Esperto del giudice e CTU: rivedere le assurde norme sui compensi
08/09/2015
La conversione in legge del decreto-legge 27 giugno 2015, n.
83 recante "Misure urgenti in materia fallimentare, civile
e processuale civile e di organizzazione e funzionamento
dell'amministrazione giudiziaria" ha portato in dono una
modifica alle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura
civile, che ha scatenato la reazione indignata dei professionisti
che collaborano con il tribunale.
L'art. 13 del D.L. n. 83/2015 ha, infatti, inserito un nuovo comma all'art. 161 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile prevedendo che il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario debba essere calcolato sulla base del prezzo ricavato dalla vendita e che prima della vendita non si possano liquidare acconti in misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima.
La norma, oltre che ingiustificata, determinerà molti problemi già evidenziati dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (leggi articolo). Ho chiesto un commento all'Arch. Graziano Castello, professionista esperto del giudice per il Tribunale di Imperia e per la Corte d'Appello di Genova, autore di numerose pubblicazioni in tema di valutazione immobiliare e manuali per il CTU, tra le quali Esecuzioni Immobiliari.
Il commento di Graziano Castello
Nella nostra calda estate, durante la conversione del Decreto Legge 83/2015 che ha apportato numerose modifiche alla procedura esecutiva immobiliare, ivi comprese le competenze dell'Esperto del Giudice, i tecnici italiani iscritti all'elenco dei CTU hanno trovato - per chi ha avuto modo di accorgersene - una davvero spiacevole sorpresa. Sorpresa defilata, fatta passare proprio in estate forse per evitare sollevazioni in merito. Durante l'approvazione del decreto diventato, dunque, definitivamente la legge n. 132/15 del 6 agosto 2015 alla Camera, infatti, è stato aggiunto un terzo comma all'art. 161 delle Disposizioni di Attuazione del Codice di Procedura Civile. Comma che, poi, in sede di approvazione al Senato, ha mantenuto il suo effetto devastante, naturalmente senza alcuna eccezione o riserva da parte dell'assemblea. Il comma incriminato così recita: "Il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario è calcolato sulla base del PREZZO RICAVATO DALLA VENDITA. Prima della vendita non possono essere liquidati acconti in misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima".
La norma, a voler tutto concedere, sicuramente è stata inserita per evitare da parte dei tecnici una sopravvalutazione dei beni oggetto di procedura e, quindi, per impedire di gonfiare surrettiziamente il proprio compenso, essendo questo basato sostanzialmente sul valore di stima e, probabilmente anche per adeguare i tempi di pagamento alle altre figure professionali che intervengono nelle procedure esecutive. Cosa che, come vedremo, così non è, diventando le ultime ruote del carrozzone delle esecuzioni.
Forse, era sicuramente meglio da parte dell'estensore della norma richiedere, invece, un'obbligata adesione agli standard internazionali di stima, ivi compresi gli aspetti deontologici del perito estimatore. Come peraltro fanno già le banche con le loro linee guida. Il legislatore si è, invece, limitato a inserire generiche - e ormai superate - indicazioni su come va eseguita una valutazione -peraltro rifacendosi più a una stima per apprezzamenti e detrazioni (SAD) piuttosto che a una stima per MCA - come si converrebbe per chi pretende, sempre secondo le nuove norme, un valore di mercato aderente agli standard internazionali.
In attesa che gli ordini professionali facciano sentire la loro voce bloccando quest'assurdità legislativa e sperando che nel frattempo non si rivelino cancellazioni in massa dagli elenchi dei CTU nei vari tribunali italiani, dove l'attività di esperto è una delle voci più frequenti, andiamo a esaminare nel dettaglio questa "perla" normativa.
In primo luogo per gli Esperti del Giudice non possiamo che lamentare, andando nella direzione opposta a questa assurda norma, il perdurare del mancato riconoscimento - in termini di compenso - delle prestazioni professionali di due diligence che oggi, sono peraltro estremamente dettagliate e che con tutta evidenza non si possono far rientrare nelle prestazioni di stima dell'immobile come un parametro di dettaglio della valutazione. Queste prestazioni assorbono, in termini di responsabilità. d'impegno di tempo e studio, la stessa fatica prevista per la valutazione del bene. Eppure queste prestazioni non sono prese in considerazione dalla norma e, mentre prima si poteva almeno fare riferimento all'art. 12 del DM del 30 maggio 2002, oggi il predetto comma esclude questa possibilità non essendo quest'ultimo basato sul prezzo della vendita (o sul valore di stima).
