Piano Casa bocciato in parte dalla Corte Costituzionale
02/04/2010
Piano casa dichiarato in parte illegittimo dalla Corte
Costituzionale che ne boccia in particolare l'art. 11, comma 3,
lettera e), comma 4 ultimo periodo, comma 9 e l'art. 13, commi 2, 3
e 3-ter, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008.
Ricordiamo, infatti, che al Piano nazionale di edilizia abitativa
molte regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Umbria,
Toscana, Puglia, Campania, Valle d'Aosta, Sicilia, Lazio e Toscana)
promossero varie questioni di legittimità costituzionale dinanzi
alla Consulta rivendicando la propria competenza legislativa sulla
definizione dei programmi di edilizia abitativa ed evidenziando
che, trattandosi di materia concorrente ("governo del territorio"),
lo Stato non avrebbe dovuto definire nel dettaglio quelli che sono
i requisiti dei beneficiari e le modalità di attuazione.
Altrimenti, a giudizio delle ricorrenti, residuerebbero pochi spazi
per una disciplina regionale attuativa.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 121 del 26 marzo 2010,
ha, innanzitutto, rigettato le questioni di legittimità
costituzionale mosse contro l'art. 11, comma 1, del DL n. 112/2008,
ricordando che lo Stato, prevedendo l'approvazione di un piano
nazionale di edilizia abitativa, ha inteso disciplinare in modo
unitario la programmazione in materia di edilizia residenziale
pubblica avente interesse a livello nazionale. La materia
dell'edilizia residenziale pubblica, non espressamente contemplata
dall'art. 117 Cost., "si estende su tre livelli normativi":
- il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti e dunque la determinazione dei principi che valgano a garantire l'uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale;
- il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia "governo del territorio";
- il terzo livello normativo riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale.
Ciò premesso, la previsione di un piano nazionale di edilizia
abitativa si inserisce nel secondo livello normativo, nel senso che
lo Stato, con il suddetto piano, fissa i principi generali che
devono presiedere alla programmazione nazionale ed a quelle
regionali nel settore. Nello stabilire tali principi, lo Stato non
fa che esercitare le proprie attribuzioni in una materia di
competenza concorrente, come il "governo del territorio".
L'attuazione tecnico-amministrativa della norma oggetto di
impugnazione è demandata allo Stato, per quanto attiene ai profili
nazionali uniformi, con la conseguenza che la competenza
amministrativa, limitatamente alle linee di programmazione di
livello nazionale, deve essere riconosciuta allo Stato medesimo. E
dunque, la determinazione dei livelli minimi di offerta abitativa
per specifiche categorie di soggetti deboli non può essere
disgiunta dalla fissazione su scala nazionale degli interventi,
allo scopo di evitare squilibri e disparità nel godimento del
diritto alla casa da parte delle categorie sociali disagiate.
Per quanto concerne, invece, gli altri ricorsi presentati, la Corte
di Cassazione si è pronunciata nel seguente modo.
L'art. 11, comma 3, del DL n. 112/2008 prevede che il piano
nazionale sia articolato sulla base di criteri oggettivi che
tengano conto dell'effettivo bisogno abitativo presente nelle
diverse realtà territoriali, attraverso i seguenti interventi:
- a) costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all'incremento dell'offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale;
- b) incremento del patrimonio abitativo di edilizia con le risorse anche derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo, con le modalità previste dall'articolo 13;
- c) promozione da parte di privati di interventi anche ai sensi della parte II, titolo III, Capo III del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
- d) agevolazioni, anche amministrative, in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell'esigenza abitativa;
- e) realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale "anche" sociale.
L'inserimento nella lettera e), comma 3, dell'art. 11 del DL n.
