Senza tecnici non c'è ripresa
08/11/2016
Negli anni della crisi, l'Europa ha visto crescere il proprio patrimonio di competenze tecniche, necessarie a tenere il passo dell'innovazione. E questo le ha consentito di riagganciare la ripresa. In Italia è avvenuto l'opposto. Il numero dei tecnici è diminuito (-0,3%, rispetto al +6% in Europa) e il mancato rinnovamento del capitale professionale ha contribuito ad aumentare il divario tra il nostro Paese e l'Europa, sia in termini di innovazione che di crescita (meno brevetti, basso export e fatturato da innovazione). Per non parlare della diminuzione del Pil sceso in Italia del 3,2% tra il 2010 e il 2015, a fronte delle principali economie europee che lo hanno visto aumentare (Regno Unito +10,4%, Germania +8,2% e Francia +4,8%).
Sono solo alcuni dati dell'ultimo rapporto "Innovare per crescere. Le professioni tecnico ingegneristiche motore della ripresa" che il Centro studi Opificium del Consiglio nazionale dei periti industriali ha realizzato a partire dalle banche dati Unioncamere, Eurostat ed Istat.
Numeri di cui si parla oggi a Roma (Nuova aula del gruppo dei palazzi parlamentari) in occasione del convegno "Innovare per crescere. Le professioni tecnico ingegneristiche motore della ripresa" organizzato dal Consiglio nazionale dei periti industriali e che costringono a una riflessione su come il Paese per ripartire debba necessariamente riattivare quei meccanismi di scambio e trasferimento tecnologico e quindi abbia urgente bisogno di profili tecnici nuovi e aggiornati.
Alcuni dati
Per quanto l'Italia vanti un livello di incidenza di professionalità tecniche sul complesso della forza occupazionale in media con il resto d'Europa (17,7%), questo risulta però inferiore a quello di Paesi come la Germania (22,6%) e la Francia (20,4%) che, al pari del nostro, presentano una spiccata vocazione manifatturiera.
Negli ultimi cinque anni, poi, mentre in Europa il numero dei lavoratori tecnici è andato crescendo (+6% tra 2011 e 2015), con punte in Germania, Irlanda e Svezia intorno al 15%, in Italia ha subito una flessione (-0,3%), passando da 3 milioni 939 mila a 3 milioni 925 unità.
E' emblematico quanto rilevato da un recentissimo studio dell'Eurostat che conferma la bassa capacità di presidio del Paese in uno dei settori tecnici più innovativi dell'economia, le ict. Con il 2,5% di occupati, sul totale dei lavoratori, l'occupazione in questo settore riveste in Italia un ruolo del tutto residuale, se comparato al resto d'Europa (dove la percentuale si attesta al 3,5%) e a Paesi quali Francia (3,6%), Germania (3,7%), Paesi Bassi (5%), Regno Unito (5%)
Alla riduzione della base occupazionale è corrisposto, inoltre, il rallentamento dei processi di ricambio generazionale, con il risultato che oggi, su 100 lavoratori occupati in posizioni tecniche intermedie, "solo" il 35,7% ha meno di 40 anni.
Un mancato rinnovamento di professionalità tecniche che ha influito anche in termini di innovazione: se guardiamo, infatti, ai principali indicatori disponibili a livello europeo, l'Italia presenta un gap rispetto alle altre economie che poco si addice alla settima economia del mondo.
Con 70 applicazioni per brevetti ogni milione di abitanti nel 2014 (10 in meno rispetto al 2004) l'Italia presenta una media di molto inferiore a quella europea (112 brevetti ogni milione di abitanti) e di gran lunga inferiore a quella di Germania (256) e Francia (138), per citare i principali. Anche considerando il numero di applicazioni in valori assoluti la posizione italiana non migliora. Nel 2014 il Paese era al sesto posto per brevetti presentati nel settore delle ICT e del biotech, al settimo per l'high technology.
In questo scenario, secondo la ricerca, le competenze tecniche sono le uniche in grado di fare da ponte tra vecchio e nuovo, di accompagnare quei cambiamenti che le nuove tecnologie impongono.
Le stime del Cedefop (Agenzia di ricerca sull'istruzione e la formazione tecnica e professionale nell'Unione Europea) prevedono per l'Italia, tra 2015 e 2025, la creazione di nuove opportunità occupazionali (dipendenti e autonomi) per oltre 2 milioni di profili tecnici intermedi, tra cui la quota più significativa nel campo dell'ingegneria.