Un altro aspetto da fare subito emergere è quello della presunta incostituzionalità della norma o quantomeno un aspetto di palese illegittimità contrattuale tra Stato e Professionista giacché secondo la norma quest'ultimo dovrebbe accettare un incarico professionale sulla base di un'indeterminatezza del proprio compenso essendo basato su una variabile aleatoria e non fissabile al momento dell'incarico. Com'è possibile pensare che un professionista possa serenamente assumere un incarico senza conoscere almeno un intervallo possibile di minimo e di massimo del proprio compenso? Per un'abitazione da 250.000 euro si passa nel giro di quattro aste deserte a circa 100.00 euro il compenso possibile da circa 2000 a 1000 euro, cioè la metà e senza veder retribuito l'operato relativo alla Due Diligence.
La norma poi, non dice nulla nel caso la vendita non possa concludersi e il giudice, ad esempio, giudichi la non convenienza a proseguire la vendita forzata e dichiari, per questo motivo, chiusa la stessa. Applicando alla lettera la norma all'Esperto del Giudice non spetterebbe nulla perché il compenso è basato sul prezzo ricavato dalla vendita. Se non c'è prezzo ricavato, non si può calcolare niente. Può essere corretto pretendere di svolgere una prestazione col rischio di non percepire nulla?
La norma denota, poi, una profonda ignoranza della materia estimativa giacché i parametri che il perito utilizza per il suo lavoro sono tutti riferiti al valore del bene oggetto di stima perché derivano da un giudizio dell'esperto, ancorché basato su criteri di mercato. La norma, invece, fa riferimento a un prezzo che deriva dalla trattativa reale che si attua attraverso le offerte alle aste e ai ribassi in caso di aste deserte. Nelle aste, infatti, c'è un surrogato della trattativa di mercato che si concreta in questo modo. Si esegue, dunque, una prestazioni su parametri orientati al valore e si viene pagati su parametri orientati al prezzo. Direi che l'umiliazione professionale inflitta dal legislatore è davvero pesante e basata inoltre, su una profonda ignoranza della materia.
Il calcolo del compenso, inoltre, non essendo stata approvata tabella specifica, si dovrà per forza basare sempre sull'art. 13 del DM del 30 maggio 2002? Questo però, fa riferimento a un onorario a percentuale calcolato per scaglioni sull'importo stimato e non sul prezzo di vendita. Gli scaglioni di legge, invece, derivano da calcoli effettuati sui valori di stima che mediamente si riscontrano nella realtà e non sui prezzi di vendita. A rigore, quindi, senza una norma di raccordo, possiamo tranquillamente dire che non c'è un riferimento tabellare specifico cui riferirsi e, quindi, in linea teorica l'istanza di liquidazione basata sul valore stimato, cioè quella di riferimento base, può slegarsi dalle tabelle ministeriali ed essere liberamente elaborata dall'Esperto del Giudice magari ipotizzando un discostamento medio delle vendite rispetto ai valori di stima base e formulando la liquidazione dei propri compensi su questa base cercando così, di recuperare in qualche modo il dimezzamento tout court dei compensi.
E, ancora, secondo la norma non possono essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del valore di stima. Gli acconti, peraltro, non si comprende bene se siano per le spese, come avveniva prima della norma, o siano acconti anche sulla prestazione. Posta la percentuale così alta, si opta senz'altro per questa seconda ipotesi. E chi la fissa questa percentuale e l'acconto medesimo? Il giudice alla consegna della relazione? Allora contestualmente all'istanza di liquidazione, ogni professionista si vedrà costretto a esigere un anticipo massimo pari al 50% del compenso calcolato sul valore di stima in modo da recuperare almeno in parte il proprio compenso subito dopo la prestazione. Già era difficile, infatti, recuperare il proprio compenso con l'istanza e la liquidazione immediata del giudice, figuriamoci ora con un'istanza basata su un valore di stima che differirà quasi certamente dal prezzo di vendita e che sarà pagata a "babbo morto", cioè solo dopo la vendita e,persino, soltanto se questa avverrà effettivamente. E poi che accadrà? Chi liquiderà le parcelle basate sul prezzo di vendita? I giudici a malapena leggevano le istanze di liquidazione basate sul valore di vendita e ora, invece, provvederanno "da soli" a computare i compensi spettanti all'Esperto andandosi così, a prendere le tabelle dell'art.13 e scaglionare gli importi? Permetteteci di dubitarne fortemente e sicuramente ci sarà un passaggio in più in cui l'Esperto soltanto a vendita avvenuta, dovrà prodigarsi a presentare una seconda istanza di liquidazione basata sul prezzo di vendita, aspettando il decreto del Giudice e rinviando il saldo della prestazione a tempo indeterminato e forse a mai.
