Un approccio economico derivato dalla cultura scientifica

07/01/2013

Lo sviluppo di una società in termini economici, sociali e culturali è sempre legato alle accresciute conoscenze scientifiche e tecniche. Ne consegue che il ridimensionamento della ricerca scientifica comporta un rallentamento della crescita, se non addirittura, come sta accadendo di questi tempi in Italia, un vero e proprio decadimento culturale.
Le conseguenze della crisi economica sono evidenti a tutti, ma è proprio in tempi di crisi che si studiano le migliori strategie per far ripartire l'economia, a patto però che essa non si affronti solo con l'imposizione di tagli e sacrifici.

La crisi si contrasta, infatti, anche con le idee e con la capacità di metterle in pratica, questo però presuppone un approccio diverso, derivato dalle tante esperienze positive che il Paese può vantare.
Tra queste esperienze ci sono quelle che discendono dalla cultura scientifica: la geologia ad esempio, come la chimica, la biologia o altre scienze, può aiutare a cambiare visione.
Si pensi ai tantissimi siti contaminati, la cui chiusura ha conseguenze sociali altissimi, oltre che costi anch'essi elevatissimi per l'economia ora nazionale, ora locale, che invece potrebbero essere utilizzati per produrre tecnologie.

Lo si fa già in alcuni casi, in Sardegna ad esempio si sta recuperando il sito di Porto Torres per convertirlo a grande polo di "chimica verde" che produrrà biolubrificanti e materie bioclastiche.
Ecco ancora il soccorso della scienza, che permette di reindustrializzare i siti dismessi, intervenendo significativamente sul territorio, valorizzando le competenze professionali, mantenendo l'occupazione e ottenendo positivi effetti sociali.

Anche le scienze della terra, che già si pongono a servizio della società nei campi della prevenzione dai rischi naturali e della valorizzazione delle georisorse, possono venire indicazioni importanti per l'economia e lo sviluppo del Paese.
Basti ricordare innanzitutto l'esperienza che deriva dallo sviluppo, dallo sfruttamento e dall'applicazione del calore della terra per i suoi diversi possibili usi, le cui ricadute positive vanno ben oltre gli aspetti squisitamente economici, per comprendere quelli altrettanto importanti di natura ambientale.

Le stime, anche quelle più prudenti, rilevano che nel settore geotermoelettrico potrebbero essere attivati investimenti per circa un miliardo di euro nell'arco del prossimo decennio.
Per non parlare poi del tema del riutilizzo come sottoprodotti delle terre e delle rocce provenienti dagli scavi, con ricadute sociali evidenti in termini economici ed ambientali, ma da cogliere anche in termini di opportunità professionale.

Poi ci sono le materie prime, dove però l'Italia ha perso la capacità di investire, soprattutto nell'industria mineraria, ma anche in quella estrattiva.
Nonostante i soli comparti dei materiali lapidei e della sabbia sfiorino un fatturato di 4 miliardi di euro, circa l'1% del PIL, siamo tuttavia rimasti al palo per tutte le altre materie prime, preferendo in certi casi importare piuttosto che estrarre.
Altre economie europee, proprio in un momento di forte crisi economica, hanno invece ritenuto di basare i propri investimenti sulle materie prime.

Si è detto in altre occasioni delle 14 materie prime strategiche individuate dalla Comunità europea soprattutto quale utilizzo diretto nell'innovazione tecnologica e nell'industria hi-tech, alcune delle quali, seppure reperibili nel sottosuolo italiano, preferiamo importarne in larga parte dai paesi stranieri.

E tornando al campo energetico, un'altra grande occasione è rappresentata dallo stoccaggio geologico del biossido di carbonio (CO2).
In una economia che sarà necessariamente "carbonizzata" per i prossimi decenni, in assenza purtroppo di una politica energetica che definisca una strategia di progressiva minore dipendenza dalle fonti fossili e, almeno in Italia, una conseguentemente diminuzione dalle importazioni
dall'estero, lo stoccaggio del biossido di carbonio nelle formazioni geologiche profonde diventa indispensabile.

Uno studio dell'International Energy Agency (IEA) evidenzia che la domanda di energia nel mondo crescerà nel 2030 di circa il 45% rispetto all'attuale ed il ricorso al carbone sarà ancora determinante. Saranno soprattutto i detentori delle maggiori riserve di carbone, USA, Russia, Cina, Australia, India e Sudafrica, a non rinunciare al carbone né nel medio, né nel lungo termine.
In questo contesto globale, le attività e le tecnologie di sequestro e stoccaggio di CO2, conosciute come CCS (Carbon Capture and Storage), sono definite strategiche nell'ambito della politica energetica europea, in quanto necessarie a contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici, permettendo, secondo stime preliminari, la riduzione del 20% delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020.

Si tratta di introdurre nelle formazioni geologiche profonde o nei giacimenti esauriti di idrocarburi, l'anidride carbonica in forma liquida, ottenuto dalla cattura nei camini di emissione delle centrali elettriche a combustibili fossili ed in altri grandi impianti industriali. La Commissione Europea, con l'obiettivo di facilitare la realizzazione di impianti termoelettrici dotati di tecnologie di cattura e di stoccaggio geologico dell'anidride carbonica, ha proposto la direttiva 2009/31/CE, inserita nel "Pacchetto Clima - Energia", con lo scopo di definire un quadro giuridico comune a livello europeo per lo stoccaggio geologico del biossido di carbonio, entro i cui confini rientra l'importante sostegno finanziario assegnato all'Italia per la realizzazione di un impianto dimostrativo di CCS presso la centrale ENEL di Porto Tolle (programma comunitario di sostegno European Energy Programme for Recovery).