Ancora secondo l'indagine Excelsior Unioncamere su oltre 560 mila assunzioni previste per il 2016, quasi 80 mila (il 14%) riguarda infatti i profili di area tecnica, e tra questi, una quota rilevante (quasi 25 mila) è rappresentata dai tecnici dell'ingegneria, ovvero da quei profili intermedi che operano con funzioni di progettazione, controllo, gestione, all'interno delle aziende.
I profili più richiesti
Tra i profili più richiesti dalle aziende spiccano al primo posto gli analisti e progettisti di software: per il 2016 sono state previste ben 9320 assunzioni di tali profili, quasi il doppio rispetto a 4 anni fa. A seguire i disegnatori industriali (3500 assunzioni previste, con un incremento del 42,3% rispetto al 2012), i tecnici programmatori (3180, con un incremento del 73,8%), tecnici esperti in applicazioni (2760), tecnici della produzione manifatturiera (2580).
L'analisi dei settori che oggi trainano la domanda di figure tecnico ingegneristiche segnala come è proprio in quelle aree di attività che meglio hanno reagito alla crisi che si sta investendo fortemente su queste professionalità. Considerando, infatti, la quota di tecnici sul totale delle assunzioni previste dalle aziende, spiccano in cima alla graduatoria il settore dei media e della comunicazione, dove ben il 25,2% delle nuove assunzioni riguarderà profili tecnici dell'ingegneria, e quello informatico e delle telecomunicazioni, dove è prevista nel 2016 l'assunzione di 4800 tecnici, vale a dire il 23,6% del totale dei futuri neoassunti.
Anche nelle public utilities una quota significativa di nuove assunzioni è destinata ai profili di area tecnico ingegneristica (il 14,6%), cosi come negli ambiti del manifatturiero più innovativo – fabbricazione macchine e mezzi di trasporto, industrie farmaceutiche e chimiche, industrie elettriche ed elettroniche – dove la quota di tecnici dell'ingegneria tra i neoassunti si colloca rispettivamente al 12,6%, 13,4% e 11,2%.
E' indicativo che una quota rilevante delle assunzioni di tecnici dell'ingegneria sia destinata proprio ad arricchire quelle funzioni strategiche per la vita dell'impresa. Ben il 38,8% delle assunzioni previste di tecnici dell'ingegneria è infatti destinato all'area progettazione, ricerca e sviluppo, il 13,1% ai sistemi informativi e il 15,9% alla produzione di beni e servizi. Ancora, ben il 9% dei tecnici dovrà occuparsi di certificazioni, in materia di qualità, ambiente e sicurezza, mentre il 7,2% di controlli di qualità e il 5,2% di logistica e distribuzione.
La proposta dei periti industriali
Per evitare il rischio di bruciare tali nuove opportunità è quindi oggi più che mai necessario allineare il sistema dell'offerta formativa, tenendo conto di quelle che sono le esigenze che provengono dal mercato e al tempo stesso dell'esigenza di dotare i futuri tecnici di un bagaglio di conoscenze più finalizzato sotto il profilo tecnico applicativo, ma altrettanto solido dal punto di vista teorico.
"Dopo che con la legge 89/16 abbiamo elevato il livello di formazione per l'accesso all'albo" ha spiegato Giampiero Giovannetti, presidente del Cnpi, "è necessario ora proseguire l'azione di riforma del nostro albo per adeguarlo alle necessità dei servizi e della tecnica. Serve un professionista flessibile e adattabile a paradigmi di conoscenza che cambiano al ritmo dell'innovazione".
Innovare per crescere è quindi la volontà che la categoria esprime di avviare un percorso di rinnovamento profondo del proprio dna. "Un rinnovamento - ha concluso Giovannetti - che attiene al saper fare, ma anche all'arricchimento di una cultura tecnica che sia più allineata alle esigenze del mondo che cambia. Ma al tempo stesso, è il paradigma di un Paese che ha oggi necessità di innovare prima di tutto,anche grazie alle professionalità tecniche, per riprendere il ritmo di una crescita da troppo tempo interrotta".
A cura di Ufficio stampa Consiglio Nazionale Periti Industriali
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