Concessione edilizia nulla o difforme e contratti di appalto: nuovi chiarimenti dalla Cassazione
24/01/2019
Il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia o difforme è nullo e non produce effetti ai sensi del codice civile.
Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 30703 del 28 novembre 2018 con il quale ha accolto il ricorso incidentale presentato per l'annullamento di una decisione di appello che aveva condannato il ricorrente al pagamento dei danni per aver sospeso l'attività commissionata perché la sua completa esecuzione avrebbe comportato l'edificazione di opere abusive.
La sentenza della Corte di Appello
Secondo la sentenza della Corte di Appello la realizzazione delle opere commissionate non avrebbe comportato alcuna responsabilità penale per illecito edilizio, posto che le eventuali difformità imposte in sede esecutiva rispetto al progetto avrebbero potuto essere sanata in via amministrativa mediante una DIA e/o richiesta di variante, giungendo alla conclusione che "Tanto è sufficiente a conclamare l'ingiustificato abbandono del cantiere da parte del Bello e dunque il suo inadempimento agli accordi contrattuali".
La riforma in Cassazione
Gli ermellini, riformando e cassando la sentenza della Corte di Appello, hanno chiarito che il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 e.e., avendo un oggetto illecito per violazione di norme imperative in materia urbanistica con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall'origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell'art. 1423 cod. civ.
Tale nullità si verifica anche ove il contratto abbia ad oggetto immobili da costruire o costruiti in modo difforme alla concessione edilizia rilasciata: se la difformità è totale (cioè ove si intenda realizzare un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetriche rispetto a quello assentito), l'opera difforme è equiparata a quella priva di concessione.
In tema di contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformità rispetto alla concessione edilizia, la Suprema Corte ha distinto due diversi casi:
- difformità totale;
- difformità parziale.
Nel primo caso, che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie, l'opera è da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell'oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica. Nel secondo caso detta nullità, invece, si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto.
Secondo la Corte di Cassazione, i giudici di appello si sono limitati all'errata affermazione secondo la quale dall'indagine tecnica sarebbe emerso che le difformità (non meglio identificate per gravità) potessero essere sanate, senza verificare se le stesse rendessero la costruzione del tutto difforme rispetto al progetto approvato. Viceversa, proprio dalla CTU si appalesa che le difformità rendessero l'opera non conforme rispetto al progetto approvato: infatti, il CTU aveva affermato che "la realizzazione delle opere indicate in contratto, e non riportate nel progetto approvato, avrebbe comportato il mancato rispetto degli indici previsti dallo strumento urbanistico all'epoca vigente, in quanto sia la superficie che la cubatura, espresse in progetto, erano al limite dell'assentito".
Poiché, incombe al costruttore, oltre che al titolare della concessione edilizia e al committente, l'obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni, lo stesso è tenuto a verificare che l'opera contrattualmente prevista fosse conforme alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, alle previsioni della concessione edilizia e alle sue modalità esecutive. Ma tale conformità, come rilevato dai CTU, nella specie non esisteva e ciò veniva riconosciuto dalla stessa sentenza.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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