Forse non sarebbe il caso di rivedere questa norma assurda? Non sarebbe il caso che gli ordini professionali presentassero le loro rimostranze del caso al potere legislativo ed esecutivo?
Ringrazio l'Arch. Castello per il prezioso contributo e lascio come sempre a voi l'ultima parola.
© Riproduzione riservata
L'art. 13 del D.L. n. 83/2015 ha, infatti, inserito un nuovo comma all'art. 161 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile prevedendo che il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario debba essere calcolato sulla base del prezzo ricavato dalla vendita e che prima della vendita non si possano liquidare acconti in misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima.
La norma, oltre che ingiustificata, determinerà molti problemi già evidenziati dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (leggi articolo). Ho chiesto un commento all'Arch. Graziano Castello, professionista esperto del giudice per il Tribunale di Imperia e per la Corte d'Appello di Genova, autore di numerose pubblicazioni in tema di valutazione immobiliare e manuali per il CTU, tra le quali Esecuzioni Immobiliari.
Il commento di Graziano Castello
Nella nostra calda estate, durante la conversione del Decreto Legge 83/2015 che ha apportato numerose modifiche alla procedura esecutiva immobiliare, ivi comprese le competenze dell'Esperto del Giudice, i tecnici italiani iscritti all'elenco dei CTU hanno trovato - per chi ha avuto modo di accorgersene - una davvero spiacevole sorpresa. Sorpresa defilata, fatta passare proprio in estate forse per evitare sollevazioni in merito. Durante l'approvazione del decreto diventato, dunque, definitivamente la legge n. 132/15 del 6 agosto 2015 alla Camera, infatti, è stato aggiunto un terzo comma all'art. 161 delle Disposizioni di Attuazione del Codice di Procedura Civile. Comma che, poi, in sede di approvazione al Senato, ha mantenuto il suo effetto devastante, naturalmente senza alcuna eccezione o riserva da parte dell'assemblea. Il comma incriminato così recita: "Il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario è calcolato sulla base del PREZZO RICAVATO DALLA VENDITA. Prima della vendita non possono essere liquidati acconti in misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima".
La norma, a voler tutto concedere, sicuramente è stata inserita per evitare da parte dei tecnici una sopravvalutazione dei beni oggetto di procedura e, quindi, per impedire di gonfiare surrettiziamente il proprio compenso, essendo questo basato sostanzialmente sul valore di stima e, probabilmente anche per adeguare i tempi di pagamento alle altre figure professionali che intervengono nelle procedure esecutive. Cosa che, come vedremo, così non è, diventando le ultime ruote del carrozzone delle esecuzioni.
Forse, era sicuramente meglio da parte dell'estensore della norma richiedere, invece, un'obbligata adesione agli standard internazionali di stima, ivi compresi gli aspetti deontologici del perito estimatore. Come peraltro fanno già le banche con le loro linee guida. Il legislatore si è, invece, limitato a inserire generiche - e ormai superate - indicazioni su come va eseguita una valutazione -peraltro rifacendosi più a una stima per apprezzamenti e detrazioni (SAD) piuttosto che a una stima per MCA - come si converrebbe per chi pretende, sempre secondo le nuove norme, un valore di mercato aderente agli standard internazionali.
In attesa che gli ordini professionali facciano sentire la loro voce bloccando quest'assurdità legislativa e sperando che nel frattempo non si rivelino cancellazioni in massa dagli elenchi dei CTU nei vari tribunali italiani, dove l'attività di esperto è una delle voci più frequenti, andiamo a esaminare nel dettaglio questa "perla" normativa.
In primo luogo per gli Esperti del Giudice non possiamo che lamentare, andando nella direzione opposta a questa assurda norma, il perdurare del mancato riconoscimento - in termini di compenso - delle prestazioni professionali di due diligence che oggi, sono peraltro estremamente dettagliate e che con tutta evidenza non si possono far rientrare nelle prestazioni di stima dell'immobile come un parametro di dettaglio della valutazione. Queste prestazioni assorbono, in termini di responsabilità. d'impegno di tempo e studio, la stessa fatica prevista per la valutazione del bene. Eppure queste prestazioni non sono prese in considerazione dalla norma e, mentre prima si poteva almeno fare riferimento all'art. 12 del DM del 30 maggio 2002, oggi il predetto comma esclude questa possibilità non essendo quest'ultimo basato sul prezzo della vendita (o sul valore di stima).
