Lavori di ristrutturazione edilizia: quando si trasformano in nuova edificazione?
28/06/2013
Gli interventi di ristrutturazione edilizia, quando eseguiti in
violazione delle NTA che impongono ai nuovi edifici una distanza
minima tra pareti finestrate non inferiore ai 10 metri, sono da
considerarsi come "nuove edificazioni", determinando il
diritto per le pubbliche amministrazioni di esercitare il potere di
autotutela attraverso l'auto-annullamento dell'autorizzazione ai
lavori.
Questo il parere del Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 3056 del 4 giugno scorso ha confermato integralmente quanto stabilito dalla sentenza n. 4225/2005 del Tar Toscana, respingendo l'appello di un cittadino contro il provvedimento del comune di Prato concernente l'annullamento di concessione edilizia per mancato rispetto dei confini: di fatto tale autorizzazione era stata data per l'esecuzione di alcuni lavori di ristrutturazione edilizia e che invece, a seguito di alcuni accertamenti, sono risultati essere una "nuova edificazione" in violazione delle NTA previste.
In particolar modo, tra i cinque motivi d'appello respinti da Palazzo Spada, di grande rilievo quello relativo alla distinzione tra "ristrutturazione edilizia" e "nuova edificazione" , oltre alle specifiche sulla legittimità del procedimento di autotutela da parte di una pubblica amministrazione.
Nel primo caso, il CDS ha valutato che, pur essendo infatti prevista dalle NTA dell'amministrazione comunale la possibilità di effettuare ristrutturazioni edilizie fino alla demolizione per gli edifici non aventi valore architettonico e ambientale, con l'inserimento anche di nuovi elementi, "il nuovo edificio deve essere comunque del tutto fedele a quello preesistente, perchè in caso contrario infatti si realizza una 'nuova costruzione' (cfr. Consiglio di Stato sez. V 07 aprile 2011 n. 2180; Consiglio di Stato sez. IV 12 febbraio 2013 n. 844)".
In questo caso invece si era autorizzata la trasformazione di un edificio artigianale ad un piano in un edificio per civile abitazione a tre piani con un'inevitabile superfetazione, senza mantenere affatto "la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente".A questo punto, trattandosi di "nuova edificazione", l'intervento avrebbe dovuto rispettare la distanza minima di 10 metri con le parti di edifici antistanti di cui all'art. 21 della NTA e dell'art. 9 del d.m. n.1444/1968: situazione non riscontrata, da cui l'annullamento della concessione edilizia.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, facendo riferimento all'art. 97 della Costituzione, i Consiglieri hanno fatto valere la legittimità dell'autotutela da parte dell'amministrazione comunale, ricordando che l'esercizio dei poteri amministrativi di annullamento in autotutela di precedenti statuizioni illegittime, non ha affatto natura eccezionale ma quando al contrario quando sussistono precise esigenze di tutela della civile convivenza e dell'ordinato sviluppo dell'attività edilizia, e della salvaguardia degli insediamenti abitativi. la p.a. ha il potere - dovere di emanare l'atto di annullamento. Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 7 agosto 1990 n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando all'Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27 febbraio 2012 n. 1081).
Infine, di rilievo il parere dei Consiglieri in merito all'esigenza o meno del parere obbligatorio dell'Asl riguardante i profili igienico-sanitari (luce, solubilità) delle norme sulle distanze dai fabbricati: secondo Palazzo Spada non vi è alcuna necessità di verificare le varie situazioni di fatto da parte dell'Autorità sanitaria in caso di mancato rispetto in quanto se la finalità inderogabile dell'art. 9 del d.m. n. 1444/1968 ha certamente una natura igienico-sanitaria, la sua applicazione necessita solamente l'accertamento tecnico della misura delle relative distanze.
© Riproduzione riservata
Questo il parere del Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 3056 del 4 giugno scorso ha confermato integralmente quanto stabilito dalla sentenza n. 4225/2005 del Tar Toscana, respingendo l'appello di un cittadino contro il provvedimento del comune di Prato concernente l'annullamento di concessione edilizia per mancato rispetto dei confini: di fatto tale autorizzazione era stata data per l'esecuzione di alcuni lavori di ristrutturazione edilizia e che invece, a seguito di alcuni accertamenti, sono risultati essere una "nuova edificazione" in violazione delle NTA previste.
In particolar modo, tra i cinque motivi d'appello respinti da Palazzo Spada, di grande rilievo quello relativo alla distinzione tra "ristrutturazione edilizia" e "nuova edificazione" , oltre alle specifiche sulla legittimità del procedimento di autotutela da parte di una pubblica amministrazione.
Nel primo caso, il CDS ha valutato che, pur essendo infatti prevista dalle NTA dell'amministrazione comunale la possibilità di effettuare ristrutturazioni edilizie fino alla demolizione per gli edifici non aventi valore architettonico e ambientale, con l'inserimento anche di nuovi elementi, "il nuovo edificio deve essere comunque del tutto fedele a quello preesistente, perchè in caso contrario infatti si realizza una 'nuova costruzione' (cfr. Consiglio di Stato sez. V 07 aprile 2011 n. 2180; Consiglio di Stato sez. IV 12 febbraio 2013 n. 844)".
In questo caso invece si era autorizzata la trasformazione di un edificio artigianale ad un piano in un edificio per civile abitazione a tre piani con un'inevitabile superfetazione, senza mantenere affatto "la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente".A questo punto, trattandosi di "nuova edificazione", l'intervento avrebbe dovuto rispettare la distanza minima di 10 metri con le parti di edifici antistanti di cui all'art. 21 della NTA e dell'art. 9 del d.m. n.1444/1968: situazione non riscontrata, da cui l'annullamento della concessione edilizia.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, facendo riferimento all'art. 97 della Costituzione, i Consiglieri hanno fatto valere la legittimità dell'autotutela da parte dell'amministrazione comunale, ricordando che l'esercizio dei poteri amministrativi di annullamento in autotutela di precedenti statuizioni illegittime, non ha affatto natura eccezionale ma quando al contrario quando sussistono precise esigenze di tutela della civile convivenza e dell'ordinato sviluppo dell'attività edilizia, e della salvaguardia degli insediamenti abitativi. la p.a. ha il potere - dovere di emanare l'atto di annullamento. Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 7 agosto 1990 n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando all'Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27 febbraio 2012 n. 1081).
Infine, di rilievo il parere dei Consiglieri in merito all'esigenza o meno del parere obbligatorio dell'Asl riguardante i profili igienico-sanitari (luce, solubilità) delle norme sulle distanze dai fabbricati: secondo Palazzo Spada non vi è alcuna necessità di verificare le varie situazioni di fatto da parte dell'Autorità sanitaria in caso di mancato rispetto in quanto se la finalità inderogabile dell'art. 9 del d.m. n. 1444/1968 ha certamente una natura igienico-sanitaria, la sua applicazione necessita solamente l'accertamento tecnico della misura delle relative distanze.
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