112/2008 della parola "anche" entra in contrasto
con le finalità cui era stato costruito l'intero piano casa perché
prevede che la potestà legislativa concorrente dello Stato possa
essere utilizzata per altre finalità, non precisate e non
preventivamente inquadrabili nel riparto di competenze tra Stato e
Regioni. La potestà legislativa, che lo Stato esercita per
assicurare il quadro generale dell'edilizia abitativa, potrebbe
essere indirizzata in favore di soggetti non aventi i requisiti
ritenuti dalla stessa legge statale essenziali per beneficiare
degli interventi. L'eventuale diversa destinazione dei programmi
dovrebbe essere valutata in un contesto differente, allo scopo di
verificare a quale titolo lo Stato detti tale norma. Per tale
motivo, la norma di cui alla lettera e) del comma 3 dell'art. 11,
limitatamente alla parola "anche", premessa a "sociale", deve
ritenersi costituzionalmente illegittima, in quanto consente
l'introduzione di finalità diverse da quelle che presiedono
all'intera normativa avente ad oggetto il piano nazionale di
edilizia residenziale pubblica.
L'art. 11, comma 4, del DL n. 112/2008 prevede la
stipulazione di appositi accordi di programma, approvati con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera
del CIPE, d'intesa con la Conferenza unificata, e rappresenta il
necessario momento di raccordo tra Stato e Regioni nella fase della
realizzazione del piano nazionale. Ma, l'ultimo periodo del comma 4
prevede che "decorsi novanta giorni senza che sia stata
raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono
essere comunque approvati". Tale periodo vanifica la
previsione dell'intesa, in quanto attribuisce ad una delle parti un
ruolo preminente, incompatibile con il regime dell'intesa,
caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell'atto.
No risulta essere, dunque, legittima la drastica previsione, in
caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola
delle parti, la quale riduce all'espressione di un parere il ruolo
dell'altra, violando, di fatto, il principio di leale
collaborazione tra Stato e Regioni.
L'art. 11, comma 9, del DL n. 112/2008 consente il ricorso,
in alternativa alle previsioni di cui al comma 4, alle modalità di
approvazione previste per le infrastrutture strategiche. In questo
modo, il legislatore intende garantire la speditezza delle
procedure, a discapito però delle competenze costituzionalmente
tutelate delle Regioni. Difatti, il ricorso alle modalità proprie
delle infrastrutture strategiche è previsto in alternativa agli
accordi di programma, per la cui approvazione è richiesta l'intesa
con la Conferenza unificata. Anche in questo caso, l'illegittimità
è data dalla violazione del principio di leale collaborazione.
L'art. 13, comma 2, del DL n. 112/2008 risulta essere
incostituzionale in quanto impone che per il raggiungimento degli
accordi di programma debbano essere rispettati alcuni criteri. In
questo modo viene limitata la sfera di discrezionalità delle
Regioni, menomando di fatto la pienezza della potestà legislativa
residuale delle stesse. L'art. 13, comma 3, del DL n.
112/2008 prevede la facoltà per le amministrazioni regionali e
locali di stipulare convenzioni con società di settore, per lo
svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli
beni immobili. L'attribuzione alle Regioni di una specifica facoltà
in una materia che rientra nella loro competenza residuale implica
un'intromissione dello Stato in una sfera che non gli appartiene.
Per contro, l'attribuzione della medesima facoltà agli enti locali
ha l'effetto di consentire a questi ultimi, avvalendosi della legge
statale, di scavalcare la competenza regionale, anche nell'ipotesi
che le singole Regioni, nella loro discrezionalità legislativa, non
ritengano di dare spazio, nel proprio territorio, alle convenzioni
previste dalla norma censurata. Pertanto, la norma in esame viola
la potestà legislativa residuale delle Regioni in materia di
gestione degli immobili di proprietà degli IACP, ex art. 117,
quarto comma, Cost.
Infine, l'art. 13, comma 3-ter, del DL n. 112/2008 prevede
la cessione in proprietà agli aventi diritto degli alloggi
realizzati ai sensi della legge 9 agosto 1954, n. 640
(Provvedimenti per l'eliminazione delle abitazioni malsane). Tale
legge prevedeva la costruzione, a spese dello Stato, di alloggi per
accogliere le famiglie allocate in grotte, baracche, scantinati,
edifici pubblici, locali malsani e simili. Gli alloggi costruiti ai
sensi della legge citata erano trasferiti in gestione agli IACP,
oggi enti strumentali delle Regioni. La previsione, da parte di una
legge statale, della cessione in proprietà di tali immobili
realizza pertanto una ingerenza nella gestione del patrimonio
immobiliare di edilizia residenziale pubblica, che appartiene alla
competenza residuale delle Regioni.
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