La rubrica di Lino Bellagamba: Il project alla lombarda insegue il project all'italiana

10/02/2012

Secondo T.A.R. Lombardia, Milano, III, 16 dicembre 2011, n. 3200, anche alla concessione di lavori pubblici si applicherebbe il disposto di cui al D.Lgs. 163/2006, art. 133, comma 4.

La regola è quella di cui al comma 2 dell'art. 133 del codice:
"Per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti non si può procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il comma 1 dell'articolo 1664 del codice civile".
L'eccezione è quella di cui al comma 4 del medesimo art. 133 del codice:
"In deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell'anno di presentazione dell'offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7".

Si sostiene la sostanziale identità fra appalto e concessione.

"Sotto il profilo causale la concessione di lavori pubblici costituisce (...) al pari dell'appalto di lavori, un contratto sinallagmatico e si caratterizza solo per il fatto che il corrispettivo per la esecuzione dell'opera è dato dal diritto di gestirla per un determinato periodo di tempo, anziché dal pagamento di un prezzo in danaro. Il contratto di concessione di costruzione e gestione, al pari dell'appalto di lavori, ha natura commutativa e non aleatoria. Le prestazioni che ne connotano l'oggetto (realizzazione dell'opera e diritto di gestirla per un certo arco temporale) sono, infatti, determinate fin dalla nascita del contratto. Come accade per tutti i contratti la cui esecuzione si protragga nel tempo, il valore economico di dette prestazioni in costanza di rapporto può subire variazioni, anche notevoli, in reazione alle mutevoli contingenze del mercato. In difetto di diversa pattuizione, la distribuzione dei rischi derivanti dalle oscillazioni del mercato o altre sopravvenienze che alterino l'equilibrio economico iniziale del contratto è regolata dalla disciplina generale del codice civile e da quella speciale attinente lo specifico tipo contrattuale".
"Per quanto riguarda l'appalto pubblico di lavori il rischio relativo all'aumento del costo dei materiali di costruzione è disciplinato dai commi 3, 4 e 5 del D.Lgs. 163 del 2006 che lo pongono a carico della stazione appaltante qualora l'aumento sia causato da "circostanze eccezionali" e lo scostamento di valore risulti superiore ad una certa soglia normativamente predeterminata. Si tratta di norme che, analogamente a quanto dispone l'art. 1664 c.c. per l'appalto privato, stabiliscono i limiti della cd. "alea normale del contratto" che, in quanto prevedibile al momento della stipula, deve essere sopportata da ciascun contraente".

Appare del tutto condivisibile, invece, la tesi sostenuta dall'Amministrazione concedente.
La norma in questione è "incompatibile con la concessione di lavori pubblici nella quale l'equilibrio economico finanziario dell'investimento non potrebbe essere garantito da una prestazione in danaro dal momento che, di regola, il corrispettivo dell'esecutore consiste nel diritto di gestire l'opera. In tale tipologia contrattuale il ripristino dell'equilibrio finanziario si attuerebbe mediante la revisione del piano economico finanziario che sta alla base del contratto la quale è ammessa solo nei casi previsti dalla legge e dalla convenzione. Tuttavia, la disciplina legislativa (anche di rango comunitario) della concessione di lavori non solo non prevedrebbe l'aumento dei costi dei materiali fra le cause di revisione del piano economico finanziario, ma porrebbe espressamente a carico del concessionario il "rischio di costruzione" (decisione Eurostat dell'11 febbraio 2004 applicabile ai contratti di partenariato pubblico privato in forza del richiamo contenuto nel comma 15 ter dell'art. 3 del D.Lgs 163/2006), nel cui ambito certamente rientra quello di aumento dei costi dei materiali.
Del pari anche la disciplina convenzionale contenuta nel contratto di concessione stipulato fra le parti porrebbe espressamente a carico del concessionario il rischio di costruzione (...) e, conseguentemente, non includerebbe l'aumento dei costi fra gli eventi che giustificano la revisione del piano economico finanziario".

Secondo il collegio lombardo, invece, "il concessionario (...) si assume un rischio di impresa che, normalmente, grava sull'ente concedente" e "il rischio di costruzione assunto dal concessionario rimane nei limiti dell'alea normale tipica dell'appalto di lavori".
Ma la tesi, secondo i principi comunitari in materia, è del tutto infondata. Il rischio non grava sull'Amministrazione, nella concessione, e il rischio del concessionario non è ordinario, ma aggravato.

Del resto, il collegio stesso dà atto che "l'art. 143 del D.Lgs 163 del 2006 non annoveri fra le cause di revisione del PEF l'aumento dei costi dei materiali o della manodopera".
La decisione EUROSTAT in data 11 febbraio 2004, così testualmente prevede: "Il rischio costruzione riguarda eventi connessi alla fase (...) di realizzazione dell'infrastruttura quali, ad esempio, (...) costi aggiuntivi di importo rilevante (...). (...) L'eventualità che il soggetto pubblico (...) ripiani ogni costo aggiuntivo emerso, quale ne sia la causa, comporta, invece, l'assunzione del rischio costruzione da parte del soggetto pubblico" e la consequenziale trasmutazione del contratto da concessione ad appalto.
Invero, è legittimo ripianare un "costo aggiuntivo emerso", afferma la decisione EUROSTAT, ma non a prescindere da "quale ne sia la causa". Ma, su questo punto, l'art. 143 del codice è molto chiaro e conforme alla nozione comunitaria di concessione: "I presupposti e le condizioni di base che determinano l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base, nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per l'esercizio delle attività previste nella concessione, quando determinano una modifica dell'equilibrio del piano, comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni".
Dalla norma deriva: primo, che la variazione dei prezzi dei materiali da costruzione non può mai essere dedotto fra i "presupposti e le condizioni di base che determinano l'equilibrio economico-finanziario"; secondo, che solo "variazioni apportate dalla stazione appaltante" ai "presupposti o condizioni di base" legittimamente apponibili in contratto, ovvero "norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per l'esercizio delle attività" gestionali, sono suscettibili di legittimare la "rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio".

Peraltro non si vede comeil "limite delle risorse di cui al comma 7" dell'art. 133 del codice possa essere applicato alla concessione.

Una tesi imprevista quella del T.A.R. lombardo, che va censurata nella maniera più netta possibile, anche per il deleterio effetto "domino" che potrebbe determinare.

A cura di Lino Bellagamba - http://www.linobellagamba.it


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