Subappalto: al vaglio della Corte Europea la normativa nazionale
07/02/2018
Che le norme sul subappalto fossero state mal digerite dagli operatori del settore è un dato di fatto. Già durante la fase di stesura del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti o Codice Appalti), l'Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) aveva presentato un esposto alla Commissione europea al fine di verificare la coerenza tra le nuove norme che si stavano per formare e la vigente Direttiva 2014/24/UE.
In particolare, il nodo ha sempre riguardato la questione di compatibilità del divieto di subappalto oltre il 30% dei lavori, previsto dall’art. 105, comma 2, del Codice dei contratti con il diritto comunitario e sul quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Regione Lombardia ha già rimesso il problema alla Corte di Giustizia UE con sentenza n. 28 del 5 gennaio 2018 a cui è seguita l'Ordinanza n. 148 del 19 gennaio 2018 con cui è stata sollevata questione pregiudiziale di interpretazione del diritto comunitario, per verificare se quest’ultimo osti all’applicazione delle regole nazionali che, nel settore degli appalti pubblici, impongono che il subappalto non possa superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori.
La stessa Commissione europea, in risposta al'esposto presentato dall’ANCE, con una nota del 30/03/2017, aveva evidenziato che le norme sul subappalto contenute nel nuovo codice degli appalti sono in contrasto con le norme e la giurisprudenza UE.
Sull'argomento subappalto, la Corte di Giustizia UE ha già bacchettato la Lituania per aver posto limiti più restrittivi a quelli previsti dalle Direttive UE.
Nel caso di specie, l'Ordinanza n. 148/2018 del TAR lombardo è stata emessa a seguito del ricorso presentato da un'impresa per essere stata esclusa dalla procedura di gara per aver superato la percentuale del 30% prevista come limite al subappalto dalla normativa nazionale.
In particolare, le norme in questione sono quelle contenute nel Codice dei contratti:
- art. 105, comma 2, terzo periodo, ai sensi del quale "Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture";
- art. 105, comma 5, a tenore del quale “Per le opere di cui all’articolo 89, comma 11, e fermi restando i limiti previsti dal medesimo comma, l’eventuale subappalto non può superare il trenta per cento dell’importo delle opere e non può essere, senza ragioni obiettive, suddiviso”;
- art. 89, comma 11 che fa riferimento alle “opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali”.
Sul tema subappalto si era già espresso il Consiglio di Stato con il Parere n. 855/2016 e con il Parere n. 782/2017. Con il primo, i giudici di Palazzo Spada avevano osservato che il legislatore nazionale potrebbe porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, ma sarebbero giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro. Nello stesso parere il Consiglio di Stato ha anche affermato, in termini più generali, che “il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE”.
Nel parere n. 782/2017 il Consiglio di Stato, dopo aver dato atto della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui il diritto europeo non consente agli Stati membri di porre limiti quantitativi al subappalto, e chiarito che tale giurisprudenza eurounitaria si è formata in relazione alla previgente direttiva 2004/18, si è espresso nei seguenti termini: “La nuova direttiva 2014/24 consente agli Stati membri di dettare una più restrittiva disciplina del subappalto, rispetto alla maggiore libertà del subappalto nella previgente direttiva. (...) la complessiva disciplina delle nuove direttive, più attente, in tema di subappalto, ai temi della trasparenza e della tutela del lavoro, in una con l’ulteriore obiettivo, complessivamente perseguito dalle direttive, della tutela delle micro, piccole e medie imprese, può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo. Esse vanno infatti vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici”.
Secondo una riflessione del TAR "la misura drastica della limitazione quantitativa del subappalto al 30% dell’importo complessivo del contratto non sembra rappresentare lo strumento più efficace ed utile (che “non vada oltre quanto è necessario a tal fine”) al soddisfacimento dell’obiettivo di assicurare l’integrità del mercato dei contratti pubblici; tale obiettivo, infatti, pare potersi ritenere già adeguatamente soddisfatto per mezzo delle nuove previsioni che consentono (purché correttamente applicate) di effettuare verifiche e controlli più pregnanti rispetto al passato, finalizzate a garantire che il subappalto venga affidato, in condizioni di trasparenza, ad operatori capaci e immuni da controindicazioni".
Sul tema si è anche espressa ASSISTAL (leggi news) che con una missiva indirizzata a Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ANAC, Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Antimafia e Ambasciata d’Italia permanente presso l’Unione Europea, auspica che l’istituto del subappalto non sia “stravolto” dalla decisione della Corte di Giustizia UE.
In definitiva, la palla passa alla Corte UE che potrebbe aprire una procedura di infrazione e dovrà valutare la questione pregiudiziale se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’articolo 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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