Emergenza Covid-19: l’orgoglio di un libero professionista, lavoratore di serie B
di Giuseppe Scannella - 20/03/2020
Sin dall’inizio di questa guerra tra l’umanità e un microorganismo è stato chiaro che le conseguenze sarebbero state anche di carattere economico. Consapevole il Governo, già all’istituzione della prima zona rossa, si è preoccupato di varare misure volte a sostenere, per quanto possibile, l’economia e il disagio sociale delle zone colpite.
Il precipitare degli eventi ha causato l’emanazione di una cascata di misure, fino all’ultimo DPCM di questi giorni, nel quale, malgrado si facesse fatica a crederci e nonostante da più parti - politiche e professionali - si facesse appello a considerare i liberi professionisti ordinistici quali soggetti necessitanti di sostegno, per legge si è conclamato che ad essi nessun aiuto è dovuto; addirittura, in una versione del decreto #CuraItalia per loro si è parlato di residualità!
Il fatto che queste categorie non siano state incluse conferma alcune cose: per questo Stato sono lavoratori di serie B e non rappresentano per esso - oggi come ieri - il motore dell'Italia alla quale forniscono servizi e sussidiarietà, a volte facendosi carico anche di quel che lo Stato dovrebbe fare. Appartenendo a questa categoria di lavoratori, mi viene da dire che proprio in questi frangenti la gran parte di essi ( e io con questi) si senta più che orgogliosa di far parte di questa comunità #residuale, e si vorrebbe proprio vedere dove andrebbe a parare il Paese se noi non ci fossimo...al confronto, le dichiarazioni della Lagarde sul ruolo della BCE sembrano una battutina scherzosa perché, almeno, non scritte su un disposto legislativo.
Ora la domanda che ci si dovrebbe porre credo dovrebbe esser questa: come si risponde e quando si risponde? Soprattutto, chi risponde? Non è questione retorica perché, sul come, ci sarà una scuola di pensiero formalistica (una lettera di protesta o poco più) che già, al momento in cui scrivo, si è concretizzata e vi hanno provveduto sia il CUP che il raggruppamento delle professioni tecniche; alla fine una prassi consolidata, ma c’è una novità…
Dopo un primo appello dell’Adepp, l’organizzazione che coordina le Casse di Previdenza private, con uno scatto di orgoglio è intervenuta Inarcassa (la previdenza privata di Ingegneri e Architetti) con due provvedimenti che, per quanto possibile, provano a dare un minimo di sostegno ai quasi 170mila iscritti. Si potrà dire: dove sta il problema? Beh, se si considera che Inarcassa eroga le sue prestazioni basandosi esclusivamente sul contributo degli iscritti, non pesando sulle casse dello Stato e lo fa per quello che le resta dopo che su questi versamenti ha devoluto allo Stato una quota in tasse (doppia tassazione – come se l’Inps versasse allo Stato una quota sui contributi pagati dai datori di lavoro per i dipendenti), mi pare di poter dire che qualche problema ci sia. Intanto perché architetti e ingegneri contribuiscono comunque alla fiscalità generale da cui verranno prelevate le risorse per provvedimenti che invece li escludono, poi perché le tasse prelevate dai contributi previdenziali versati vengono distolte da queste finalità. Il discrimine (anche sciocco in termini di giustizia sociale e convenienza economica generale) solo un cieco può non vederlo.
Ma, oltre gli aspetti economici pur importanti, è il messaggio che è stato devastante: la residualità appiccicata a funzioni che nella civiltà occidentale sono state sempre considerate, a ragione, il motore della crescita e dell’innovazione! Ci si aspettava, ed erano state richieste, altre risposte: legate alla razionalizzazione del nostro mondo e del modo di operare, a quella dei processi autorizzativi e produttivi, interessate alla qualità e alla bellezza delle opere, per poter ripartire velocemente e bene, noi e il Paese. Lo si può leggere nella lettera-appello inviata a Giuseppe Conte dal Consiglio Nazionale Architetti. Niente, nessuna apertura e nessun cenno, siamo ancora ai cantieri aperti oltre ogni evidenza e opportunità. Ora si aspetta Aprile per non si sa cosa, forse qualche euro una tantum tanto per dire che #nessuno è stato lasciato indietro, come il motto dei marines…
Restano, alla fine, gli effetti del messaggio e, come diceva Blaise Pascal, le stesse parole dette in un modo diverso avrebbero potuto sortire un diverso risultato e ci avrebbero confortato, rassicurato pur dovendo affrontare lo stesso i problemi. Dovremo prenderne inevitabilmente atto di questo e da ciò far discendere nuovi modelli di rapporto con lo Stato, rivedendo il concetto di leale collaborazione che sin qui abbiamo assicurato. In fondo, come diceva Einstein, “non possiamo pretendere che le cose cambino facendo sempre le stesse cose”.
A cura di Arch. Giuseppe Scannella
© Riproduzione riservata
- Tag: