La variazione essenziale dal permesso di costruire: nuova sentenza della Cassazione

05/12/2018

In materia urbanistica, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, sanzionata dall'art. 44, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo Unico Edilizia).

A chiarirne i contorni ci ha pensato la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 52977/2018 con la quale ha rigettato il ricorso presentato contro una sentenza di appello che aveva riformato una decisione dei giudici amministrativi confermando la responsabilità del progettista e direttore dei lavori sulla base di un permesso di costruire illegittimo.

La tesi del ricorrente

Il ricorrente ha, quindi, presentato ricorso in cassazione deducendo le seguenti motivazioni:

  • erronea applicazione di legge in riferimento all'art. 32 D.P.R. 380/2001 - La Corte d'Appello sarebbe giunta a riformare la decisione assolutoria adottata dal giudice di prime cure ritenendo che l'istanza avanzata fosse affetta da un vizio originario, ossia fosse "contra legem" in quanto presentata come permesso di costruire "in variante" rispetto alla precedente concessione, mentre avrebbe dovuto essere presentata come permesso di costruire autonomo.
  • illogicità e carenza della motivazione in riferimento al capo dell'imputazione che ha considerato il permesso di costruire non conforme a quanto statuito dall'art. 32 del D.P.R. n. 380/2001 e per il quale i giudici di secondo grado hanno ritenuto responsabile progettista incaricato, e non anche gli altri imputati, assolti anch'essi già in primo grado, ovvero il responsabile dell'ufficio tecnico del Comune e il titolare dell'impresa che realizzò i lavori.

Secondo il ricorrente il permesso a costruire era stato indicato come "in variante", semplicemente per indicare all'ente territoriale che parte dei lavori edilizi oggetto della richiesta erano già stati realizzati in forza di un precedente permesso di costruire già concesso dal Comune. Secondo il ricorrente, nonostante la dicitura formale "in variante", il permesso di costruire aveva le medesime caratteristiche di un permesso ex novo, che poteva essere oggetto di valutazione dell'ufficio tecnico dell'amministrazione.

Secondo il progettista ricorrente, le considerazioni della Corte di appello risulterebbero errate perché non dovrebbe essere ritenuta essenziale la proposta modifica della sagoma del fabbricato, considerato che la stessa risultava "per difetto", nel senso che con il secondo permesso veniva eliminata una sporgenza triangolare, già autorizzata con il primo permesso di costruire concesso. Inoltre la sagoma - a seguito della riforma dell'art. 10 comma 1 lett. c) T.U. edilizia introdotta con l'art. 30 comma 1 lett. c) D.L. n. 69/2013 - non va più considerata tra gli elementi tecnici per i quali è necessario, in caso di modifica, un autonomo permesso a costruire.

La decisione della Cassazione

Gli ermellini hanno ricordato che in materia urbanistica la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire costituisce una tipologia di abuso intermedia tra la difformità totale e quella parziale, per la quale è possibile distinguere 3 casistiche:

  • le c.d. "varianti leggere o minori", ovvero quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell'edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell'attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;
  • le varianti in senso proprio, consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del "permesso in variante", complementare ed accessorio rispetto all'originario permesso a costruire;
  • le "varianti essenziali", caratterizzate da "incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del D.P.R. n. 380/2001, le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.

Nel caso di specie le modifiche proposte con la richiesta presentata dal progettista non erano delle mere varianti ma variazioni essenziali, per le quali era necessario un nuovo permesso di costruire, non potendosi fondare la legittimità urbanistica dell'opera realizzata sul un mero progetto "in variante" presentato. L'opera edilizia risultava, infatti, diversa per volumetria (oltre 100 mc.), sagoma e localizzazione rispetto a quella oggetto del primo permesso di costruire. I giudici di secondo grado hanno, dunque, sottolineato anche come la planimetria redatta dal ricorrente e presentata al Comune, oltre a presentare un errore nell'indicazione della superficie del lotto, non desse conto delle opere edilizie già realizzate in difformità del progetto originario (sagoma rettangolare, anziché con la sporgenza triangolare) anche perché collocate in traslazione, con conseguente violazione delle norme sulle distanze.

Di conseguenza la sentenza impugnata è esente da qualunque censura di violazione di legge ed è altresì immune dalla lamentata contraddittorietà od illogicità, di cui al secondo motivo di ricorso, laddove ha considerato esente da responsabilità sia il responsabile dell'ufficio tecnico del Comune, comunque indotto in errore dalle planimetrie non rispondenti alla realtà, che il titolare dell'impresa che realizzò i lavori, per l'avere confidato nella legittimità del permesso di costruzione.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it



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