fornisce al professionista, mediante l’assemblea, per conseguire gli obiettivi che vuole ottenere. Non solo, con sentenza della seconda sezione del 9 gennaio 2020, n. 185, la Cassazione distingue le finalità previste dall’art. 2227 cod. civ. dal successivo art. 2237. Inoltre la Cassazione con la sentenza, sem-pre della Sez. II, del 24 gennaio 2017, richiamata costantemente dai giudici di merito, Tribunali e Corti d’Appello, ha stabilito che il rapporto di prestazione d’opera intellettuale postula il conferimento del relativo incarico sottoscrivendo un “contratto proprio di gestione per amministratore di condominio”, (anche se non espressamente indicato da un articolo del c.c., ma collegato a diversi articoli, mentre non esiste per molte altre professioni) e il verbale d’assemblea lo è certamente.
Correttamente, quindi, la sentenza 19 marzo 2021, n. 7874, ha escluso che la professione di amministratore condominiale possa essere inquadrata in quelle disciplinate dagli artt. 2229 e segg. cod. civ., ma sicuramente è una attività professionale intellettuale disciplinata dal Capo I del Titolo III del Libro V del Codice Civile e, quindi, la revoca senza giusta causa, questione posta all’esame della Corte, deve essere valutata alla stregua del disposto dell’art. 2227 cod. civ. e non dell’art. 1725 del medesimo codice, come, invece, statuisce la sentenza de qua.
A tal proposito, si deve porre in rilievo che “L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, <> e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista”, tutte qualità e requisiti che l’amministratore di condominio deve possedere, come sopra evidenziato.
Non si deve dimenticare, infine, che il richiamo al contratto di mandato è contenuto nel solo art. 1129 cod. civ. con esplicito riferimento allo stesso articolo, e limitatamente a quanto non disciplinato dal medesimo, e, quindi, residuale, (vero che il riferimento al mandato è contenuto nel solo 1129 il quale, però, disciplina la formazione del contratto ma anche la sua estinzione e l'articolo 1725 è una conseguenza dell'estinzione del medesimo) con esclusione, conseguentemente, degli artt. 1130, 1130 bis e 1131 sopra citati; questi ultimi riguardano l’adempimento del contratto di gestione del condominio pattuito in assemblea, tant’è che il legislatore utilizza l’espressione “all’atto dell’accettazione della nomina” tipica per la conclusione di un contratto, che non può essere né di un lavoro subordinato, sempre escluso, né di mandato per le motivazioni sopra riportate. Inoltre, il legislatore nulla precisa in merito alla questione della revoca dell’amministratore e, pertanto, si deve fare riferimento alla disciplina generale che, nella specie, inerisce alla professione dell’amministratore, per quanto sopra dedotto, prevalente su quella del contratto di mandato, essendo la legge 4/2013 di natura speciale. La legge 4 entra in vigore prima 10 febbraio 2013, la 220 il18 giugno 2013. Ne deriva, conseguentemente, che tutte le norme del codice civile o di altre leggi coinvolgenti l’attività di amministratore di condominio devono essere interpretate alla luce della prerogativa della sua professionalità, compresa, altresì, la responsabilità concernente il suo operato, anche omissivo, in quanto la sua prestazione implica sempre più la soluzione di problemi giuridici, tecnici e fiscali, compositi sovente di speciale difficoltà; ne discende che il suo comportamento e la sua condotta devono essere valutati, a tal fine, ai sensi dell’art 1176, II c., cod. civ., che è inserito nell'ambito delle obbligazioni e, va letto con gli occhi della evoluzione della normativa e non solo del codice civile. L'articolo 1176 disciplina tutte le obbligazioni e il riferimento all'attività professionale non può prescindere dalle leggi speciali (Legge 4/2013). Sembrerebbe che la sentenza della cassazione nulla toglie alla professionalità dell'amministratore ma, anzi, in più passaggi gli conferisce il giusto risalto dicendo espressamente, che esiste il “contratto proprio” e che è un professionista. Non sembra che la sentenza vada a incidere sulla collocazione dell'amministratore nel panorama giuridico, ma disciplini solo il caso dell'estinzione del mandato il cui articolo 1725, che deve leggersi in riferimento all’art. 1129 cod. civ. che regolamenta la risoluzione del rapporto. Pertanto, l’art. 1176, 2° comma (sulle obbligazioni), non è messo in discussione dalla sentenza.
Considerazione di merito da approfondire è se il diritto al compenso debba essere limitato al periodo di un anno, nel caso di revoca intervenuta ad esempio al quarto mese, e non al periodo di due anni comprensivo del rinnovo legale, fermo restando il rimborso degli eventuali altri crediti o dei danni che vanno sempre dimostrati.
Documenti Allegati
Ordinanza Corte di Cassazione 19 marzo 2021, n. 7874IL NOTIZIOMETRO