Un altro aspetto da fare subito emergere è quello della presunta incostituzionalità della norma o quantomeno un aspetto di palese illegittimità contrattuale tra Stato e Professionista giacché secondo la norma quest'ultimo dovrebbe accettare un incarico professionale sulla base di un'indeterminatezza del proprio compenso essendo basato su una variabile aleatoria e non fissabile al momento dell'incarico. Com'è possibile pensare che un professionista possa serenamente assumere un incarico senza conoscere almeno un intervallo possibile di minimo e di massimo del proprio compenso? Per un'abitazione da 250.000 euro si passa nel giro di quattro aste deserte a circa 100.00 euro il compenso possibile da circa 2000 a 1000 euro, cioè la metà e senza veder retribuito l'operato relativo alla Due Diligence.
La norma poi, non dice nulla nel caso la vendita non possa concludersi e il giudice, ad esempio, giudichi la non convenienza a proseguire la vendita forzata e dichiari, per questo motivo, chiusa la stessa. Applicando alla lettera la norma all'Esperto del Giudice non spetterebbe nulla perché il compenso è basato sul prezzo ricavato dalla vendita. Se non c'è prezzo ricavato, non si può calcolare niente. Può essere corretto pretendere di svolgere una prestazione col rischio di non percepire nulla?
La norma denota, poi, una profonda ignoranza della materia estimativa giacché i parametri che il perito utilizza per il suo lavoro sono tutti riferiti al valore del bene oggetto di stima perché derivano da un giudizio dell'esperto, ancorché basato su criteri di mercato. La norma, invece, fa riferimento a un prezzo che deriva dalla trattativa reale che si attua attraverso le offerte alle aste e ai ribassi in caso di aste deserte. Nelle aste, infatti, c'è un surrogato della trattativa di mercato che si concreta in questo modo. Si esegue, dunque, una prestazioni su parametri orientati al valore e si viene pagati su parametri orientati al prezzo. Direi che l'umiliazione professionale inflitta dal legislatore è davvero pesante e basata inoltre, su una profonda ignoranza della materia.
Il calcolo del compenso, inoltre, non essendo stata approvata tabella specifica, si dovrà per forza basare sempre sull'art. 13 del DM del 30 maggio 2002? Questo però, fa riferimento a un onorario a percentuale calcolato per scaglioni sull'importo stimato e non sul prezzo di vendita. Gli scaglioni di legge, invece, derivano da calcoli effettuati sui valori di stima che mediamente si riscontrano nella realtà e non sui prezzi di vendita. A rigore, quindi, senza una norma di raccordo, possiamo tranquillamente dire che non c'è un riferimento tabellare specifico cui riferirsi e, quindi, in linea teorica l'istanza di liquidazione basata sul valore stimato, cioè quella di riferimento base, può slegarsi dalle tabelle ministeriali ed essere liberamente elaborata dall'Esperto del Giudice magari ipotizzando un discostamento medio delle vendite rispetto ai valori di stima base e formulando la liquidazione dei propri compensi su questa base cercando così, di recuperare in qualche modo il dimezzamento tout court dei compensi.
E, ancora, secondo la norma non possono essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del valore di stima. Gli acconti, peraltro, non si comprende bene se siano per le spese, come avveniva prima della norma, o siano acconti anche sulla prestazione. Posta la percentuale così alta, si opta senz'altro per questa seconda ipotesi. E chi la fissa questa percentuale e l'acconto medesimo? Il giudice alla consegna della relazione? Allora contestualmente all'istanza di liquidazione, ogni professionista si vedrà costretto a esigere un anticipo massimo pari al 50% del compenso calcolato sul valore di stima in modo da recuperare almeno in parte il proprio compenso subito dopo la prestazione. Già era difficile, infatti, recuperare il proprio compenso con l'istanza e la liquidazione immediata del giudice, figuriamoci ora con un'istanza basata su un valore di stima che differirà quasi certamente dal prezzo di vendita e che sarà pagata a "babbo morto", cioè solo dopo la vendita e,persino, soltanto se questa avverrà effettivamente. E poi che accadrà? Chi liquiderà le parcelle basate sul prezzo di vendita? I giudici a malapena leggevano le istanze di liquidazione basate sul valore di vendita e ora, invece, provvederanno "da soli" a computare i compensi spettanti all'Esperto andandosi così, a prendere le tabelle dell'art.13 e scaglionare gli importi? Permetteteci di dubitarne fortemente e sicuramente ci sarà un passaggio in più in cui l'Esperto soltanto a vendita avvenuta, dovrà prodigarsi a presentare una seconda istanza di liquidazione basata sul prezzo di vendita, aspettando il decreto del Giudice e rinviando il saldo della prestazione a tempo indeterminato e forse a mai.
Forse non sarebbe il caso di rivedere questa norma assurda? Non sarebbe il caso che gli ordini professionali presentassero le loro rimostranze del caso al potere legislativo ed esecutivo?
Ringrazio l'Arch. Castello per il prezioso contributo e lascio come sempre a voi l'ultima parola.
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