Già dalla prima stipula del protocollo di Kyoto, il confinamento della CO2 nelle formazioni geologiche profonde era stato auspicato soprattutto in termini di risvolti economici, ammettendone la fattibilità sulla base delle pratiche messe in atto dalle compagnie petrolifere per il recupero assistito di petrolio in alcuni condizioni di prelievo, come nei casi di assenza di sufficiente pressione nel serbatoio naturale o di difficoltà di separare gli idrocarburi dalla matrice che li ingloba.
In questi casi infatti sono state le stesse compagnie a sviluppare e mettere a punto tecnologie di pompaggio che oggi consentono l'estrazione di petrolio, ma anche di reintrodurre l'anidride carbonica nello stesso giacimento.

Lo scenario della cosiddetta "Blue Map" messa a punto dall'IEA individua l'obiettivo di un dimezzamento delle emissioni di CO2 entro il 2050, in cui il confinamento geologico gioca un ruolo assolutamente strategico, anche rispetto alle altre tecnologie quali il nucleare, le rinnovabili, la maggiore efficienza degli impianti, ecc.

Parallelamente anche un altro prestigioso istituto di ricerca, l'Intergovernmental panel of climate change, ha di recente sollecitato la necessità di provvedimenti governativi per liberare il mondo dalla CO2 ed agevolare le fonti rinnovabili. La crescita delle rinnovabili, oltre a contenere l'utilizzo delle fonti fossili, porterebbe ad un risparmio di gas serra pari al taglio di una quota compresa tra 220 e 560 miliardi di tonnellate di anidride carbonica tra il 2010 ed il 2050.

Sono diverse le possibilità di confinamento geologico, anche con ricadute professionali: studi recenti condotti dall'ENEA (Girardi, Persoglia, Zarlenga) le individuano nei giacimenti di petrolio ancora in produzione, in quelli di carbone non sfruttabili, in quelli esauriti di petrolio e gas, ma anche in acquiferi salini profondi ed in campi di geotermici non in produzione.
Il processo di CCS si esplica con la captazione del biossido di carbonio dai fumi di scarico degli impianti industriali, il suo trasporto in apposito sito di stoccaggio provvisorio e la definitiva immissione nella formazione geologica ritenuta adatta al suo stoccaggio finale.
Con riferimento agli acquiferi profondi, la stessa ENEA stima per l'Italia una capacità di "sequestrazione geologica" di 440 Mt, compresi gli 84 Mt off shore, e di 1790 Mt per i giacimenti di olio e gas.

Dunque una capacità rilevante, che riguarda tra le altre anche la concessione mineraria "Monte Sinni", per intenderci quella gestita dalla Carbosulcis S.p.A., per la quale è in avanzata fase di studio il progetto di iniettare anidride carbonica nei letti di carbone sotterranei non coltivabili,
che agevolerebbe il recupero di metano segregando il gas serra, finalizzando il progetto stesso ad una più sostenibile integrazione tra attività produttive ed ecosistema.
E' ovvio che studi e indagini per l'individuazione dei siti effettivamente idonei allo stoccaggio avranno una ricaduta in termini professionali ed in termini di accrescimento della cultura geologica in generale, comportando una sempre maggiore conoscenza ad esempio delle strutture geologiche profonde.

Seppure i presupposti di compatibilità ambientale siano quelli che la CO2 è già, insieme agli idrocarburi, un componente del sottosuolo e che entrambi sono rimasti nel sottosuolo per milioni di anni, tuttavia sono ancora diversi i problemi da superare, e non soltanto sotto il profilo di compatibilità ambientale, da quello non indifferente della fissazione e mineralizzazione della CO2, di elevatissimi costi e di elevato impatto ambientale, al tema della sismicità indotta, che sono poi alla base delle forti preoccupazioni delle popolazioni interessate ad esempio dallo stoccaggio geologico dei gas.

In Italia sono una decina i serbatoi naturali sono attualmente in uso dai quali si opera estrazione di gas naturali e circa una quindicina quelli in fase di sviluppo o in attesa di approvazione.
Alcuni di questi si trovano in prossimità di strutture sismicamente attive e soprattutto il recente terremoto dell'Emilia Romagna ha indotto ad un diverso, ma per certi versi condivisibile, atteggiamento di preoccupazione delle comunità interessate.

La valutazione della pericolosità sismica sia naturale che indotta per un'infrastruttura di stoccaggio del gas all'interno di un serbatoio naturale sotterraneo presenta una serie di aspetti non convenzionali che devono essere riconosciuti e ricondotti all'interno di un contesto chiaro, ordinato e condiviso, che lasci il minor spazio possibile alla libera interpretazione del singolo soggetto proponente/valutatore.

Anche in questo caso ci soccorre quell'autorevolezza che deriva dall'essere terzi, geologi, studiosi e cittadini liberi di questo Paese. Il campo d'azione entro cui si muove il Consiglio Nazionale dei Geologi è quello della scienza, per cui auspica nuove ricerche in condizioni di massima garanzia di sicurezza, senza oscurantismi, né pregiudizi.

Ed intanto facciamo la nostra parte, non solo a parole: nella seduta del 12 dicembre scorso è stato costituito un gruppo di lavoro per la "valutazione della pericolosità sismica naturale e indotta dei serbatoi naturali di stoccaggio di gas e degli strumenti di controllo e di monitoraggio delle attività", del quale fanno parte studiosi dell'OGS di Trieste e di alcune Università italiane.
Non a caso affermiamo che la geologia ed i geologi sono fondamento della struttura economica e sociale di un Paese moderno.

di Gian Vito Graziano, Presidente Consiglio Nazionale Geologi

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