Abusi edilizi in area vincolata: quando la demolizione è inevitabile
di Redazione tecnica, Gianluca Oreto - 15/02/2023
L'attuale normativa edilizia (il d.P.R. n. 380/2001) non è certamente l'ideale se rapportata ad una realtà immobiliare molto complessa, vittima di decenni senza controllo e di tre condoni che hanno ingenerato l'idea che tutto potesse essere realizzato senza regole. Spesso, però, la realtà supera l'immaginazione e tra istanze di condono edilizio, successive richieste di accertamento di conformità, ordinanze di demolizione e successive domande di revoca e sospensione, il rischio è di perdersi (oltre che dovere attendere l'ultimo grado di giudizio per avere conferme).
Indice degli argomenti
Condono edilizio e accertamento di conformità: la sospensione/revoca della demolizione
Oggi trattiamo un nuovo caso prendendo spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione 10 febbraio 2023, n. 5750 resa in riferimento ad un ricorso presentato dal Pubblico Ministero di un tribunale avverso l'ordinanza emessa dal giudice delle indagini preliminari che, adito quale giudice dell'esecuzione, revocava un ordine di demolizione, adottato con sentenza emessa dal G.M. divenuta irrevocabile.
Secondo il P.M., il GIP avrebbe errato nel revocare l'ordine di demolizione avendo solo ipotizzato l'emissione di un provvedimento di sanatoria per l'accertato e contestato ampliamento mediante creazione di due terrazzini con tettoia, senza neanche valutarne una tempistica certa.
Il caso di specie riguardava, infatti, la presentazione di un'istanza di accertamento di conformità di un manufatto su cui era pendente un'altra istanza di condono non ancora definita. Il giudice, quindi, non avrebbe verificato adeguatamente la sussistenza dei presupposti fondanti il provvedimento poi rilasciato in relazione alla istanza di condono e quelli a base della depositata istanza di sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/01 inerente l'ampliamento predetto. Il tutto in area vincolata.
Revoca/sospensione demolizione
Relativamente all'ordinanza di demolizione, la Cassazione ha ricordato che per revocarla o sospenderla non è sufficiente la presentazione di un'istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.
La soluzione adottata dal giudice, circa la prossima adozione di un permesso in sanatoria, tale da essere incompatibile con la disposta demolizione, appare erronea sotto plurimi profili:
- non si sarebbe considerato che non è la "lieve entità" dell'abuso come discriminante per l'accettazione dell'istanza di sanatoria;
- il presupposto per la sanatoria edilizia ai sensi dell'art. 36 del Testo Unico Edilizia è quello della "doppia conformità" al momento dei fatti e al momento della richiesta, di cui non emerge traccia.
La Cassazione ha ribadito che il giudice dell'esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, non deve limitarsi a prenderne atto ai fini della sospensione o revoca dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, ma deve esercitare il potere-dovere di verifica della validità ed efficacia del titolo abilitativo, ancorché da adottarsi, valutando la sussistenza dei presupposti per l'emanazione dello stesso e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio oltre, ovviamente, alla rispondenza di quanto autorizzato o da autorizzarsi, con le opere destinate alla demolizione.
No alla frammentarietà dell'abuso
In tale quadro, rientra anche il dovere di un'attenta verifica della corrispondenza tra la richiesta di sanatoria e l'oggetto della demolizione, per cui, alla luce del noto principio della non frammentarietà dell'abuso edilizio, non è ammissibile la sanatoria predetta ove limitata solo ad una parte del complessivo abuso ( nel caso di specie comprensivo di più terrazzini e di una tettoia).
In tema di reati urbanistici, dunque, non è ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria parziale, dovendo l'atto abilitativo postumo contemplare tutti gli interventi eseguiti nella loro integrità.
Sanatoria e reati edilizi
La sanatoria può essere ottenuta quando l'opera eseguita in assenza del permesso sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati o non in contrasto con quelli adottati, tanto al momento della realizzazione dell'opera, quanto al momento della presentazione della domanda (doppia conformità), che può avvenire fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e, comunque, fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative.
Sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi - con adeguata motivazione - entro sessanta giorni, trascorsi inutilmente i quali la domanda si intende respinta. L'istanza è subordinata, inoltre, al pagamento di una somma a titolo di obiezione, secondo le modalità descritte nello stesso articolo.
