LIVING PLANET: DURO MONITO ALL'UMANITÀ
31/10/2008
L'umanità è in debito ecologico nei confronti del Pianeta, c'è un
terzo di pianeta sottoforma di acqua, suolo fertile, foreste,
risorse ittiche che l'umanità consuma freneticamente ma che in
realtà non esiste perché ancora non si è potuto rigenerare. Quello
che nel 1961 era ancora un credito rispetto al nostro utilizzo di
risorse si è trasformato in un debito crescente. Negli ultimi 45
anni la domanda dell'umanità sul pianeta è più che raddoppiata in
conseguenza dell'incremento demografico e dei crescenti consumi
individuali.
E' questo il duro monito contenuto nell'ultima edizione del Living Planet Report del WWF (in basso link per scaricare il report), la principale analisi dello stato di salute del pianeta lanciata oggi al livello mondiale. Inoltre, lo stato di salute dell'ambiente globale e della biodiversità è in continuo declino e sempre più aree del pianeta stanno andando verso uno stato di stress idrico permanente o stagionale.
"Il mondo sta vivendo l'incubo di una recessione economica per aver sovrastimato le risorse finanziarie a disposizione - ha dichiarato James Leape, direttore del WWF Internazionale - ma una crisi ancor più grave è alle porte - ovvero, l'erosione del credito ecologico causato dall'aver sottovalutato l'importanza delle risorse ambientali come base del benessere di ogni società. Se la nostra pressione sulla Terra continuerà a crescere ai ritmi attuali, intorno al 2035 potremmo avere bisogno di un altro pianeta per mantenere gli stessi stili di vita".
Il Report, prodotto dal WWF insieme alla Società Zoologica di Londra (ZSL) e al Global Footprint Network, mostra come oltre tre quarti della popolazione umana viva in paesi che sono 'debitori' in termini ecologici, dove i consumi nazionali hanno abbondantemente superato la capacità biologica nazionale.
"Troppo spesso i nostri stili di vita, la nostra crescita economica consumano, in maniera sempre più insostenibile, il capitale ecologico di altre parti del mondo - dichiara Gianfranco Bologna, direttore Scientifico del WWF Italia - Nel 1961 quasi tutti i paesi del mondo possedevano una capacità più che sufficiente a soddisfare la propria domanda interna, al 2005 la situazione è radicalmente mutata e molti paesi sono in grado di soddisfare i loro bisogni solo importando risorse da altre nazioni ed utilizzando l'atmosfera terrestre come un'enorme "discarica" di anidride carbonica ed altri gas ad effetto serra".
Dieci anni di Living Planet
Il Report viene pubblicato dal 1998 e, a partire dal 2000, ogni due anni (l'attuale è la settima edizione del Rapporto).
Nell'edizione del 2008 viene resa nota, per la prima volta, la misurazione l'Impronta idrica, sia al livello nazionale che globale che si aggiunge come indicatore aggregato agli altri due, ovvero, l'Impronta Ecologica, l'analisi della domanda di risorse naturali derivante dall'attività umana, e l'Indice del Pianeta Vivente, la misurazione dello stato di salute dei sistemi naturali.
L'Indice del Pianeta Vivente, compilato in particolare dalla Società Zoologica di Londra, mostra come dal 1970 si sia verificato il declino complessivo della biodiversità (della ricchezza della vita sul pianeta) di circa il 30% tenendo conto dell'analisi di circa 5000 popolazioni di 1.686 specie di animali vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci). Nelle aree tropicali la riduzione è più drammatica che altrove, essendo al 50%, e le cause principali sono costituite dalla deforestazione e dalle modificazioni dell'uso del suolo; per le specie di acqua dolce le cause principali sono l'impatto delle dighe, la deviazione dei corsi fluviali e i cambiamenti climatici (per un declino del 35%). Gli ambienti costieri e marini invece soffrono soprattutto di inquinamento e di pesca eccessiva o distruttiva.
La recessione ecologica
"Abbiamo nei confronti del pianeta lo stesso atteggiamento dilapilatorio che le istituzioni finanziarie hanno avuto nei mercati. Siamo abituati a pensare nel breve termine mirando ad una crescita materiale e quantitativa ormai insostenibile basata sullo sfruttamento dissennato delle risorse naturali senza alcuna considerazione delle generazioni che abiteranno questo pianeta dopo di noi - continua Bologna - Gli effetti di una crisi ecologica globale sono persino più gravi del disastro economico attuale".
Le emissioni di anidride carbonica da fonti di energia fossili e il consumo del suolo costituiscono tra le attività umane, quelle che più pesano nel calcolo dell'Impronta Ecologica e che si legano ad una delle maggiori cause di pericolo attuale, ovvero, i cambiamenti climatici.
L'analisi dell'Impronta Ecologica, prodotta dal Global Footprint Network, mostra come la biocapacità globale - ovvero, l'area necessaria a produrre le risorse primarie per i nostri consumi e a "catturare" le nostre emissioni di gas serra - è di circa 2.1 ettari 'globali pro-capite mentre l'Impronta ecologica e cioè il nostro utilizzo delle capacità produttive dei sistemi naturali sale a 2.7 ettari globali pro-capite.
