Abusi edilizi e Ordine di demolizione: aerofotogrammetrie valide solo se inequivocabili
11/04/2019
Come è ormai noto, l'utilizzo delle aerofotogrammetrie storiche costituisce prova documentale pienamente utilizzabile anche in sede penale. Concetto valido, però, solo se i fotogrammi forniscono con esattezza le informazioni necessarie ai fini della decisione.
Lo ha chiarito la Sezione Sesta del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2363 del 10 aprile 2019 con la quale ha accolto il ricorso presentato per l'annullamento di una sentenza di primo grado concernente la sospensione dei lavori di montaggio di una veranda, il diniego di condono e l'ordine di demolizione.
I fatti
L'appello ai giudici di Palazzo Spada riguarda una precedente sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso presentato per l’annullamento di una determinazione dirigenziale che aveva disposto l’immediata sospensione della realizzazione di una veranda di 20 metri quadri circa sul terrazzo al livello, con muratura, infissi in alluminio, vetri con copertura in pannelli coibentati e tegole, nell’abitazione del ricorrente.
Con nota del 26 luglio 2005 la ricorrente aveva asserito che le opere contestate sarebbero state eseguite molto tempo prima ed oggetto di specifica istanza di condono edilizio del 10 dicembre 2004 presentata ai sensi della legge 24 novembre 2003, n. 326. Era tuttavia seguito un ordine di demolizione, peraltro impugnato con motivi aggiunti, nei quali l’appellante aveva altresì denunciato l’illegittimità della determinazione dirigenziale di rigetto dell’istanza di condono del 10 dicembre 2004, presentata in ordine all’avvenuta realizzazione della veranda. Con ulteriori motivi aggiunti la ricorrente lamentava l’illegittimità della determinazione dirigenziale del 18 luglio 2013 di ingiunzione della demolizione della veranda.
L’appellante lamentava che la reiezione della domanda di condono sarebbe stata disposta per la mancata realizzazione delle opere abusive entro il 31 marzo 2003, sul rilievo che dall’esame delle aerofotogrammetrie (scattate nel mese di luglio 2003 e del 13 giugno 2004) le opere edilizie ancora non risultavano eseguite e che l’amministrazione si sarebbe limitata a ricavare tale elemento di fatto da una sentenza del Tribunale penale del 29 novembre 2007, non passata in giudicato.
Con la sentenza appellata, il ricorso era stato rigettato, assumendosi che dalle risultanze aerofotografiche sarebbe emerso che “gli abusi per i quali era stata inoltrata istanza di condono … non erano ancora presenti a luglio 2003 … Né parte ricorrente, su un piano squisitamente probatorio, ha comprovato la realizzazione della veranda su cui è stato espresso il diniego sulla relativa domanda di condono edilizio prima della scadenza del predetto termine del 31 marzo 2003”.
La sentenza del Consiglio di Stato
All'appello in secondo grado seguiva un'ordinanza del Consiglio di Stato che disponeva una CTU per verificare se dalle aerofotogrammetrie utilizzate e richiamate in sentenza - ma la cui “lettura” era stata fatta oggetto di espressa e specifica contestazione ad opera dell’appellante - potesse trarsi il convincimento dell’inesistenza del manufatto alla data di dichiarata realizzazione delle stesse.
Il CTU depositava la propria relazione nella quale, tra le altre cose, affermava che "è impossibile esprimersi con scientifica certezza sulla esistenza o meno di una veranda di così esigua consistenza (mq20,7) attraverso la semplice osservazione monoscopica di una fotografia aerea: per rendere leggibile un manufatto di tali ridotte dimensioni andrebbero effettuati generosi ingrandimenti che però sgranano l’immagine rendendola dunque di cattiva definizione, di difficile lettura e di scarsa attendibilità”.
Secondo Palazzo Spada, se lo stesso CTU riconosce l’impossibilità di stabilire con esattezza la data di ultimazione del manufatto in questione, deve attribuirsi preferibilmente rilevanza all’autodichiarazione che la ricorrente aveva rilasciato nella domanda di condono, contenente l’attestazione che la veranda sarebbe stata realizzata entro il 31 marzo 2003. Conclusione avvalorata dalla circostanza che vi è un minimo scarto, di appena quattro mesi, tra la data dichiarata dall’interessata sotto la propria penale responsabilità, e quella individuata approssimativamente dal CTU, oltretutto con un significativo beneficio del dubbio dovuto ad intuibili ragioni tecniche, peraltro riconosciute e fatte proprie dallo stesso perito.
Con queste motivazioni il Consiglio di Stato ha accolto l'appello e, in riforma della sentenza appellata, accolto anche il ricorso di primo grado.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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