La tracciabilità dei flussi finanziari dopo la Legge 217 del 2010

18/01/2011

La domanda è questa: la disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari si applica anche quando la pubblica Amministrazione acquista direttamente sul mercato ciò di cui ha bisogno, come un qualsiasi soggetto privato?Ora, siccome il comma 5 dell'art. 3 della L. 136/2010 parla di "stazione appaltante", la risposta appare già indirizzata in senso negativo.
La tesi di fondo è che, se l'ente pubblico non seleziona alcun operatore economico, ma jure privatorum utitur, la L. 136/2010 non appare applicabile.

Un indice interpretativo in tal senso è già in nuce nei documenti dell'Autorità di vigilanza: "non rientrano nell'ambito applicativo della norma le spese sostenute dai cassieri, utilizzando il fondo economale, non a fronte di contratti di appalto (...). A titolo puramente esemplificativo, possono rientrare nella casistica in esame imposte, tasse e altri diritti erariali, spese postali, valori bollati, anticipi di missione, nonché le spese sostenute per l'acquisto di materiale di modesta entità e di facile consumo, di biglietti per mezzi di trasporto, di giornali e pubblicazioni periodiche. Queste spese, pertanto, potranno essere effettuate con qualsiasi mezzo di pagamento, nel rispetto delle norme vigenti" (determinazione 18 novembre 2010, n. 8).

"Il CIG va richiesto, indipendentemente dall'importo e dalla procedura di scelta del contraente, purchè si tratti di un contratto pubblico. Vedi in merito la determina AVCP n. 8/2010, par. 3, che esclude dall'obbligo del CIG l'acquisto per cassa di beni di facile consumo e le spese, non a fronte di contratti di appalto" ("FAQ sulla tracciabilità dei flussi finanziari", 13 dicembre 2010, risposta n. 11).

Il CIG è diventato uno strumento di tracciabilità e quindi va richiesto per qualsiasi importo (anche se, oggi, esso sia pari o inferiore a EUR 1.500). Del resto, la deliberazione dell'Autorità di vigilanza 3 novembre 2010 ("Attuazione dell'art. 1, commi 65 e 67, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, per l'anno 2011"), prevede: "La richiesta del CIG è obbligatoria per tutti i contratti pubblici indipendentemente dalla procedura di selezione del contraente adottata e dal valore del contratto ad eccezione delle seguenti fattispecie: a) le gare per l'acquisto di energia elettrica o gas naturale e quelle per l'acquisto di acqua all'ingrosso, di cui all'art. 25 del D. Lgs. n. 163/2006; b) i contratti di cui all'articolo 16 del D. Lgs. n. 163/2006" (art. 1, comma 2). La previsione, poi, che i "soggetti di cui al comma 1 del presente articolo devono riportare il CIG nell'avviso pubblico, nella lettera di invito o nella richiesta di offerta comunque denominata" (art. 1, comma 3, della deliberazione medesima) conferma la tesi che il CIG non deve essere richiesto quanto l'Amministrazione non pone in essere un contratto pubblico, ma acquista direttamente sul mercato ciò di cui ha bisogno. L'affermazione va, ovviamente, meglio specificata.

Il primo discrimine - dunque - è se nella fattispecie concreta si configuri o no un contratto pubblico (o comunque un finanziamento pubblico).
Per contratto pubblico qui si intende quello che implica ("a monte") una comparazione possibile fra più operatori economici. Pertanto, al contrario, quando l'Amministrazione pubblica può solo decidere se acquistare o no quanto il mercato offre indifferenziatamente a ogni soggetto (pubblico o privato), lì non si rientra più nell'ambito delle "commesse pubbliche" (per usare il linguaggio del comma 1 dell'art. 3 della L. 136/2010).

Quindi, ad esempio, se una pubblica Amministrazione decide di far partecipare un proprio dipendente a un master di formazione indetto da una società privata, il cui costo è di EUR 3.000, qui è la normativa stessa sulla tracciabilità dei flussi finanziari che proprio non si applica (e quindi non deve essere richiesto alcun CIG), in quanto la commessa non è pubblica, ma privata: il servizio è offerto sul mercato a qualsiasi soggetto (privato o pubblico che esso sia). Al master predetto può partecipare tanto il dipendente di azienda privata, tanto quello di pubblica Amministrazione. In questo caso, la pubblica Amministrazione non avvia nessuna procedura di scelta del contraente, neppure informale. Se questa non fosse l'interpretazione da seguirsi, il CIG dovrebbe essere richiesto anche per l'acquisto di un giornale quotidiano!