Abbiamo quindi un deficit di 0,6 ettari globali pro-capite. "Continuare ad alimentare il nostro deficit ecologico avrà ripercussioni gravi anche in economia - ha dichiarato il direttore esecutivo del GFN, Mathis Wackernagel - Il limite della disponibilità delle risorse e il collasso dei sistemi naturali possono far scattare una potente stagflazione (l'incrocio tra stagnazione e inflazione) con un crollo del valore degli investimenti, mentre i costi di cibo ed energia salgono alle stelle".
Fonte: Kioto Club
© Riproduzione riservata
E' questo il duro monito contenuto nell'ultima edizione del Living Planet Report del WWF (in basso link per scaricare il report), la principale analisi dello stato di salute del pianeta lanciata oggi al livello mondiale. Inoltre, lo stato di salute dell'ambiente globale e della biodiversità è in continuo declino e sempre più aree del pianeta stanno andando verso uno stato di stress idrico permanente o stagionale.
"Il mondo sta vivendo l'incubo di una recessione economica per aver sovrastimato le risorse finanziarie a disposizione - ha dichiarato James Leape, direttore del WWF Internazionale - ma una crisi ancor più grave è alle porte - ovvero, l'erosione del credito ecologico causato dall'aver sottovalutato l'importanza delle risorse ambientali come base del benessere di ogni società. Se la nostra pressione sulla Terra continuerà a crescere ai ritmi attuali, intorno al 2035 potremmo avere bisogno di un altro pianeta per mantenere gli stessi stili di vita".
Il Report, prodotto dal WWF insieme alla Società Zoologica di Londra (ZSL) e al Global Footprint Network, mostra come oltre tre quarti della popolazione umana viva in paesi che sono 'debitori' in termini ecologici, dove i consumi nazionali hanno abbondantemente superato la capacità biologica nazionale.
"Troppo spesso i nostri stili di vita, la nostra crescita economica consumano, in maniera sempre più insostenibile, il capitale ecologico di altre parti del mondo - dichiara Gianfranco Bologna, direttore Scientifico del WWF Italia - Nel 1961 quasi tutti i paesi del mondo possedevano una capacità più che sufficiente a soddisfare la propria domanda interna, al 2005 la situazione è radicalmente mutata e molti paesi sono in grado di soddisfare i loro bisogni solo importando risorse da altre nazioni ed utilizzando l'atmosfera terrestre come un'enorme "discarica" di anidride carbonica ed altri gas ad effetto serra".
Dieci anni di Living Planet
Il Report viene pubblicato dal 1998 e, a partire dal 2000, ogni due anni (l'attuale è la settima edizione del Rapporto).
Nell'edizione del 2008 viene resa nota, per la prima volta, la misurazione l'Impronta idrica, sia al livello nazionale che globale che si aggiunge come indicatore aggregato agli altri due, ovvero, l'Impronta Ecologica, l'analisi della domanda di risorse naturali derivante dall'attività umana, e l'Indice del Pianeta Vivente, la misurazione dello stato di salute dei sistemi naturali.
L'Indice del Pianeta Vivente, compilato in particolare dalla Società Zoologica di Londra, mostra come dal 1970 si sia verificato il declino complessivo della biodiversità (della ricchezza della vita sul pianeta) di circa il 30% tenendo conto dell'analisi di circa 5000 popolazioni di 1.686 specie di animali vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci). Nelle aree tropicali la riduzione è più drammatica che altrove, essendo al 50%, e le cause principali sono costituite dalla deforestazione e dalle modificazioni dell'uso del suolo; per le specie di acqua dolce le cause principali sono l'impatto delle dighe, la deviazione dei corsi fluviali e i cambiamenti climatici (per un declino del 35%). Gli ambienti costieri e marini invece soffrono soprattutto di inquinamento e di pesca eccessiva o distruttiva.
La recessione ecologica
"Abbiamo nei confronti del pianeta lo stesso atteggiamento dilapilatorio che le istituzioni finanziarie hanno avuto nei mercati. Siamo abituati a pensare nel breve termine mirando ad una crescita materiale e quantitativa ormai insostenibile basata sullo sfruttamento dissennato delle risorse naturali senza alcuna considerazione delle generazioni che abiteranno questo pianeta dopo di noi - continua Bologna - Gli effetti di una crisi ecologica globale sono persino più gravi del disastro economico attuale".
Le emissioni di anidride carbonica da fonti di energia fossili e il consumo del suolo costituiscono tra le attività umane, quelle che più pesano nel calcolo dell'Impronta Ecologica e che si legano ad una delle maggiori cause di pericolo attuale, ovvero, i cambiamenti climatici.
L'analisi dell'Impronta Ecologica, prodotta dal Global Footprint Network, mostra come la biocapacità globale - ovvero, l'area necessaria a produrre le risorse primarie per i nostri consumi e a "catturare" le nostre emissioni di gas serra - è di circa 2.1 ettari 'globali pro-capite mentre l'Impronta ecologica e cioè il nostro utilizzo delle capacità produttive dei sistemi naturali sale a 2.7 ettari globali pro-capite.
Abbiamo quindi un deficit di 0,6 ettari globali pro-capite. "Continuare ad alimentare il nostro deficit ecologico avrà ripercussioni gravi anche in economia - ha dichiarato il direttore esecutivo del GFN, Mathis Wackernagel - Il limite della disponibilità delle risorse e il collasso dei sistemi naturali possono far scattare una potente stagflazione (l'incrocio tra stagnazione e inflazione) con un crollo del valore degli investimenti, mentre i costi di cibo ed energia salgono alle stelle".
Fonte: Kioto Club
© Riproduzione riservata