Partite IVA: un autonomo su quattro a rischio povertà
11/11/2014
Allarme povertà per le partite IVA e quindi anche per le libere
professioni. Il dato era già stato messo in luce dalla Cassa
previdenziali di Architetti e Ingegneri che pochi mesi orsono aveva
rilevato che circa 40.000 suoi iscritti (il 27% di quelli attivi)
versano in condizioni economiche al di sotto della soglia di
povertà.
A denunciarlo adesso è la Cgia di Mestre che ha evidenziato
come nel 2013 quasi una famiglia su quattro, esattamente il 24,9%,
il cui reddito principale proviene dal lavoro autonomo, ha un
reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui, ovvero
inferiore alla soglia di povertà calcolata dall'ISTAT.
Partite IVA a rischio collasso. Quelle che una volta
rappresentavano il ceto medio si trovano, dunque, in serie
difficoltà economiche e rappresentano il corpo sociale che più
degli altri sta risentendo di più della crisi economica, scivolando
verso il baratro della povertà e dell'esclusione sociale.
Il reddito imponibile delle libere professioni è addirittura sotto
la soglia di quello da pensioni, il cui reddito al di sotto della
soglia di povertà è rappresentato dal 20,9%, e da lavoro
dipendente, il cui tasso si è attestato intorno al 14,4%.
I dati presentati dal Centro Studi della CGIA di Mestre evidenziano
come la crisi ha colpito soprattutto le famiglie dei piccoli
imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi
professionisti e dei soci di cooperative. "A differenza dei
lavoratori dipendenti - fa notare il segretario della CGIA
Giuseppe Bortolussi - quando un autonomo chiude
definitivamente bottega non dispone di alcuna misura di sostegno al
reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono
contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non
usufruiscono dell'indennità di disoccupazione e di alcuna forma di
cassaintegrazione in deroga e/o ordinaria/straordinaria. Una volta
chiusa l'attività ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di un
nuovo lavoro. Purtroppo non è facile trovarne un altro: spesso
l'età non più giovanissima e le difficoltà del momento
costituiscono una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo
queste persone verso forme di lavoro completamente in
nero".
Dal 2008 al primo semestre del 2014 gli autonomi (ovvero, i piccoli
imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi
professionisti, i coadiuvanti familiari, etc.) che hanno chiuso
l'attività sono stati 348.400: sempre in questo periodo la
contrazione è stata del 6,3 per cento. La platea dei lavoratori
dipendenti, invece, si è ridotta di 662.600 unità, ma in termini
percentuali è diminuita "solo" del 3,8.
"E' sempre più evidente a tutti - ha proseguito il
segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi - che la
precarietà nel mondo del lavoro si annida soprattutto tra il popolo
delle partite Iva. Detto ciò, la questione non va affrontata
mettendo gli uni contro gli altri, ipotizzando di togliere alcune
garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma
allargando l'impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a
questi ultimi che, almeno in parte, dovranno pagarseli".
A livello territoriale il popolo delle partite Iva ha segnato la
contrazione peggiore al Sud: in particolar modo in Calabria, in
Sardegna e in Campania. Tra il 2008 e il primo semestre di
quest'anno la riduzione nel Mezzogiorno è stata del 9,9 per cento
(-160.000 unità). Segue il Nordovest con il -7,8 per cento
(-122.800 unità), mentre il Nordest (-4,3 per cento) e il Centro
(-1,3 per cento) fanno segnare delle contrazioni più contenute.
Infine, il reddito delle famiglie con fonte principale da lavoro
autonomo ha subito in questi ultimi anni una "sforbiciata" di oltre
2.800 euro (-6,9 per cento), mentre quello dei dipendenti è rimasto
pressoché lo stesso. In aumento, invece, il dato medio dei
pensionati e di quelle famiglie che hanno potuto avvalersi dei
sussidi (di disoccupazione, di invalidità e di istruzione) che sono
stati erogati ai nuclei più in difficoltà.
A cura di Ing. Gianluca Oreto
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