Abusi edilizi: le 2 condizioni per la fiscalizzazione

di Giorgio Vaiana - 17/05/2021

"Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi". È un antico detto popolare che calza a pennello quando si parla di edilizia e di DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia). E uno dei casi in cui la normativa edilizia crea una regola senza definirne i contorni è nell'art. 38 relativo agli interventi eseguiti in base a permesso di costruire annullato.

Interventi eseguiti in base a permesso annullato: l'art. 38 del Testo Unico Edilizia

L'art. 38 del DPR n. 380/2001 prevede che "In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa".

Ma, cosa significa nel dettaglio che non sia possibile la "rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino"? E il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale come deve motivare la scelta di operare una sanzione alternativa (c.d. fiscalizzazione dell'abuso)?

Fiscalizzazione dell'abuso: nuovo intervento del Consiglio di Stato

Alle due domande risponde in parte il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3266/2021 che risolvendo una diatriba tra vicini, ci consente di approfondire l'argomento e definire delle condizioni "sufficienti ma non necessarie" per la scelta della fiscalizzazione dell'abuso.

Propongono ricorso i proprietari di una tea, cioè una dimora temporanea estiva tipica dell'Alto Adige che si sono visti condannare dal Tar per averla spostata dal luogo originario ed effettuato alcuni interventi di restauro e ampliamento abusivo con un permesso di costruire in seguito revocato.

La storia

I due proprietari avevano chiesto ed ottenuto da un comune il permesso di spostare dal luogo originario una tea per sistemarla, sempre nel terreno di proprietà, lontano dalla zona franosa ed effettuare alcuni interventi di manutenzione. Al termine degli interventi ha presentato ricorso una vicina. Il Tar ha annullato il permesso di costruire. Anche il Comune interessato si è opposto alla decisione del Tar. L'amministrazione ha dopo la sentenza del Tar, dovuto avviare un procedimento amministrativo nei confronti dei due proprietari della tea, così come previsto dall'art. 38 del DPR n. 380/2001 (il c.d. Testo Unico Edilizia).

L'impossibile rimozione

É stato chiesto il parere del'Adunanza plenaria che ha ribadito un concetto: "I vizi a cui fa riferimento l'art. 38 del DPR n. 380/2001 (il c.d. testo Unico Edilizia), sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione". E aggiunge: "Se i giudici ritenessero che i vizi del titolo a suo tempo rilasciato, che ne hanno provocato l’annullamento in sede giurisdizionale, siano relativi all’insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica, dovrà escludere l’applicabilità del regime di fiscalizzazione dell’abuso in ragione delle non rimovibilità del vizio". Anche se specifica che saranno gli stesso giudici a verificare "l'impossibilità della riduzione in pristino".

Un nuovo accesso

I proprietari della tea hanno ottenuto dal Comune l'autorizzazione alla realizzazione di un nuovo accesso al loro fondo. Questo non creerebbe più aggravamento alla servitù di passaggio della signora che ha proposto ricorso. Ma, dicono i giudici, non si può parlare di carenza di interesse da parte della donna, in quanto il nuovo passaggio si aggiunge e non si sostituisce a quello già esistente.

Le condizioni per la fiscalizzazione dell'abuso

Secondo i giudici del Consiglio di Stato la fiscalizzazione dell’abuso richiede due condizioni entrambe sufficienti, ma non necessarie. La prima consiste nel carattere formale dell’abuso, nel senso che si tratti di un vizio della forma del titolo, o della procedura di rilascio, che sia di impossibile rimozione. Questa valutazione va resa esplicita e confermata. Infatti avere realizzato, in sintesi estrema, un intervento eccedente il restauro conservativo, nel momento in cui esso era il massimo intervento ammesso nella zona interessata, integra sicuramente un “insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica” nel senso voluto dall'Adunanza Plenaria, che esclude quindi la fiscalizzazione.

La seconda condizione riguarda la verifica della impossibilità della riduzione in pristino, a sua volta sufficiente, ove accertata, ad accordare la fiscalizzazione.

La tea e l'identità storica

Già il Comune aveva valutato che la tea aveva mantenuto la sua identità di edificio storico originario "e che la rimessione in pristino non sia possibile perché significherebbe ricollocare la struttura nella posizione originaria, operazione non consentita dalla presenza della fascia di rispetto di un torrente e del cono terminale di una frana".

Per i giudici del Consiglio di Stato si tratta di una decisione corretta e congrua, oltre che logica. Se è vero che i proprietari della tea hanno ecceduto nel restauro consentito, la tea, dicono i giudici, anche all'occhio di un comune osservatore, appare all'esterno come una vecchia costruzione storica e quindi tradizionale. Va demolito l'ampliamento fatto in maniera abusiva, perché comunque si manterrebbe lo stesso la forma originaria della tea. I giudici quindi hanno dato ragione al Comune che aveva imposto ai proprietari della tea la fiscalizzazione dell'abuso per la parte dell'edificio storico senza rimessa in pristino e la demolizione dell'ampliamento realizzato in maniera abusiva.



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