Abusi edilizi, ordine di demolizione e pignoramento immobiliare trascritto
03/07/2018
La disciplina eccezionale che rende suscettibile di vendita in sede di esecuzione forzata i beni abusivi non muta la natura sostanzialmente abusiva dell’immobile, né modifica i presupposti di una sua eventuale sanatoria.
Lo ha chiarito la Seconda Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte con la sentenza n. 791 del 27 giugno 2018 con la quale ha rigettato nel merito un ricorso presentato per l'annullamento dell'atto di accertamento di inottemperanza all'ordinanza di demolizione ed acquisizione al patrimonio comunale di un'opera abusiva, ma rigettato anche l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e/o legittimazione ad agire in capo alla ditta ricorrente.
I fatti
Il ricorso è stato presentato contro l’atto con il quale un Comune ha accertato l’inottemperanza di un'impresa all’ordine di demolizione, con acquisizione al patrimonio comunale di un’opera abusiva per la quale nelle more era in corso una procedura esecutiva di pignoramento immobiliare da parte di una ditta creditrice dell'impresa originariamente proprietaria dell'immobile abusivo.
Il provvedimento impugnato dinanzi al TAR veniva comunicato dal Comune anche ai creditori procedenti, incluso l'attuale ricorrente.
Con riferimento ai beni in contestazione, realizzati in totale assenza di permesso di costruire, l’amministrazione aveva dapprima emesso un ordine di sospensione lavori. L'impresa proprietaria aveva presentato una istanza di permesso di costruire in sanatoria, respinta dall’amministrazione. Con ordinanza successiva veniva ingiunto all'impresa di demolire le opere abusive, a cui seguiva una parziale demolizione e una nuova istanza di accertamento di conformità. All'istanza di accertamento il Comune emetteva provvedimento di diniego, richiamando l’ordine di demolizione già precedentemente formulato. Alla fine veniva constatata la mancata ottemperanza all’obbligo di demolizione e veniva pronunciata l’ordinanza di acquisizione qui impugnata.
La tesi della parte ricorrente
Secondo l'attuale ricorrente, vi sarebbe stata una violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) ed eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà e difetto di motivazione. Il diniego di accertamento di conformità sarebbe stato emesso in data successiva all’avvio della procedura esecutiva di pignoramento, momento in cui il debitore sarebbe stato impossibilitato ad ottemperare all’ordine di demolizione e con la conseguenza che non gli sarebbe imputabile alcun inadempimento e non si sarebbe verificato l’effetto di acquisizione in favore del Comune.
La sentenza del TAR
I giudici di primo grado hanno preliminarmente respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e/o legittimazione ad agire in capo alla ditta ricorrente. La ditta è creditrice procedente nell’ambito di una procedura esecutiva che ha comportato il pignoramento dell’immobile oggetto del provvedimento di acquisizione impugnato. Essa vanta un interesse alla conservazione della garanzia patrimoniale che il bene rappresenta, garanzia che, rispetto alla mera garanzia patrimoniale generica offerta da tutto il patrimonio del debitore e prevista dall’art. 2740 c.c, si è attualizzata e specificata in relazione al bene in contestazione proprio con il pignoramento. Tanto comporta sia un interesse ad agire della ricorrente che un legame sufficientemente qualificato della stessa con il bene che la legittima all’azione.
Per quanto riguarda l'oggetto del ricorso, i giudici hanno affermato che la disciplina eccezionale che rende suscettibile di vendita in sede di esecuzione forzata i beni abusivi (ex lege ordinariamente incommerciabili) ha la finalità di evitare che eventuali procedure esecutive restino paralizzate dalla (non rara) inerzia dell’amministrazione che, ad esempio, ometta o ritardi nel pronunciarsi su una istanza di sanatoria ovvero che, pur a fronte dell’inottemperanza ad ordini di demolizione, non ne tragga le doverose conseguenze di legge; in mancanza della disciplina speciale la mera inerzia dell’amministrazione potrebbe, in tesi, paralizzare sine die una eventuale procedura esecutiva.
Ciò premesso, la disciplina del procedimento esecutivo non muta la natura sostanzialmente abusiva dell’immobile, né modifica i presupposti di una sua eventuale sanatoria. Le previsioni di cui agli artt. 40 co. 6 della legge n. 47/1985 e 31 co. 5 del DPR n. 380/2001 consentono a colui che abbia acquistato dalla procedura esecutiva un immobile abusivo di essere rimesso in termini per proporre una istanza di sanatoria, senza, come detto, modificare la disciplina sostanziale dell’abuso. Ne consegue che, se la struttura non è sanabile, tale resta anche per l’acquirente in sede esecutiva, finendo per rappresentare, rispetto al prezzo di vendita, un onere e non un valore.
D’altro canto, come l’inerzia dell’amministrazione non può di per sé paralizzare un’azione esecutiva, in un contemperato bilanciamento di interessi, la pendenza di una azione esecutiva su iniziativa privata non può a sua volta essere di ostacolo alla doverosa e vincolata azione di repressione dell’abusivismo edilizio, che risponde ad un superiore interesse pubblico e si intesta alla pubblica amministrazione; diversamente opinando il titolare di un bene abusivo ben potrebbe strumentalmente porsi nella condizione di pignorato, con ciò solo sottraendosi al procedimento di repressione dell’abusivismo edilizio.
A differenza di quanto avviene in caso di fallimento o in caso di sequestri disposti dal giudice penale che perseguono esigenze pubblicistiche, il pignoramento è disposto nell’interesse privato del/dei creditori procedenti/intervenienti ed ha l’unico effetto di far prevalere costoro rispetto ad eventuali ulteriori creditori o aventi causa (tra i quali non si colloca in nessun caso l’amministrazione) inducendo, in favore dei creditori procedenti, l’inefficacia relativa di successivi atti di disposizione.
Gli atti di disposizione restano certamente inibiti al debitore. Secondo il TAR, però, la doverosa esecuzione di un ordine di demolizione (che non ha alcunché di volontario, trattandosi di adempimento ad un ordine esecutivo dell’autorità) non è annoverabile tra gli atti di disposizione (che, per definizione, implicano una più o meno remota origine volontaria della disposizione).
D’altro canto, che l’inottemperanza all’ordine di demolizione non subisca i limiti di “opponibilità” indotti dal pignoramento è coerente con il meccanismo di acquisto che a tale inottemperanza consegue (acquisto a titolo originario, art. 31 d.p.r. n. 380/01), per definizione estraneo ai criteri di opponibilità dettati dalla trascrizione, che caratterizzano invece tanto il pignoramento che gli acquisti a titolo derivativo ai quali il primo deve restare insensibile.
Escluso dunque che l’ottemperanza ad un ordine di demolizione sia annoverabile tra gli atti di disposizione, essa risulta piuttosto ascrivibile agli atti di diligente conservazione del bene.
Non può quindi accedersi alla tesi del ricorrente, secondo cui il provvedimento doverosamente adottato dall’amministrazione troverebbe ostacolo nella presunta impossibilità del debitore di ottemperarvi. Neppure è fondato l’assunto secondo cui il diniego di accertamento di conformità non sarebbe sufficiente a far decorrere i termini per la demolizione e, conseguentemente, a cristallizzare l’inadempimento che fonda l’ordine di acquisizione.
Con tali motivazioni il ricorso è stato respinto.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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