Verifica legittimità della SCIA: nessun termine per la sollecitazione da parte del terzo
29/03/2019
La Corte costituzionale ha respinto i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti dell’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241/1990 recante "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi", con riferimento alla mancata previsione di un termine finale per la sollecitazione da parte del controinteressato della verifica della legittimità della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) e ha indicato i percorsi praticabili per la tutela effettiva del terzo.
In particolare, con sentenza n. 45 del 13 marzo 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati da Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, con riferimento alla mancata previsione da parte dell’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241/1990, di un termine finale per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA, ritenendo che i termini per le suddette verifiche, dei quali riconosce l’essenzialità a tutela dell’affidamento del segnalante, siano ricavabili dallo stesso art. 19 della legge n. 241/1990 e dalle norme cui esso rinvia e indicando, in una prospettiva più ampia e sistematica, gli strumenti apprestati dall’ordinamento a tutela della posizione giuridica del terzo.
I fatti
I fatti riguardano il ricorso presentato dinanzi al TAR da un condomino in riferimento al silenzio-inadempimento dell’Amministrazione comunale alle richieste di inibitoria dallo stesso avanzate, nel corso dell’anno 2016, nei confronti dell’attività edilizia intrapresa da altro condomino e fatta oggetto di SCIA presentata nell’anno 2012. In seno a tale giudizio veniva sollevata dal segnalante eccezione di tardività della sollecitazione del potere inibitorio da parte del terzo, avvenuta a diversi anni di distanza dalla presentazione della SCIA.
Nello scrutinio di tale eccezione il TAR rilevava la mancata previsione, nell’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241/1990, di un termine per la proposizione dell’istanza sollecitatoria da parte del terzo e riteneva che il suddetto termine non fosse neppure ricavabile in termini univoci dal sistema normativo, con la conseguenza che la diffida del terzo dovesse ritenersi tempestiva anche se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto deposito della segnalazione presso l’Ente competente. Concludeva però il TAR che un simile sistema normativo risultava in contrasto con l’esigenza di tutelare l’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione nonché con il generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione e conseguentemente sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241/1990.
La decisione della Corte Costituzionale
I giudici della Corte costituzionale hanno ricordato che l’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990 attribuisce al terzo interessato la facoltà di “sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3” e nulla dice circa il termine entro cui va fatta la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica da parte dell’Amministrazione; tale carenza, secondo il giudice a quo, non sarebbe colmabile in via interpretativa, come si desumerebbe dall’erroneità di tutte le tesi avanzate in proposito.
Certamente non sbaglia il TAR a ritenere che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell’affidamento del segnalante. Non può invece condividersi la tesi del rimettente, secondo cui i poteri di verifica sollecitati dal terzo sarebbero “altri” rispetto a quelli previsti dai commi precedenti dell’art. 19 cit. e sempre vincolati, cosicché non sarebbe possibile mutuarne la disciplina.
In particolare, l'art. 19:
- al comma 3 attribuisce alla p.a. un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili, “in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti” dell’art. 19, comma 1, entro il termine ordinario di 60 giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi;
- al successivo comma 4 prevede che, decorso tal termine, quei poteri siano ancora esercitabili “in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-novies” della stessa legge n. 241/1990; quest’ultimo articolo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi;
- al comma 6 bis applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da 60 a 30 giorni e prevedendo, inoltre, che, “restano […] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali”.
Secondo la Corte Costituzionale è ai poteri di cui ai commi 3, 4 e 6 bis dell’art. 19 che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6 ter dello stesso articolo. A tale conclusione si perviene anzitutto sulla base del dato testuale: la locuzione “verifiche spettanti all’amministrazione” lascia chiaramente intendere che la norma rinvia a poteri già previsti.
In generale, il riconoscimento di un potere “in bianco” nel comma 6 ter sarebbe in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità che caratterizza, qualifica e limita tutti i poteri amministrativi, principio che, com’è noto, ha fondamento costituzionale (artt. 23, 97, 103 e 113 Cost.) e va letto non solo in senso formale, come necessità di una previsione espressa del potere, ma anche in senso sostanziale, come determinazione del suo ambito, e cioè dei fini, del contenuto e delle modalità del suo esercizio.
Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies).
Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.
Infine, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241/1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»). Potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis. Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).
Al di là delle modalità di tutela dell’interesse legittimo, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.
Tutto ciò, secondo a Corte, non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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