In base a quanto espressamente disposto dall'articolo 45, il rilascio della sanatoria «estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti», con esclusione, quindi, di altri reati eventualmente concorrenti.
Vincoli paesaggistici
Altro punto su cui occorre fare molta attenzione: l'eventuale presenza di vincoli. Nel caso di specie l'area risulta essere vincolata dal punto di vista paesaggistico. Secondo una costante giurisprudenza di Cassazione è esclusa la possibilità di autorizzazione paesaggistica postuma, ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5 del D.Lgs. n. 42/2004, relativi agli "abusi minori".
Tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è correlata al rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi del più volte citato art. 36. L'eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino.
Abusi in area vincolata
In caso di abusi in area vincolata, il reato previsto all'art. 44, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/01 richiede l'assenza del titolo edilizio e della autorizzazione paesaggistica e, in caso di rilascio, prima dell'edificazione, del solo permesso di costruire, in assenza comunque della autorizzazione paesaggistica, tale ultima circostanza determina l'inefficacia del titolo edilizio rilasciato, il quale, in altri termini, non è in grado, in tale peculiare caso, di spiegare di per sé alcun effetto giuridico, nemmeno nel limitato ambito del solo profilo edilizio che, nella fattispecie in esame, è strettamente connesso al profilo paesaggistico.
Nel caso di avvio, in presenza di opera abusiva già realizzata, di una procedura di sanatoria in zona vincolata, il rilascio postumo del permesso di costruire, in assenza di autorizzazione paesaggistica (la quale ultima non può adottarsi legittimamente in via successiva al fatto, salvo casi eccezionali) non può sanare neppure il limitato profilo urbanistico dell'intervento già posto in essere. Pena, in caso contrario, il paradosso per cui, in caso di rilascio, ab origine, ovvero prima dell'edificazione poi contestata, di un permesso di costruire tuttavia non accompagnato dalla preventiva autorizzazione paesaggistica, ricorrerebbero, come è stabilmente acclarato, tanto il reato ex art. 44 lett. c) del DPR 380/01 che il reato paesaggistico ex art. 181 del Dlgs. 42/04. Mentre, nel caso certamente più grave, in cui si costruisca già senza alcun previo titolo, neppure edilizio, e tuttavia si ottenga, solo successivamente, il solo permesso di costruire, si verrebbe quantomeno a "sanare" il reato edilizio ex art. 44 lett. c) citato.
Rilascio postumo di autorizzazione paesaggistica
La Cassazione si è poi concentrata sulla ratio e conseguente
ambito di operatività dei casi eccezionali di rilascio postumo di
autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell'art. 181 comma 1 ter
del Dlgs. 42/04, secondo "il quale ferma restando
l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui
all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente
accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui
al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si
applica:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione
paesaggistica;
c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione
ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380".
Superficie utile: cos'è?
Con particolare riferimento al caso di specie e quindi al tema della sussistenza o meno, a fronte di terrazzini (con tettoia), di superfici utili, la Cassazione ha evidenziato che tra gli interventi che il legislatore non consente di qualificare neppure ex post - cioè alla luce della concreta valutazione del loro effettivo impatto - come compatibili con l'ambiente, è inclusa la creazione di "superfici utili".
Se è vero che il legislatore non fornisce, contestualmente, una definizione del concetto di "superfici utili" in modo espresso, la stessa Cassazione ha precisato che alla luce della ratio normativa di preservazione dello status quo ambientale e mediante altresì una logica contestualizzazione - in quanto ogni concetto giuridico è pragmaticamente relativo al contesto in cui opera - il suo significato è agevolmente identificabile in una immutazione stabile dell'assetto territoriale, attuata a discapito della vincolata conformazione originaria, dalla quale nettamente prescinde, non integrandone alcuna specie di manutenzione.
Cosicchè, la nozione di superficie utile, va "individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica, ... considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio" tale da "determinare una compromissione ambientale".
Né occorre, peraltro, accertare che la "superficie utile" realizzata, per essere qualificabile come tale, debba inferire un concreto pregiudizio all'assetto territoriale in cui viene inserita, poiché il concetto deve essere rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la sanatoria postuma, e il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, è un reato di pericolo.
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