Quando, invece, è l'Amministrazione pubblica che seleziona sul mercato un operatore economico cui affidare (anche magari con la modalità dell'individuazione diretta) il servizio di formazione (per rimanere in esempio), qui siamo in regime di commessa pubblica (appalto o cottimo o incarico, che lo si voglia qualificare). In tal caso, il CIG deve essere richiesto in quanto si applica la L. 136/2010 (e anche, come vedremo, se l'importo di affidamento è "inferiore o uguale a 1.500 euro"). Del tutto infondata, pertanto, la tesi interpretativa dell'Autorità di vigilanza, secondo cui "non si ritengono soggetti agli obblighi di tracciabilità gli incarichi di collaborazione ex articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165" (determinazione 22 dicembre 2010, n. 10, sub-paragrafo 2.7).

Solo a questa seconda ipotesi - ad ogni modo - può riferirsi l'esempio addotto dall'Autorità di vigilanza: "l'acquisto da parte di una stazione appaltante di corsi di formazione per il proprio personale configura un appalto di servizi, rientrante nell'allegato II B, categoria 24 e, pertanto, comporta l'assolvimento degli oneri relativi alla tracciabilità. Il rapporto tra l'operatore economico che organizza i corsi formativi ed i docenti esterni coinvolti, a seguito di contratti d'opera per prestazioni occasionali [non necessariamente: n.d.a.], invece, è assimilabile all'ipotesi prevista dall'articolo 3, comma 2 della legge n. 136/2010: ne discende che i trasferimenti di denaro conseguenti possono essere esentati dall'indicazione del CIG e del CUP, ferma restando l'osservanza delle altre disposizioni" (determinazione 22 dicembre 2010, n. 22). In sostanza, il relatore di un corso commissionato in house a una società di formazione, da parte di una pubblica Amministrazione, non deve indicare il CIG in fattura: egli deve però far ricorso a un conto corrente dedicato.

Il secondo profilo di analisi riguarda l'importo. Se si tratta di commessa pubblica nel senso sopra precisato, si applica quanto detto nella corretta faq dell'Autorità: "Il CIG va richiesto, indipendentemente dall'importo e dalla procedura di scelta del contraente, purchè si tratti di un contratto pubblico". E ancora (risposta n. 3): "Non è stabilita una soglia minima", per la quale "non deve essere richiesto il CIG".
Se allora il responsabile del procedimento richiede tre preventivi di spesa per individuare l'operatore economico che effettui - ad esempio - un servizio di trasloco del valore di EUR 500, qui il CIG va richiesto. Il discrimine dell'importo "inferiore o uguale a 1.500 euro" riguarda, infatti, solo lo strumento di pagamento.

Appare pertanto non corretta - o, comunque, equivoca - l'affermazione dell'Autorità di vigilanza, secondo cui "non rientrano nell'ambito applicativo della norma (…) le spese sostenute per l'acquisto di materiale di modesta entità e di facile consumo" (determinazione 18 novembre 2010, n. 8).
E qui, se si vuole, è l'errore di politica legislativa. La franchigia dell'importo "inferiore o uguale a 1.500 euro" la si sarebbe dovuta porre sull'applicabilità di tutta la norma.
Il comma 3 dell'art. 3 della L. 136/2010 prevede in ogni caso il divieto di impiego del contante. Solo il "fondo cassa" eventualmente costituito consente "spese giornaliere" effettuabili con impiego di contante. Se si seguisse la tesi dell'Autorità di vigilanza, secondo cui "i movimenti finanziari previsti" dal comma "3 dell'articolo 3 riguardano gli operatori privati menzionati al comma 1 e non le stazioni appaltanti" (determinazione 22 dicembre 2010, n. 22, sub-paragrafo 5.2.), verrebbe meno ogni puntello interpretativo (formale) per giustificare l'utilizzo di contante per una pubblica Amministrazione.

A cura di Lino Bellagamba
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